Sussulto di dignità

25 Gennaio 2011
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Francesco Cocco

Forse dovrei riuscire a mantenere i nervi saldi e a non indignarmi per la decisione assunta da alcuni amministratori del Nord-Est di eliminare dalle biblioteche dei Comuni da loro amministrati i libri di Saviano, Carlotto, Evangelisti, Pennac, Grimaldi (i più conosciuti ma non gli unici). Il provvedimento viene motivato per avere detti scrittori firmato nel 2004 una richiesta di scarcerazione di Cesare Battisti, terrorista pluriomicida. Battisti certamente non merita alcuna solidarietà ma nulla può giustificare un provvedimento di messa al bando di libri che spesso hanno raggiunto il vertice nelle classifiche letterarie.
Forse dovrei limitarmi ad un giudizio di condanna puramente razionale perché i leghisti da tempo ci vanno abituando a comportamenti di gretta chiusura. Ma confesso che simili iniziative mi sollecitano sul piano dei sentimenti prima ancora della ragione. Mi viene alla mente il rogo di libri promosso nel 1933 da Goebbels, ministro della propaganda nazista, nell’ Openplatz di Berlino, o i libri dati alle fiamme (talvolta con i loro autori) dalla “Santa” Inquisizione, ed ancora (con tutto il rispetto per la componente democratica di Israele) il rogo del Nuovo Testamento disposto nella città israeliana di Or Yehuda su disposizione di Uzi Aharon, vice-sindaco ultraortodosso di quella città.
Forse non m’indigno abbastanza, e in qualche modo sto finendo per accettare un andazzo che lentamente va corrodendo le nostre coscienze e ponendo ai margini alcun secoli di civiltà umana e giuridica. Eppure l’Italia e la Sardegna sono terre che hanno visto il nascere e il formarsi di grandi spiriti da cui dovremmo trarre costante esempio per modellare i nostri comportamenti.
Qualche speranza mi viene dall’affacciarsi sulla stampa della parola “dignità” in riferimento alle attuali vicende del presidente del consiglio. Così come vedo ricomparire la parola “moralità” come elemento che dovrebbe segnare una svolta in positivo delle nostre vicende istituzionali.
Da lungo tempo, specie dalla nascita della cosiddetta “seconda repubblica”, queste parole sono non solo desuete ma irrise. Chi osava richiamarle veniva subito tacciato d’essere demodé e moralista. Anche se a teorizzare l’inscindibilità della politica dalla morale erano uomini dello spessore di Norberto Bobbio.
Eppure nella vita istituzionale, dignità significava aver dimostrato col proprio comportamento d’essere “degno” di ricoprire un incarico pubblico. Era una qualità che derivava dall’impegno dimostrato nell’assolvere ad un ruolo sociale o istituzionale, di “base” prima e poi di “vertice”. Da qualche tempo, in nome del nuovismo, si è accettato l’autoproporsi e l’autopromuoversi, di per sé non raramente antitetici al concetto stesso di dignità.
Mi fa piacere che il segretario del maggior partito di opposizione abbia ricordato l’art. 54 della Costituzione nella parte in cui richiama il dovere per chi è chiamato a funzioni pubbliche di adempierle con “disciplina e onore”. Sono, queste ultime, categorie che compendiano e non possono prescindere dalla dignità e dalla moralità. E’giunto il tempo di tornare ad una dimensione della politica e delle istituzioni che segni la rinascita dello spirito pubblico. Solo così possiamo evitare di precipitare nel baratro verso il quale siamo avviati, purché ciascuno di noi si accolli la sua parte d’impegno per piccola o grande che sia.

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