Base Usa Vicenza, via libera dal Consiglio di Stato

30 Luglio 2008
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«Consenso governo è atto politico insindacabile»

ROMA (29 luglio) - Il consiglio Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero della Difesa contro l’ordinanza del Tar del Veneto che il 18 giugno scorso aveva accolto la domanda di sospensione dei provvedimenti relativi alla realizzazione del progetto Dal Molin di ampliamento della Base militare Usa di Vicenza. Ribaltata quindi la decisione dei giudici del tribunale amministrativo regionale che avevano ritenuto fondati i motivi del ricorso presentato nel settembre 2007 dal Codacons del Veneto e dall’ Ecoistituto Alex Langer di Mestre contro la realizzazione della base mlitare. Tra le motivazioni alla base della decisione del Consiglio di Stato il fatto che il parere positivo del governo è un atto politico insindacabile, che l’ampliamento della base non può dipendere da un parere popolare e che i danni ambientali segnalati dal Tar sono privi un riscontro reale.
«Atto politico insindacabile». Una delle ragioni che hanno indotto la IV Sezione del Consiglio di Stato a non condividere le valutazioni del Tar è che «il consenso prestato dal Governo italiano all’ampliamento dell’insediamento militare americano all’interno dell’Aeroporto Dal Molin è un atto politico, come tale insindacabile dal giudice amministrativo, secondo un tradizionale principio sancito dall’art. 31 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato». Questa insindacabilità - spiega Palazzo Spada - «riguarda non solo il contenuto dell’atto, ma anche, a maggior ragione, la sua forma, propria dell’ordinamento nel quale l’atto si è formato». Il nulla-osta del Ministero della Difesa - è detto in una nota del Consiglio di Stato - «si inquadra nella procedura appositamente prevista per le attività a finanziamento diretto statunitense (secondo quanto previsto dall’accordo bilaterale Italia - Stati Uniti d’America del 20 ottobre 1954, tuttora coperto da classifica di riservatezza) la cui realizzazione è demandata ad una apposita Commissione mista costruzioni (CMC), costituita nell’ambito della Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della Difesa».
«Non previsto parere popolare». L’altro motivo a fondamento della decisione del Consiglio il fatto che il via libera all’ampliamento della base non può dipendere dall’esito della consultazione della popolazione interessata e non risultano «riscontri concreti» sui rischi di danno ambientale indicati nella ordinanza del Tar del Veneto. «Non rientra nella procedura di autorizzazione ad un insediamento militare, di esclusiva competenza dello Stato, la consultazione della popolazione interessata - è detto in una nota - nè tanto meno essa è prevista nella procedura risultante dal Memorandum del 1995; tale consultazione è stata soltanto ipotizzata nelle dichiarazioni del Ministro della Difesa pro tempore in sede parlamentare». Palazzo spada sottolinea, inoltre, che «la realizzazione di infrastrutture sul territorio nazionale, finanziata dagli Stati Uniti, è disciplinata dal Memorandum del 1995, che prevale sulla disciplina italiana e comunitaria in materia di procedure ad evidenza pubblica per l’ assegnazione delle commesse pubbliche». Quanto ai profili di danno ambientale segnalati nell’ordinanza del Tar, la quarta sezione li ritiene «privi di riscontri concreti, anche in relazione alla successiva autorizzazione alla progettazione dell’intervento sul lato ovest dell’Aeroporto - per cui si è rivelato determinante l’impulso del Commissario straordinario - che ha spostato il progettato ampliamento su una area già destinata prevalentemente ad attività aeroportuale e di cui è prevista la dismissione da parte della amministrazione militare italiana, senza quindi alcun cambio di destinazione d’uso».

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Fin qui la notizia. La decisione però ha implicazioni più generali. Anzitutto consente alcune osservazioni sulla giustizia amministrativa nel nostro Paese. Il Consiglio di Stato è un organo di giustizia amministrativo che, a volergli dare un corpo, ricorda i mostri dell’antica mitologia greca: è un organo per metà consultivo del governo e per metà giudice nella controversie fra cittadini e Governo (e pubblica amministrazione in genere) aventi ad oggetto nientemeno che l’esercizio del potere amministrativo. Questa innaturale commistione fa sì che i Consiglieri di Stato sia spesso chiamati a ricoprire importanti incarichi fiduciari presso i ministeri o il governo. Una parte dei Consiglieri di Stato sono poi di nomina governativa. L’organo è, dunque, molto sensibile alle ragioni del Governo, soprattutto ove si tratta di questioni di notevole rilevanza. E’ più affidabile quando giudica su ricorsi aventi ad oggetto atti di amministrazioni locali, sempre che non si tratti di questioni d’interesse nazionale.
Effettivamente l’atto di autorizzazione ad ampliare una base militare straniera ha una certa rilevanza politica. Ma nel diritto pubblico moderno gli atti politici, come tali sottratti al giudizio del Tar e del Consiglio di Stato, costituiscono numerus clausus, sono insomma espressamente previsti dalle norme costituzionali. Tali atti, pertanto, devono essere necessariamente formalizzati, perché il potere, negli ordinamenti democratici, non può esprimersi per le vie di fatto. La forma, insomma, è sostanza. Per capirci, come Soru non poteva dare un assenso verbale allo smaltimento dei rifiuti campani in Sardegna così il Governo italiano non poteva consentire a parole l’ampliamento della base. L’ammettere che il potere possa esprimersi senza formalità ci riporta all’epoca precostituzionale in cui il principe, legibus solutus, esprimeva il proprio volere senza vincoli formali e sostanziali.
La vicenda di Vicenza presenta un duplice vulnus ai principi dello Stato di diritto e degli ordinamenti democratici: anzitutto perché si ammette un intervento di una potenza straniera sul nostro territorio senza alcun atto formale di autorizzazione (ossia in via di fatto); secondariamente, perché, in violazione del principio democratico, si rende, in questo modo, insindacabile qualunque decisione, anche se fortemente contrastata dai cittadini. E si ricordi che l’articolo 3 della Costituzione, al secondo comma, enuncia il principio di eguaglianza in senso sostanziale proprio al fine di consentire “la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica e sociale del Paese”.
La decisione desta dunque forti preoccupazioni perché quando, di fronte all’arroganza e all’arbitrio del potere, vien meno anche l’argine costituito dalla giurisdizione, vuol dire che i tempi stanno tornando bui.
A. P.

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