La scuola e la complessità: come e cosa insegnare oggi

20 Settembre 2021
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Lorella Villa del C.I.D.I di Cagliari

Si è tenuto il giorno 16 Settembre sulla piattaforma Zoom un incontro organizzato dal C.I.D.I.di Cosenza dal titolo “La scuola e la complessità”.
Più di cento partecipanti da tutta Italia si sono dati convegno per ripartire dalle domande di sempre, le domande di senso dell’agire educativo” come le ha definite la professoressa Caterina Gammaldi, moderatrice dell’evento, ovvero “perché, come e cosa insegniamo, oggi, in questo momento di grandi cambiamenti, forse meglio sconvolgimenti”.
A rispondere a queste domande cruciali per ogni insegnante di ieri e per quelli di oggi addirittura dilemmatiche, due relatori d’eccezione: il Prof. Mauro Ceruti, filosofo, teorico del pensiero complesso, accademico, autore di saggi tradotti in molte lingue e tra l’altro Presidente della Commissione Nazionale del Ministero della Pubblica Istruzione per la stesura delle Nuove Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione del 2007 e Domenico Chiesa, insegnante, autore e già Presidente del C.I.D.I e del Forum regionale per l’educazione e la scuola del Piemonte.
Ceruti ha impostato il suo discorso partendo dagli ultimi mesi di pandemia, la “nostra selva oscura” che ha posto sotto gli occhi di ognuno problemi che si erano già delineati a partire dalla fine delle categorie sociali ed economiche che avevano regolato i due secoli che precedono il nostro: la netta divisione delle classi sociali e l’economia fondata sulla produzione industriale.
Questa transizione d’epoca ha incrociato l’invenzione di tecnologie prima impensabili e la globalizzazione.
Il nato da questo parto è quella società spesso definita negativamente dal prefisso post-, una società che agita il tempo dell’interconnessione di tutto con tutto e tutti con tutti, “come in un dipinto di Escher”. Una società complessa, da cum + plecto, ha fatto osservare Ceruti, ovvero una società  intessuta, intrecciata, composta di molti elementi collegati tra loro e dipendenti uno dall’altro, ma non riducibile ad un unico (l’insieme è superiore alla somma delle parti), non ripetibile né prevedibile, senza più nessun rapporto lineare di causa-effetto e nella quale l’interconnessione tra le parti non può essere sciolta.
In una società siffatta che ruolo deve rivestire la scuola?
Conoscere per conoscere, non ha ovviamente alcun senso quando le catene causali interagiscono le une con le altre e gli effetti agiscono sulle cause.
Questo il problema delle democrazie cognitive e quindi del futuro della scuola. In un mondo non più conoscibile e quindi controllabile solo con le conoscenze delle leggi di base, una scuola pensata senza trasversalità non è più adeguata. La dimensione etica dell’agire umano che nella scuola  prende forma deve avere oggi una dimensione planetaria e questo respiro nelle riforme della scuola italiana e nella percezione di molti insegnati ancora manca.
Se il paradigma educativo del secondo Novecento è stato in gran parte ridurre l’ignoranza per accrescere la conoscenza, quello attuale, o forse a questo punto quello futuro, dovrà essere l’educazione alla cittadinanza globale attiva e consapevole e alla complessità. Evitando lo sguardo miope e frammentato dei saperi disciplinari ed educando alla ricerca di senso.
Un paradosso ha chiuso l’intervento del prof. Ceruti: “se mio nonno tornasse in vita sarebbe sopraffatto dai cambiamenti, ma in fondo, a parte la presenza delle LIM se tornasse a scuola a sedere in un banco da studente, non rimarrebbe poi così frastornato.”
Domenico Chiesa ad apertura del suo intervento ha preso spunto dal “paradosso del nonno” proiettando un’intervista ad un formidabile giovane di 104 anni, uno dei più grandi pedagogisti e intellettuali italiani, Francesco De Bartolomeis (a lui si deve, tra l’altro la dicitura di scuola dell’infanzia in luogo di scuola materna, e se le parole hanno un senso, basta questo a trasmettere la grandezza del suo pensiero) nel quale con una vis polemica ancora potentissima si scagliava contro la scuola trasmissiva tradizionale, incarnata: nella “triade malefica della spiegazione in classe, studio individuale a casa, interrogazione. Perché fuori dalla scuola ogni bambino e ragazzo ha diritto a fare altro. Il segreto del successo della scuola dell’infanzia italiana, un’eccellenza nel panorama mondiale, sta proprio qui. Il bambino in quell’ambiente è un ricercatore!”.
Luogo dell’apprendimento attivo, dunque, la scuola ma solo se intesa non come parte di “un sistema educativo ma di un sistema formativo. La scuola è una cosa che sta dentro il sistema formativo”, è solo un tassello di un mosaico molto più complesso e multiforme.
La crisi innescata dalla pandemia, tra l’altro, ha come messo sullo sfondo il cuore pulsante della scuola: la didattica. Il dibattito, comprensibilmente, si è annodato tutto sulle strategie per la riapertura. Abbiamo speso questo tempo pensando agli orari, ai centimetri di distanza, come se la scuola fosse una pizzeria…È tempo di tornare a chiederci ora che abbiamo riaperto le scuole: cosa come e perché facciamo scuola oggi.
Dopo questa provocazione, la scoperta di un fiume carsico che collega i testi di riforma della scuola più innovativi degli ultimi decenni: rileggendo le pagine introduttive ai programmi della Scuola media del 1977, firmate da Tullio De Mauro e Lucio Lombardo Radice, si troverà il viatico ideale per comprendere le Indicazioni Nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo del 2007. A leggere questi testi, non proprio recentissimi, sembrerebbe che la scuola della complessità era già chiaramente descritta e analizzata.
Eppure siamo ancora qui a insegnare chiudendoci la porta alle spalle, alzando compartimenti stagni tra una disciplina e l’altra, un’ora di lezione e l’altra. La formazione degli insegnati specie nella Scuola secondaria di secondo grado in questo senso, ci dice Domenico Chiesa, è da ripensare il prima possibile.
Molto interessante, in chiusura, la replica di Giuseppe Bagni, docente, autore  tra l’altro del romanzo epistolare-saggio “Insegnare a chi non vuole imparare” e del recente “Suonare in caso di tristezza” (a quattro mani con Giuseppe Buondonno) e Presidente Nazionale del C.I.D.I.. “io non butterei via i saperi disciplinari: l’insegnante si è formato per insegnare una disciplina, una materia”, la sfida è semmai rendere il sistema dei saperi attualmente “a compartimenti stagni” un sistema di vasi comunicanti e insegnare e apprendere insieme ai ragazzi la complessità del mondo e della vita, ognuno di noi attraverso la propria disciplina.
In fondo, potremmo aggiungere, la complessità è lo stigma di ogni epoca di crisi: un grande storico dell’Impero romano, Santo Mazzarino, scrivendo dell’epoca dei Severi, una delle più traumatiche dell’antichità, notava che: “le società che si sfaldano hanno una sola coerenza possibile: il paradosso”. Leggere la realtà insieme ai nostri studenti con le lenti del paradosso, non per semplificare o men che meno banalizzare, dunque, ma nella consapevolezza che complessità vuol dire pur sempre tessere, evidentemente in un tutto diverso dalle parti.

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