Scuola. Cosa possiamo aspettarci dal ministro Valditara?

19 Novembre 2022
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Caterina Gammaldi - CIDI Naz.

In genere non mi esprimo senza  aver ascoltato le dichiarazioni programmatiche del Ministro pro tempore.
Faccio eccezione questa volta  perché ho buona memoria di un passato recente che sul finire del 1900 e nei primi 10 anni del 2000 ha attraversato il mio percorso di insegnante.
Confesso che, quando ieri sera ho letto i nomi dei quattro consiglieri del Ministro non ho potuto non riandare al tempo in cui sono stata protagonista, in qualità di  componente eletta del CNPI dei processi di riforma. Una stagione che non può essere archiviata, soprattutto se si legge  come una scelta che prelude a politiche scolastiche dell’attuale governo in carica.
Parlo del periodo  1997 - 2012 di cui sono stata testimone diretta da insegnante in servizio, prima come presidente del Comitato Orizzontale della Scuola Media, poi nell’ ufficio  di presidenza dell’allora  Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione.
I lunghi anni di questo percorso sono stati per me anni importanti, di crescita politica e professionale.
Da insegnante di periferia sono stata catapultata negli uffici di ministri e consiglieri, di funzionari dell’amministrazione scolastica, sindaci e assessori, nelle sedi dei partiti politici con i  responsabili dei sindacati e delle associazioni professionali, nelle commissioni parlamentari. Si discuteva  di autonomia scolastica, riforma dei cicli, innalzamento dell’obbligo di istruzione, di professionalità insegnante e della sua valorizzazione, si dialogava con il mondo della cultura, dell’università, si dava voce alla scuola.
Ho attraversato la penisola in lungo e in largo, trovando il pieno sostegno del personale della scuola ai processi di riforma e di quanti avvertivano l’esigenza di superare il rapporto centro/periferia.
L’idea che si potesse finalmente  innalzare l’obbligo di istruzione a 10 anni di scolarità e costruire una scuola di base secondo Costituzione in una nuova prospettiva di governo del sistema (da verticale a orizzontale) fu una splendida occasione per la scuola italiana e per il Paese.
Finalmente si tornava  a discutere di  cultura della scuola,  di dimensione formativa delle discipline,  di curricolo, di valutazione formativa. Finalmente la formazione degli insegnanti era considerata leva per una professionalità docente adulta,  soprattutto tornava al centro del dibattito e delle scelte di politica scolastica e delle scelte contrattuali.
Coinvolte le scuole e le rappresentanze sindacali e professionali ho avuto la sensazione che potesse aprirsi una stagione reale di investimento sul sapere scolastico e sui diritti di chi apprende, archiviando l’idea di  scuola/spesa a vantaggio di un cambiamento.
Una stagione, purtroppo  brevissima , perché il  governo successivo (ministro Moratti) cancellò  d’un colpo sia  la legge 9/99 ( innalzamento dell’obbligo) che la legge 30/2000 ( riordino dei cicli), emanando la legge 53/03 e gli atti normativi successivi.
La svolta determinò un arretramento anche dal punto di vista culturale, pedagogico e metodologico – didattico. Fu  la sconfitta dell’individualizzazione (obiettivi comuni, strategie diverse) a vantaggio della personalizzazione (eccellenza cognitiva), una sterile contrapposizione fra persona e individuo, di fatto una impostazione cara a chi pensava ( e pensa ancora ) che  a scuola a ciascuno debba essere garantito  il suo (se è poco meglio è).
Il disorientamento degli insegnanti di quegli anni fu aggravato anche da scelte editoriali sbagliate  e da proposte di formazione in servizio confuse che portarono, con un breve discutibile intervallo, a una progettazione didattico - educativa statica del curricolo, anche a causa di operazioni di contenimento della spesa pubblica e di scelte coerenti con i piani di studio personalizzati (non dimentico la convivenza per lunghi anni di testi con approcci culturali diversi quali le Indicazioni nazionali del 2007 e i Piani di studio personalizzati del 2004),  sanata solo nel 2012. Né dimentico le scelte fatte nel 2010 per la scuola superiore (ministro Gelmini) in nome del contenimento della scuola pubblica (saturazione delle cattedre a 18 ore, riduzione del monte ore di lezione soprattutto nei professionali), Indicazioni nazionali dei licei e Linee guida per i tecnici e i professionali.
Documenti che conservano PECUP, OSA…  secondo la prospettiva della personalizzazione  e una impostazione economicistica, archiviando   la scuola istituzione della Repubblica cara a Calamandrei e a De Mauro, una scuola che   era ed è per noi una impresa culturale.
La situazione è già grave così, ma se penso alla deriva delle filiere produttive, al peso dell’impresa nell’istruzione tecnica e professionale, alla non equivalenza dei tre profili d’uscita dalla scuola superiore, ancora vigenti, non posso non pensare che stiamo ricostruendo le ragioni di chi aveva governato quel cambiamento e pretende di rinforzarlo nei prossimi anni con atti amministrativi e scelte discutibili.
Nel breve periodo in cui tornò  al governo Prodi (ministro Fioroni), fra “cacciavite”  e obbligo di istruzione a 16 anni  si aprirono varchi enormi nel rapporto con scuola/ formazione professionale fino alla scelta dell’obbligo nell’ apprendistato e nei corsi serali dove chi non aveva percorso l’obbligo di istruzione a scuola era ammesso. E’ in quel contesto che si sono accentuate le differenze nei percorsi di studio e quindi fra gli studenti, soprattuto in quelli frequentati dai più deboli.
Non risolta la dispersione, non emanate leggi finalizzate a sostenere le politiche attive del lavoro, non interventi sui  NEET…. e poi si osa dire che questi problemi possiamo risolverli diversificando i percorsi formativi o affidandoli al terzo settore, al fuori scuola.
Se si volessero davvero  leggere  i ritardi strutturali e culturali del Paese, se si volesse davvero  intervenire per rimuovere gli ostacoli è da lì che si dovrebbe partire. Ma si preferisce fare orecchio da mercante! Gli ultimi tre anni non hanno insegnato nulla.
Intollerabile in quegli anni fu anche la riproposizione del voto nel primo ciclo( Tremonti - Gelmini), che ancora oggi  impedisce la verticalizzazione, un bene prezioso da coltivare proprio per la presenza dei tanti comprensivi e per la stessa idea di scuola di base, di tutti e di ciascuno.
E ora il ministro annuncia che ha scelto i suoi consiglieri, che rappresentano per idee, studi, esperienze, proposte d’altri tempi, che poco hanno a che fare con la scuola della Costituzione,  che non lascia indietro nessuno.
Ai dubbi che avevo riguardo alle note del ministro per gli attacchi impropri per l’attacco alla libertà di insegnamento, aggiungo che  trovo pericolosa l’affermazione che ne farà ancora perché è un suo diritto e un suo dovere.
Chi ha vissuto a scuola per quaranta  anni e nel palazzo per sedici lunghi  anni, ancorché da consigliera e componente eletta dalla scuola, anni in cui ha avuto modo di esaminare leggi, decreti e documenti per esprimere pareri e redigere pronunce di iniziativa del consiglio, ha il diritto e il dovere di non tacere.
Il buongiorno si vede dal mattino. E il ministro non ha ancora fatto le sue dichiarazioni al Parlamento!

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