Carbonia. Dall’analisi del voto al programma dei comunisti. Togliatti lancia la rivendicazione dell’autonomia

24 Gennaio 2021
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Gianna Lai

(Carbonia, comizio di Togliatti in Piazza Roma)

Ogni domenica dal 1° settembre del 2019 pubblichiamo un post sulla storia di Carbonia. Eccolo!

‘Carbonia era un’isola nell’isola’, dice  Nadia Gallico Spano durante l’intervista rilasciata all’autrice, nel maggio del 1988: lo stesso esito elettorale ne denunciava infatti la separatezza, così forte l’affermazione delle sinistre, rispetto al contesto regionale e nazionale, dove netta era stata l’affermazione della DC e delle destre.  A dire la verità il ‘Progetto di risoluzione elaborato per la Sardegna dai compagni sardi’, contenente ‘un appunto di Togliatti’ sull’argomento, 16 agosto 1946, sostiene  che anche  “nel bacino minerario erano mancati il consolidamento dell’organizzazione e lo sviluppo dei quadri”, così come nel resto della Sardegna. Dove il PCI, “attaccato dalla DC, sostenuta dalla Chiesa,  dai partiti minori di destra e dai qualunquisti”,  non era riuscito ad esprimere  “una politica socialmente onnicomprensiva”. Perciò  le ragioni della sconfitta elettorale erano da ricercarsi nell’incapacità dell’azione politica a tener conto della “struttura sociale e dell’orientamento assunto dagli strati medi” in ogni singola provincia. E se, “sul piano delle alleanze, il partito non era riuscito a promuovere un movimento unitario”, il tutto risultava aggravato da schematismi e “atteggiamenti settari”, essendo la vita politica in Sardegna particolarmente “segnata dal distacco esistente tra le masse e l’élite”. Una Democrazia Cristiana votata dai grandi proprietari terrieri assenteisti, dai ceti medi rurali e urbani e dalle donne, rispetto alle quali “poche le proposte che ne avrebbero potuto attirare l’interesse, come quelle concernenti l’assistenza alla famiglia e all’infanzia”.  Lo mette bene in luce la lettura che del documento fa,  nel suo recente ‘Renzo Laconi’, la professoressa Maria Luisa Di Felice, riferendo come il Psd’az si muovesse tra le sue clientele degli armentari, per riscuotere tuttavia  consensi anche tra i piccoli e medi contadini  e pastori progressisti, commercianti, intellettuali, impiegati e operai. E poi i socialisti, votati dagli artigiani e dai piccoli commercianti,  impiegati, operai, piccoli contadini, intorno a un nucleo dirigente di intellettuali professionisti. Mentre l’elettorato del PCI risultava  formato da  operai e contadini poveri e da qualche gruppo di intellettuali d’avanguardia: da qui le  difficoltà delle sezioni comuniste, nei paesi dell’interno, “prive di base e completamente isolate”.
Ma c’era un programma da portare avanti e, se all’offensiva clericale aveva addebitato Velio Spano la ragione degli insuccessi ed alla mancata penetrazione dei partiti tra le masse, sardisti e socialisti incapaci di unire nella lotta operai, contadini e pastori, proprio da qui doveva nascere “la necessità, per il PCI, di porsi come partito di tutto il popolo sardo, così da strappare ai sardisti la bandiera delle rivendicazioni sarde”. Mentre Laconi, denunciando l’indebolimento dei comunisti, cui corrispondeva il rafforzamento del PSI, l’affermazione enorme della DC, la  rinascita del fascismo,  metteva piuttosto  in luce quanto il Psd’az fosse in grado di mobilitare la borghesia su un programma antifascista, repubblicano e autonomistico.   E, in vista del programma comunista, come invece si dovesse articolare il discorso nel “sentiero tracciato da Gramsci, un piano d’azione che fondasse su vincoli profondi ed organici l’alleanza tra contadini, pastori poveri e classe operaia, e costituire una larga solida base  popolare in Sardegna, che si unisse alla politica nazionale della classe operaia italiana”.  Sotto la bandiera dell’autonomismo antifascista, classe operaia e contadini poveri uniti nel PCI alla piccola borghesia sardista: tutte le forze progressive sarde contro il fascismo, la monarchia e il capitale monopolistico, mobilitate sullo stesso fronte di lotta della classe operaia italiana.
Invece era stata attuata “una politica meramente propagandistica, di concorrenza nei confronti del Psd’az, che non aveva unito le masse, nè le aveva orientate verso la classe operaia”,  inducendo i ceti medi urbani a ripiegare su posizioni più conservatrici verso la DC, mentre il clero riannodava i legami tra borghesia agraria e contadini poveri. Secondo Laconi,  per affrontare la crisi, massima attenzione alle strutture sindacali, verso un movimento organizzato che rendesse ‘complementari’ gli  interessi di contadini e pastori, e poi  nuove forme  associative, come le cooperative. Così da popolarizzare i quadri di partito come guida delle masse, impegnati nella elaborazione e nell’attuazione di  “piani concreti di lavoro”. Ma bisognava superare l’arretratezza della Sardegna e “attuare le riforme utili a svincolare l’isola  dalla soggezione al capitale monopolistico forestiero, nazionalizzare  le industrie elettriche, minerarie, dei trasporti,  attraverso una  gestione regionale, rivendicando l’impegno di capitali pubblici…  per opere di miglioramento fondiario e per la riforma agraria”.
Renzo Laconi, già sostenuto su questo terreno da Palmiro Togliatti, insisteva inoltre sull’importanza di un grande movimento organizzato di contadini, “leghe di contadini e cooperative di produzione e distribuzione, da attuare tra i contadini stessi, e le masse più povere”. E a chi sosteneva non facilmente collegabile “la richiesta di pane, di lavoro, di più alte retribuzioni all’ordinamento autonomistico”,  così  rispondeva  Palmiro Togliatti, “il movimento sardo di sinistra oggi dobbiamo essere noi” e,  durante il II° Consiglio Nazionale, “i nostri compagni sardi non devono avere nessuna paura di essere loro gli autonomisti,  poichè l’autonomia è una rivendicazione democratica, rispondente agli interessi del popolo sardo”.
“Problema politico, stato d’animo popolare, questione sociale si intrecciano come in tutto il Mezzogiorno. Togliatti avanza subito decisamente la prospettiva autonomistica per la Sicilia come per la Sardegna”, si legge nell’ultimo volume della Storia del Partito Comunista di Paolo Spriano. La rivendicazione autonomistica era stata posta dalla direzione del PCI, anche per la Sardegna, con la risoluzione del 4 febbraio 1945: “Al II Consiglio Nazionale del PCI, dove Renzo Laconi solleva il problema del rapporto con i contadini,  Togliatti conviene che l’esigenza da cui muove Laconi è giusta: bisogna creare un grande movimento di contadini. Togliatti esorta i compagni sardi a vincere ogni riluttanza manifestata nel porsi alla testa di rivendicazioni di autonomia”

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