La Russia deve ritirarsi dall’Ucraina. Poi si torni alle trattative.

25 Febbraio 2022
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Tonino Dessì

Con questo articolo avviamo una riflessione libera sullo scontro Nato/Russia, combattuto in Ucraina.

A leggere certe prese di posizione di persone che simpatizzano per Vladimir Putin “da sinistra” e che tuttora si considerano “comuniste” ci sarebbe persino da ridere, se non si percepisse l’ennesima manifestazione di una drammatica perdita di razionalità, di coerenza, di funzione.
Alcuni la storia non la conoscono davvero e in specie non conoscono quella della Rivoluzione sovietica; altri, se la conoscono, glissano dimostrando anche poca onestà intellettuale.
Nel “discorso alla Nazione” con cui ha illustrato i presupposti di quella che pochi giorni dopo sarebbe stata l’invasione dell’Ucraina, Vladimir Putin ha retrospettivamente e duramente attaccato Lenin, presunto “inventore” dell’Ucraina come entità separata dalla Russia.
In realtà, se è vero che Ucraina e Russia condividono una comune origine (la calata dei Variaghi scandinavi che si assimilarono alle locali popolazioni slave), non è affatto vero che siano mai state un’unica entità nazionale.
L’Ucraina moderna è stata (in larga parte) annessa all’Impero russo nel 1793.
Fu l’Impero zarista a promuovere una russificazione forzosa dell’Ucraina, che ne costituiva una componente assai recalcitrante.
L’Unione sovietica riconobbe invece una soggettività nazionale distinta all’Ucraina nell’ambito della sua organizzazione federativa.
La tematica delle nazionalità fu un tratto peculiare della sistemazione data dai bolscevichi ai territori dell’ex impero zarista uscito mutilato dalla sconfitta della Prima Guerra Mondiale e dall’umiliante Trattato di pace di Brest-Litovsk del 1918.
Quella sistemazione direttamente ispirata da Lenin fu sancita dalla Costituzione sovietica approvata nel 1924, pochi mesi dopo la morte del leader bolscevico.
Segretario generale del partito e successore proclamato di Lenin era Iosif Stalin, a suo tempo Commissario del Popolo per le nazionalità e ancora in precedenza autore di un noto saggio, “Marksizm i nacional′nyj vopros (”Il marxismo e il problema nazionale”)”, del 1913, nel quale aveva appunto sviluppato le idee di Lenin sul problema delle nazionalità, la cui compressione da parte dell’assolutismo zarista era stata considerata un importante fattore della dissoluzione dell’Impero.
Per inciso, la Costituzione sovietica riconosceva il diritto di ciascuna repubblica federata alla secessione dall’Unione.
Col che non si può certo nascondere che un processo di russificazione dell’Ucraina sia proseguito anche nell’URSS staliniana e poststaliniana nè sostenere che l’URSS avrebbe mai favorito o tollerato secessioni.
Tuttavia fu in base a quel principio costituzionale che nel 1991 (dopo un referendum nel quale il 90 per cento dei votanti ucraini aveva optato per l’indipendenza), i Presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia sottoscrissero l’accordo di Belaveža, che dichiarava dissolta l’Unione Sovietica e la sostituiva con la Comunità degli Stati Indipendenti.
Putin vorrebbe restaurare l’URSS, si dice.
Beh, ideologicamente no, non dopo avere così platealmente sconfessato le idee e l’operato dei due principali protagonisti della nascita e della costruzione dell’URSS, Lenin e Stalin.
A parte che per restaurare l’URSS ci vorrebbe un minimo di rilancio dell’ideale socialista, che Putin e il suo principale alleato interno, la Chiesa Ortodossa Russa, considerano comunemente in odore di zolfo.
In realtà sembra piuttosto che Putin voglia costruire una Grande Russia nazionalista e nel contempo rivendicare uno spazio esterno di diretta influenza-ingerenza, se non una sorta di lebensraum slavo assimilabile a quello vagheggiato dalla Germania hitleriana.
Cosa possa esserci di accattivante in questo disegno per chiunque abbia e coltivi un retaggio di sinistra o persino comunista, a me pare difficile da comprendere.
Ma almeno non si faccia finta che vi sia nella Russia putiniana una qualche coerenza con quel retaggio.
Il vero retaggio è invece quello imperiale e autocratico, innestato in una Russia che ha intrapreso la propria via al capitalismo a gestione oligarchica.
Tutto sarebbe quasi legittimo almeno su un piano di realismo se non si trattasse di un regime armato fino ai denti e disposto a usarle, le armi, per affermare le proprie ragioni.
Si dirà (l’ho scritto spesso anch’io) che l’Occidente, in particolare gli USA e la NATO (sulla UE il discorso tuttavia è diverso), non hanno particolare legittimità a loro volta per dare alla Russia lezioni di antimperialismo ed è vero.
Sul fatto che la Russia abbia motivi fondati per denunciare che dopo la caduta dell’URSS la lunga fase dell’univoca pretesa egemonica degli USA e della NATO abbia puntato a stringerla in una sorta di assedio possiamo senz’altro concordare.
In sovrappiù anche irresponsabili interferenze di Paesi europei -in particolare della Germania- hanno certamente concorso in una certa fase a provocare una balcanizzazione di stampo post-jugoslavo dell’Ucraina.
Quello su cui ci dobbiamo interrogare è se la reazione russa sia non solo congrua è proporzionata, ma anche politicamente e persino eticamente accettabile nel 2022.
USA e NATO sono appena usciti sconfitti dalla guerra afghana e non-vincitori dal cataclisma che hanno scatenato in Iraq, in Medio Oriente, in Nordafrica e a un realistico avviso, anche tenuto conto della divergenza di interessi via via maturata soprattutto fra gli USA e i Paesi leader della UE, non erano e non sono nelle condizioni di aggredire militarmente la Russia nè lo stavano programmando.
Anche l’ispirazione (addirittura “costituzionalizzata”) dell’Ucraina a entrare nella NATO è stata a lungo rinviata (per accoglierla ci vorrebbe l’unanimità degli Stati membri), anzi è emerso, proprio a fronte dell’insistente richiesta di garanzie da parte di Putin, che la questione non era proprio all’ordine del giorno della presente fase storica.
A proposito.
Putin ieri ha affermato, per rassicurare “la Nazione” alla quale era rivolto il suo discorso, che la Russia ogni volta che è stata aggredita ha vinto.
Vero.
Altrettanto vero che ogni volta che ha aggredito ha perso catastroficamente.
Fu così nella Prima Guerra Mondiale ed è stato così in Afghanistan. Nel primo caso finì la monarchia imperiale, la seconda volta finì l’Unione Sovietica.
Io insomma se fossi russo non mi sentirei affatto rassicurato da qualcosa che appare assai più di un indizio di avventurismo.
E mi domanderei come mai, settant’anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, un così grande Paese sia ridotto nelle attuali condizioni, con un PIL nazionale inferiore a quello italiano e un PIL procapite inferiore a quello della Bulgaria, con una popolazione diffusamente assai più povera della media occidentale, a parte gli oligarchi che si sono arricchiti spaventosamente cannibalizzando privatisticamente le proprietà un tempo statali.
Forse proprio, o almeno anche perché anche Putin, come gli ultimi dirigenti sovietici, ossessionato dagli incubi dell’accerchiamento e preso da altrettanto ossessivi impulsi imperiali, spende gran parte delle entrate e dei proventi commerciali del Paese in armamenti.
Ha dimenticato forse che in quel modo l’URSS ha finito per perdere la Guerra Fredda e per schiantarsi.
Ma non so cosa pensino realmente i russi. Forse non possono neppure pensarlo o comunque dirlo del tutto liberamente, certamente non in una situazione di stato di guerra.
Bisognerebbe peraltro sapere anche cosa ne pensano i comuni cittadini ucraini schiacciati fra l’una e l’altra fazione estremista del loro Paese.
Ecco perché chiedere a Putin di fermarsi era così necessario nei giorni scorsi.
Dismesse le fantasie ideologiche dopo il furente discorso anticomunista alla Nazione dell’altro ieri, molti simpatizzanti “di sinistra” di Putin oggi ripiegano sul sostegno alla sua “lotta contro l’imperialismo americano e NATO.”.
Continuano a non capire gran che della situazione.
Putin sta probabilmente cercando di rallentare qualcosa che sotto la concomitante, ancorchè reciprocamente competitiva spinta di USA e Cina è pienamente in atto e non si può più fermare, ma che andrebbe semmai corretta in radice, prima che stracci quel che resta delle speranze di un sistema economico globale ecologicamente, socialmente, democraticamente sostenibile.
Una nuova rivoluzione industriale fortemente improntata dalle nuove tecnologie energetiche e digitali.
Fa leva sul gas, Putin, materia prima indispensabile per la transizione e sulle difficoltà dell’Europa, che su quella transizione punta tutte le sue carte, ma che non ha l’autosufficienza energetica degli USA nè le disponibilità dei paesi produttori arabi alleati degli USA, da entrambi i quali tuttavia non potrebbe mai separarsi più di quanto possa reggere l’interruzione degli scambi commerciali attuali con la Russia o compromettere in prospettiva quelli con la Cina.
E noi? Noi europei? Noi pacifisti?
Intanto (notizia fresca fresca) come europei ci siamo giocati il gasdotto NordStream2: il Cancelliere Sholtz ha appena dichiarato che la Germania non ne autorizzerà l’utilizzo.
Non è soltanto il fatto che dovremo prepararci a dipendere di nuovo energeticamente dagli alleati arabi degli USA (e persino direttamente da forniture americane), a caro prezzo, a preoccuparmi. È che sulla “transizione green” energetica già volteggiava il permanere dell’opzione nucleare e ora questa prospettiva diventa assai più concreta.
Quanto a noi pacifisti il discorso diventa più serio ancora.
Non tutta l’opinione pubblica italiana fu favorevole alla decisione di intervenire militarmente bombardando la Serbia per difendere la pretesa secessionista del Kosovo.
I pacifisti italiani denunciarono allora la violazione palese dell’articolo 11 della Costituzione.
Ma si potrebbe ricordare che per quanto diventati progressivamente poco influenti i movimenti pacifisti non hanno mai avallato l’invasione dell’IRAQ, nè i bombardamenti in Siria, nè la guerra occidentale in Afghanistan.
Dovremmo sentirci politicamente e moralmente autorizzati, per coerenza, a condannare l’invasione russa dell’Ucraina.
Dividerci invece su questo mi pare davvero il segno dei tempi.
Tempi nei quali rischiamo di continuare ad andare mestamente di sconfitta in sconfitta.
Putin all’atto di comunicare l’invasione in corso ha minacciato chiunque voglia ingerirsi o interferire su quelli che dichiara essere interessi non negoziabili della Russia.
Io sono per interferire.
A modo nostro, da pacifisti, non da atlantisti nè da sostenitori di Putin, non da fautori delle ritorsioni, ma da opinione pubblica che rifiuta ogni guerra.
Personalmente perciò lo dico subito.
Niente scuse o pretesti.
Ogni invasione è un’invasione.
La Russia deve ritirarsi dall’Ucraina.
Questa è la base di principio.
Poi si torni al tavolo delle trattative: ma su quel tavolo nessuno più appoggi la pistola.

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