Fukushima e la ritirata della gioiosa macchina nuclearista…ma occorre mantenere la mobilitazione

27 Aprile 2011
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Gonario Francesco Sedda

A proposito dell’incidente della piattaforma fuori costa per l’estrazione del petrolio nel Golfo del Messico ho scritto [Democrazia Oggi, Ambiente, 7 Luglio 2010] che era «stata sconquassata l’irragionevole fiducia sull’assoluta sicurezza della tecnologia, che si basa su una specie di superstizione tecnologica piuttosto che sulla scienza». Ho scritto che i propagandisti del “rinascimento nucleare” non potevano far finta che tale sconquasso non li riguardasse nel momento in cui si preparavano a mettere in movimento la loro gioiosa macchina da guerra per dare agli italiani dubbiosi “una coscienza nucleare scientificamente e tecnicamente ben orientata” (della quale – secondo F. Conti, amministratore delegato dell’ENEL – sarebbero in possesso solo i tecnici nuclearisti, i grandi dirigenti ben pagati e il profeta Chicco Testa). Ancora ho scritto che «una coscienza nucleare “scientificamente e tecnicamente ben orientata” non dovrebbe puntare sull’occultamento del carattere problematico della sicurezza tecnologica – soprattutto nel caso di sistemi complessi», concludendo che «l’evento Cernobyl non può essere sradicato da una coscienza civile “scientificamente e tecnicamente ben orientata”, nonostante i tentativi di spiegarlo in termini di eccezionalità (per il tipo di reattore e per il contesto della sgangherata URSS). E nessuno può assicurare in modo assoluto che non vi sarà in tempi storici qualche disastro nucleare – indipendentemente dal tipo di reattore e dal contesto geopolitico – con conseguenze paragonabili al caso Cernobyl o anche peggiori».
Purtroppo il nuovo disastro di Fukushima ha dissipato questa preoccupazione metodologica troppo presto e proprio con conseguenze così gravi da uguagliare e forse superare quelle dell’accidente di Cernobyl.
Non vi può essere nessun compiacimento nell’aver ragione a questo prezzo. Il “tanto peggio tanto meglio” non vale nella politica in generale e ancor meno in questo caso. Se e intanto che il nucleare esiste perché non siamo riusciti a smantellarlo o a bloccarne il suo sviluppo, noi siamo i più esigenti nel pretendere miglioramenti e innovazioni nel campo della sicurezza e della normativa che la riguarda e i più attenti nel monitoraggio dei comportamenti reali dei proprietari e dei gestori di impianti elettronucleari. Anche perché per gli affaristi (in questo come in altri campi) qualsiasi tragedia non è mai troppo. Per loro il tempo della riflessione non è mai sufficiente e pretendono di averne ancora di più per il futuro fino a nuovi e più gravi disastri che non saranno mai risolutivi.
Ma ora l’apparato ideologico del “rinascimento nucleare” (intellettuali organici, tecnici, chiacchieroni da bar dello sport, dispensatori di buon senso, ecc.) è sconquassato.
La soporifera campagna pubblicitaria a favore del nucleare è scoppiata come una bolla di sapone. La sua velenosa amichevolezza, il suo apparente equilibrio dialogico (in realtà spostato ingannevolmente a favore dei committenti “nucleorinascimentali”) sono stati dissolti tragicamente in poche settimane.
La gioiosa macchina da guerra dei crociati “impassibili” è in ritirata. Sarebbe ingenuo aspettarsi che i capi di questa potente armata se ne stiano fermi permettendo che una ritirata si trasformi in una disfatta. Il tentativo (mediante la sua estensione governativa) da parte del blocco di interessi direttamente coinvolto nell’affare nucleare di far saltare o comunque depontenziare il prossimo referendum nazionale indica l’intenzione di coprire la propria ritirata per garantirsi il minimo delle perdite.
Ma oltre al non essere ingenui è anche necessario evitare errori di comunicazione. L’avversario è in difficoltà, è in ritirata. Il boicottaggio del referendum sul nucleare (e anche sull’acqua e sul “legittimo” impedimento) è una manovra difensiva di difficile gestione e scarsi risultati. Occorre restare vigili a ogni passaggio dell’azione dell’avversario, ma conservare assieme la fredda consapevolezza che ad esso spetterà una sola magra alternativa: una disfatta o una sconfitta pesantissima.
Probabilmente il blocco per decreto del programma governativo per un ritorno al nucleare non basterà per evitare il relativo referendum. Ma anche se ciò accadesse, riprendere il cammino interrotto in un clima di ostilità diffusa sarebbe cosa molto difficile in generale e ancor di più in questa ultima parte della legislatura che sarà comunque una ininterrotta campagna elettorale.
In Sardegna abbiamo una occasione in più per dare un segnale col nostro referendum: il nucleare non lo vogliamo né qui né altrove. Andiamo a votare “coscienti ed emozionati”.

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