Sanità pubblica: per salvarla occhio alla spesa

24 Dicembre 2011
1 Commento


Tonio Barracca

Avere la botte piena e la moglie ubriaca è una pia illusione. La sanità sarda sta accumulando perdite, disavanzi ad un ritmo accelerato, incompatibile con la nostra capacità di spesa. Nel settembre 2010 la spesa fuori controllo è stata di 200 milioni. Il fabbisogno per la sanità per il 2011 è stato di 3miliardi e 100milioni, quasi la metà della finanziaria in via di approvazione. La spesa è cresciuta di 600milioni rispetto al 2006 e nel 2014 la crescita sarà di 1miliardo. Qualcuno si sta accorgendo di ciò? Pensa che approvando in tre mesi una riforma sanitaria tutto verrà portato sotto controllo? Ci sono molti modi per definire come debba essere un servizio sanitario. Ma non è un capriccio definire dei principi ispiratori. A me piace quello di Richard Smith che è stato editor del Britisch Medical Journal. “Il miglior servizio sanitario è quello che definisce le risorse che una società vuol destinare all’assistenza sanitaria e che quindi fornisce servizi in modo esplicitamente limitato sulla base della loro provata efficacia”. L’assistenza sanitaria deve perciò essere organizzata sulla base delle conoscenze scientifiche ed i suoi risultati, rispetto alle risorse impiegate, debbono essere prevedibili, chiari e conosciuti. Tutto il contrario di quanto si può leggere nei bilanci annuali delle ASL della Sardegna nei quale si indicano i “costi di produzione”, si certifica la “Perdita netta dell’esercizio” (in milioni di €.) e si conclude: ”si ritiene di trovare copertura mediante l’intervento finanziario a ripiano da parte della Regione Sardegna, così come avvenuto per gli esercizi precedenti”. Forse è arrivato il momento di definire dei principi. Definire le risorse che vogliamo destinare all’assistenza sanitaria; i risultati che vogliamo raggiungere; il personale che ci serve; cosa fare dei 900 medici, che secondo l’Assessore alla Sanità, sono in esubero: continuare a spendere 45milioni di €/anno di stipendi o ridurne severamente il numero; se vogliamo dedicare il 45 % della spesa per gli ospedali o scendere, come fan tutti, al 35 %; chiudiamo gli ospedali che non servono, li riconvertiamo per l’assistenza agli anziani o ascoltiamo le sirene dei sindaci e li lasciamo aperti perché portano voti. Se siamo a questo punto è perché tutte le riforme di questi anni sono fallite. Discutiamone, facciamolo in pubblico. Interressa tutti avere una sanità migliore.

1 commento

  • 1 marco ligas
    24 Dicembre 2011 - 13:41

    Caro Tonio, credo che sia difficile trovare qualcuno soddisfatto del come funziona il sistema sanitario nel nostro paese. E’ inadeguato rispetto ai bisogni dei cittadini, è organizzato piuttosto male e gli sprechi non mancano.
    Senza avere la pretesa di scoprire il mondo, io correggerei la definizione del dottor Richard e direi che “Il miglior servizio sanitario è quello che definisce le risorse che una società dovrebbe destinare all’assistenza sanitaria (ripeto in base ai bisogni dei cittadini); questo servizio dovrebbe essere fornito in modo esplicitamente essenziale (non limitato) sulla base della sua provata efficacia”. Fare questo è difficile? Certamente, soprattutto se si riducono le risorse da destinare al sevizio. Ma una diversa politica delle entrate potrebbe produrre effetti diversi. Il dibattito di queste settimane sottolinea questa possibilità. Per esempio: perché non ridurre le spese militari, perché non tassare i capitali mobili e immobili, perché non contrastare l’evasione fiscale, e così via. Da queste decisioni si potrebbero ricavare risorse da utilizzare anche nel settore sanitario, senza trascurare gli investimenti tesi alla crescita (so bene che a questo proposito dovremmo fare una riflessione ben più ampia). Facendo queste considerazioni non intendo certo difendere le politiche fallimentari di molte ASL, né contrastare l’esigenza che sottolinei che è quella, se ho capito bene, di evitare gli sprechi puntando ad una maggiore razionalità. Però garantiamo il diritto alla salute, e gli interventi che sono necessari, a tutti.

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