Più il leader è carismatico, maggiori i controlli

26 Febbraio 2011
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Gianluca Scroccu

Democrazia dispotica, Democrazia autoritaria, Democrazia senza libertà, Postdemocrazia e tanti altri titoli sul male attuale della democrazia. Un fiume di inchiostro per metterci sull’avviso che la vecchia teoria degli “checks and balances” è ancora attuale e che i pesi e i contrappesi, da aggiornare continuamente, sono l’unico antidoto contro le tendenze autoritarie e autocratiche. Ecco una nuova riflessione, questa volta di Sergio Fabbrini sulla leadership carismatica, presentata da Gianluca Scroccu.

Come nasce una leadership carismatica? È giusto che una volta giunta al potere governi senza contrappesi o piuttosto è fondamentale, per evitare degenerazioni, porre dei limiti a tanta forza personale e mediatica? Sono interrogativi centrali in un’epoca come la nostra caratterizzata dall’ascesa di uomini politici capaci di vincere elezioni e guidare governi sulla base del proprio fascino o della propria storia individuale. Su questi temi ha riflettuto Sergio Fabbrini nel suo ultimo volume Addomesticare il Principe. Perché i leader contano e come controllarli (Marsilio, pp. 206, € 15). Docente di Scienza Politica e Relazioni Internazionali in prestigiose università italiane ed americane, autore di importanti saggi sui sistemi politici europei e statunitensi, l’autore analizza la politica contemporanea a partire dall’elemento caratterizzante di questi ultimi anni, la personalizzazione. Vengono così ricostruite le storie e le vicende di governo di leader assai eterogenei ma accomunati da questa fisionomia di “moderni principi” come Tony Blair, Nicolas Sarkozy, Silvio Berlusconi e Barack Obama. La necessità di evitare i rischi di una leadership eccessivamente carismatica non significa, peraltro, impedire che trovino spazio personalità capaci di catturare e sintetizzare i desideri e le aspirazioni dei cittadini. Il problema, come scrive l’autore, è piuttosto quello di limitarne l’eventuale strapotere attraverso quei contrappesi istituzionali che devono essere garantiti per evitare che ci sia qualcuno che si reputi al di sopra delle leggi. L’assenza di vincoli e di un sistema di barriere in grado di bilanciare eventuali squilibri o monopoli possono infatti indebolire progressivamente le garanzie democratiche e costituzionali. Del resto non esistono persone insostituibili e neppure è possibile pensare che un individuo, per quanto bravo, ricco e carismatico, possa essere in grado di reggere da solo sistemi complessi come le democrazie di questo nuovo millennio. Occorre inoltre evitare che queste figure diventino polarizzanti e inneschino schemi guidati dalla contrapposizione netta tra chi le sostiene e chi le avversa. Una dialettica amico/nemico, molto simile alle logiche presenti nelle tifoserie sportive, che rischia di proliferare grazie all’uso sempre più invasivo e determinante della televisione nell’agone politico, il cui caso più eclatante è rappresentato sicuramente dall’Italia dove il premier Berlusconi è arrivato a sommare proprio il potere esecutivo e quello della proprietà monopolistica delle tv. Una situazione acuita dalla crisi dei partiti politici, sempre meno capaci di mobilitare ed informare i loro elettori, e dai processi di americanizzazione ed europeizzazione che hanno determinato un rafforzamento delle prerogative dei governi costretti a decidere, e in fretta, su questioni sempre più globali. Del resto non è detto che in questi scenari ad emergere siano personalità di talento, perché può accadere che di tutto questo si avvantaggino individui dotati di ricchezze personali o mediocri intellettualmente ma abili nello sfruttare retoriche attraenti per il corpo elettorale come quella vecchio/giovane. Non tutte le leadership, in sostanza, sono rappresentate da personalità come Obama, in grado cioè di costruire narrazioni in cui i cittadini possono riconoscersi per recuperare la speranza di cambiare in meglio la realtà.
I problemi sono certamente complessi, anche se sarebbe opportuno, come scrive Fabbrini, che una democrazia solida fosse in grado di assicurare una doppia esigenza in chiave parallela: quella di governare e di controllare chi governa.

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