Statutaria: il 30 la Corte d’appello decide

28 Giugno 2008
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Benedetto Ballero

Anche se la Corte d’Appello di Cagliari, dopo la decisione della Corte Costituzionale, dovrà ancore mettere la parola fine, nel lungo iter della legge statutaria della Sardegna, questa è già stata definitivamente bocciata dal corpo elettorale che, con la larga maggioranza di coloro che hanno votato, non ha avallato, come vuole la Costituzione ai fini della promulgazione, il voto del Consiglio Regionale.
L’art. 15 dello Statuto Speciale prevede infatti che “la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”,  ed in armonia con tale norma, di valore costituzionale, la legge regionale del 2002, che regola tale referendum, prescrive che la promulgazione può avvenire solo se il referendum ha dato un “risultato favorevole”.
Nel caso in esame non sussiste né l’una cosa né l’altra, pur se entrambe dovrebbero sussistere perché possa essere legittimamente promulgata la legge statutaria. 
In ordine al problema della sua promulgazione o meno comunque, nulla dirà,  probabilmente, la Corte d’Appello di Cagliari che si pronuncerà lunedì 30 giugno 2008.
Essa potrebbe adottare quattro soluzioni alternative, a seconda dell’interpretazione delle norme coinvolte che farà propria, ed esse sono le seguenti.
La prima è che si limiti ad attestare l’esito del voto pronunciando che vi sono stati 153.053 e soltanto 72.606 elettori che si sono espressi a favore della legge.
La seconda soluzione è che attesti tali voti, e poi concluda, come ha fatto l’Ufficio Centrale per il referendum della Suprema Corte di Cassazione per le leggi Costituzionali, affermando che “il risultato del referendum non è stato favorevole all’approvazione della legge”.
La terza soluzione è che la Corte d’Appello, sempre dopo aver dato atto dei voti espressi, concluda affermando che, avendo partecipato meno di un terzo degli elettori, “il referendum non è valido”. Ciò ovviamente se ritenesse applicabile, il che non è, la disposizione che prevederebbe anche per tale tipo di referendum una partecipazione minima di un terzo degli elettori.
La quarta soluzione è che la Corte, sempre dopo aver dichiarato numero di voti e non validità del referendum, completi la propria decisione, in sintonia con l’insegnamento della Corte di Cassazione, affermando anche che, quindi, “il risultato del referendum non è stato favorevole all’approvazione della legge”.
E’ certo tuttavia che, quale che sia la formula che la Corte vorrà adottare, non sussistono le condizioni che, per Statuto, sono necessarie perché la promulgazione possa avvenire.
Sarebbe, pertanto, una scelta saggia se il Presidente volesse prendere atto di ciò e, tanto più oggi dopo le sentenze della Corte Costituzionale che ha annullato tasse sul lusso e legge di bilancio, rinuncerà alla promulgazione che, se effettuata, potrebbe essere impugnata dal Governo, o dai giudici comuni in via incidentale, nanti la Corte Costituzionale che, magari tra un anno, ne dichiarerebbe la illegittimità costituzionale.
Se così avvenisse la legislatura in corso accumulerebbe, a ben oltre otto anni, il ritardo con cui la Sardegna avrà un nuovo Statuto ed una valida Legge statutaria, che pure sono all’odg sin dalle modifiche costituzionali del 2001.  
Costituirebbe, invece, il rilancio di una reale opera riformatrice, e sarebbe nel contempo un gesto importante di apertura a tutte le altre forze del centro sinistra, ed a quelle del centro che hanno chiesto il referendum, se il Presidente, senza fare alcuna forzata  promulgazione, deciderà di riportare, come iniziativa della Giunta Regionale, il testo della legge statutaria in Consiglio regionale per apportarvi quelle modifiche che potranno poi consentire una votazione pressoché unanime e la promulgazione tre mesi dopo.
Sarebbe, infatti, sufficiente, a tal fine, introdurre norme più equilibrate sulla forma di governo (alcune di quelle dello Statuto Toscano, ad esempio), sulle diverse forme di referendum, modificare la normativa, oggi del tutto inadeguata, sul conflitto di interessi, ed introdurre norme di garanzia per l’autonomia comunale, che consentirebbero di avere un testo largamente condiviso ed in vigore, definitivamente, sin dal 2008.

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