Ricordi di bambino. Il Partito comunista una scuola di cittadinanza per masse di sfruttati

22 Gennaio 2021
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Andrea Pubusa

Altri con conoscenza e sapienza storica e flosofica hanno ricordato il centenario del Partito comunista italiano. In questo blog lo ha fatto, con passione e desiderio di verità, Gianni Fresu, autorevole studioso di Antonio Gramsci, tornato fortunatamente nel nostro Ateneo, dopo avere per anni insegnto in Brasile. Io voglio solo dare una modesta testimonianza dell’opera svolta dal Partito comunista per trasformare in cittadini attivi masse di ex contadini, spesso analfabeti, indotti dallo sfruttamento e dalle prevaricazioni più al ribellismo che all’azione politica organizzata sulla base di un progetto politico.
Il mio è un ricordo e un’impressione provata da bambino negli ‘50 del 900 a Carbonia. Per me che venivo dalla campagna il PCI era una forza poco affidabile perché si proponeva di rivoluzionare la società, i costumi, il rapporto fra uomo e donna, la famiglia. Ma a Carbonia, volente o nolente, il PCI lo incontravi dappertutto, fra i tuoi vicini di casa, minatori, fra i loro figli, amichetti tuoi, ed anche nei quartieri dove c’erano, molto attive, le sezioni. Ed è proprio in una di queste che, al seguito di un mio compagnetto, che aveva i genitori comunisti, ebbi modo di vedere cosa si faceva lì dentro. Nefandezze? Addestramento all’uso delle armi? Preparazione ad atti di violenza? Niente di niente. Ricordo che, con stupore, la prima volta vidi un giovane uomo (uno studente, un maestro, un prof.?) che leggeva e commentava il Manifesto del Partito comunista di Marx ed Engels. Insegnava all’uditorio la società capitalistica nella quale vivevano, le ragioni dello sfruttamento, la necessità dell’unione e dell’azione organizzata per trasformare questa società in un mondo di liberi e uguali. Si tenevano delle riunioni settimanali e ricordo che in altre si parlava della storia d’Italia e della Resistenza. In altre ancora della Costituzione, del suo contenuto, dei diritti, della prospettiva egualitaria ch’essa contiene e propugna.
La mia sorpresa fu ancor più grande quando un giorno la “lezione” fu tenuta da una giovane donna che illustrava ad una platea in prevalenza di donne, la parità di genere e l’eguaglianza senza distinzione di sesso.
Benché bambino percepii che li dentro si svolgeva un’azione importante di acculturamento di uomini e di donne che a mala pena sapevano leggere e apporre la loro firma. Mi colpì ancora il fatto che lì, nella sezione, non c’era un deposito di armi, ma una piccola biblioteca con tanti volumetti che poi ho scoperto essere le edizioni Rinascita. A casa del mio amichetto, che viveva nell’albergo operaio vicino a casa mia, c’era poi un piccolo scaffale con tanti libri ben ordinati, quasi un oggetto di culto. Tutto questo mi sembrava positivo, per cui mi parve una grossa contraddizione vedere campeggiare in quella stanza, accanto ad altri (Marx? Gramsci?, Togliatti?, Lenin?) un ritratto di Stalin, che era appena morto e si diceva non in odore di santità.
I genitori del mio amichetto erano poveri, lei casalinga, lui spazzino, ma erano molto combattivi e attivi. Come tanti minatori che vivevamo vicino a casa mia, erano sempre in prima fila nelle manifestazioni e quando mi vedevano, bonariamante, mi esortavano sempre a studiare: “studia, se non vuoi essere come me, maltrattato e ignorante“. Sembrerà strano, ma i miei primi maestri son stati proprio questi modesti minatori, che nel PCI, nel PSI e nel sindacato da plebe si erano trasformati in compagni e cittadini. Quella loro esortazione, allo studio e all’impegno, mi ha accompgnato tutta la vita e mi risuona ancora nelle orecchie come un imperativo categorico. Questo è stato il Partito comunista, una grande forza morale e politica di trasformazione della societa’.

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