L’arresto dei consiglieri e le ragioni del garantismo

7 Novembre 2013
3 Commenti


Andrea Pubusa

L’arresto dei consiglieri regionali Sanjust e Diana suscita un’istintiva condivisione. Vien da dire: “Ben fatto, almeno imparano!“. Viene da pensare che le manette siano un monito efficace per tutti i politici, un antidoto potente contro il malaffare, in favore di condotte virtuose. E tuttavia, da garantisti, non possiamo accedere a queste, pur diffuse, conclusioni. Ancora una volta il riferimento più sicuro per valutare la vicenda non può che essere la nostra Costituzione, che contiene norme, frutto di fondamentali acquisizioni di civiltà giuridica. Su questa base, la pena non può essere mai vista come esempio, come monito, ma soltanto come veicolo di rieducazione del reo, anche se indirettamente ha un effetto dissuasivo. La presunzione d’innocenza poi ha riflessi fondamentali sulla carcerazione preventiva e sulla prova di colpevolezza. Una sua applicazione integralistica porta a bandire la carcerazione prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Una lettura ragionevole induce  a ritenere - come stabilisce la legge - che l’arresto sia giustificato solo quando ci sia pericolo di reiterazione del reato o d’inquinamento delle prove. Nel caso dei due consiglieri, non abbiamo elementi per contrastare l’iniziativa del PM Cocco, di cui è ben noto lo zelo. Non possiamo però esimerci dall’osservare che pare difficile la reiterazione dei reati da parte di soggetti sotto stretta osservazione della Procura, con annesso controllo dei telefoni e puntuale verifica sulle spese non solo passate, ma presenti e future. Anche l’inquinamento delle prove, almeno per il passato ci pare poco verosimile, salvo che il PM sia a corto di prove e le stia ancora cercando. Il che sarebbe tuttavia molto grave. E qui veniamo ad un punto delicato di questa inchiesta. Si iscrivono nel registro degli indagati interi consigli regionali, suscitando grande clamore. Ma c’è un serio inizio di prova? C’è una verifica preventiva delle spese? E questa verifica è esaustiva per tutti gli indagati? E ancora tutti i consiglieri indagati non hanno fornito esaurienti pezze giustificative? Si è appreso, ad esempio, che alcuni avrebbero già presentato la documentazione a discarico. Perché costoro non sono stralciati dall’inchiesta? Le giustificazioni non sono esaurienti? Bisogna dirlo con atti motivati e immediati.
Ecco un altro problema: il tempo. Le lungaggini nelle procedure giudiziarie costituiscono un danno per tutti: per lo Stato e per gli imputati. Il colpevole  dev’essere condannato subito, l’innocente assolto. Nel caso di pubblici rappresentanti, l’interesse travalica quello degli indagati perché investe le procedure elettorali, l’esito delle elezioni e i destini politici delle persone. C’è insomma un’esigenza di celerità del tutto particolare. La Barracciu, ad esempio, dice d’avere pezze giustificative delle sue spese. Occorre presentarle ed esaminarle al più presto. L’esito dell’indagine investe la campagna elettorale regionale già in atto e l’esito delle prossime elezioni. Visto che la Barracciu non si è messa da parte, come doveva, occorre però definire senza indugio la sua posizione. In fondo, stabilire se 33 mila euro del gruppo consiliare, improvvidamente “personalizzati” (passati nel conto della consigliera), sono stati spesi per finalità istituzionali o meno non dovrebbe essere difficile. Non ci pare necessiti di lungo tempo. Ed allora, proprio noi che non ci stanchiamo di ricordare che, in virtù dell’art. 54 Cost., chi ricopre una carica pubblica deve farlo con “disciplina ed onore”, chiediamo, con forza e senza  sconti, alla Procura di fare chiarezza al più presto, facendo contestazioni precise e circostanziate agli indagati e archiviando subito le procedure per coloro che provano la loro correttezza. Sembra difficile credere che neanche uno  dei consiglieri indagati abbia presentato le pezze giustificative e per chi le abbia presentate il riscontro degli inquirenti dev’essere immediato. Ricordiamo che l’onere della prova è a carico dell’accusa. Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Alla fine sarebbe la magistratura, dopo il facile consenso iniziale a trarne discredito. Questo  è anche il modo per far sì che la magistratura non invada la sfera riservata alla politica, anche se questa, per rimettere la magistratura al suo posto, dovrebbe riacquisire un tasso accettabile di moralità, che oggi sicuramente non ha.
         
  

3 commenti

  • 1 Emanuele Pes
    7 Novembre 2013 - 10:50

    Tutta la vicenda è una catastrofe. In senso proprio. Tale da suscitare il ricorso a categorie che vengono prima e vanno oltre il dominio della politica e anche del diritto: ingordigia, vergogna, vigliaccheria. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma il risultato finale è collettivo, ed è dato dalla distruzione del patrimonio politico e culturale dell’autonomia della Sardegna, nel simbolo del suo consiglio regionale. Certo, non avevamo bisogno dei primi arresti di consiglieri regionali nella storia per esprimere questo giudizio. Ma questo passaggio, anche quando andasse al di là delle esigenze delle indagini, è definitivo.
    Non si può fare di tutta l’erba un fascio, lo sappiamo bene. Ma non si tratta solo delle vicende personali e politiche dei singoli rappresentanti del popolo sardo (perché tali sono), ma di una istituzione, rispetto alla quale noi non abbiamo né la forza, né le idee di proporne una migliore. Ieri, mi sembra, abbia commentato solo Cappellacci. Et pour cause, non sente di fare parte del consiglio, lui si sente un’altra cosa.
    Sempre ieri sono state effettuate delle perquisizioni nel comune di Arzachena, presente lo stesso magistrato che le ha ordinate, il procuratore della Repubblica di Tempio, Domenico Fiordalisi. Quale che fosse il motivo della sua presenza, io la leggo in definitiva come una alta forma di rispetto nei confronti di un’istituzione, la più piccola, il Comune, che non può essere brutalizzata, neanche nella più implacabile conduzione delle indagini.
    Tutto questo per il Consiglio regionale non è accaduto. E non è accaduto in primo luogo per responsabilità di una classe politica che è stata in grado, tra le altre cose, di mettere il potere legislativo della Sardegna sotto botta del potere giudiziario, un potere legislativo che adesso è costretto a giustificare anche le iniziative politiche legittime sul piano della spesa dei fondi dei gruppi, e persino di istruzione delle proposte di legge. Hanno distrutto tutto e l’hanno distrutto a tutti.
    Ne paga le conseguenze, per dirla pateticamente, quella nostra curiosa tensione all’autonomia e all’autogoverno.

  • 2 La Sardegna al bivio: questione morale o questione giudiziaria? (Peraltro, i 24 milioni di euro di fondi ai gruppi dove sono finiti?) - vitobiolchini
    8 Novembre 2013 - 00:05

    […] fare un ragionamento, magari sulla scorta di quello proposto da Andrea Pubusa e dal titolo “L’arresto dei consiglieri e le ragioni del garantismo”. Una riflessione interessante che arriva da sinistra e che meriterebbe un serio dibattito. Con il […]

  • 3 La LAMPADA di ALADIN | Aladin Pensiero
    8 Novembre 2013 - 10:11

    […] Biolchini sul suo blog (ripreso da Aladinews). Come la pensano Vito Biolchini, Luciano Marrocu, Andrea Pubusa (su Democraziaoggi), Giommaria Bellu, Ettore Cannavera (su SardiniaPost) e altri var hupso_services_t=new […]

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