Quella vela contro il regime

25 Aprile 2008
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Enrico Palmas, Carlo Dore jr.

- Lussu, la Sardegna e il 25 Aprile –

Abbiamo riflettuto a lungo su quali parole potessero rappresentare nella maniera più adeguata il significato che una ricorrenza come il 25 aprile assume per ogni sincero democratico, specie nell’anno in cui il ritorno delle destre al potere ha coinciso con la cancellazione dal panorama parlamentare di alcuni partiti dell’area progressista, discendenti diretti di quelle forze della sinistra che della lotta partigiana costituirono il cuore e l’anima.
Ciò malgrado - di fronte al triste spettacolo offerto da un premier dilettante che dimostra candidamente di ignorare la storia dei fratelli Cervi o alle parole infuocate di un ex tribuno celtico che invita il suo popolo ad armare i fucili contro quanti si ostinano a definire l’Italia come “una e indivisibile”- , abbiamo pensato che un’immagine presa in prestito dalla Storia, dalla nostra Storia, costituisca ancora la miglior risposta a quanti di questa Storia vorrebbero riscrivere i passaggi fondamentali, nel vano tentativo di tramutare le vittime in carnefici, gli assassini in martiri, i dittatori in illuminati uomini di Stato. E’ l’immagine di un uomo in catene che naviga verso il confino, di una vela che attraversa veloce il golfo di Cagliari, di un grido di libertà scagliato in faccia ai gerarchi in camicia nera da un ragazzo di cui ignoriamo il nome.
Specializzatesi anche nel capoluogo isolano in temerarie azioni di rappresaglia verso uomini inermi, le legioni fasciste avevano individuato in Emilio Lussu “il tributo di sangue che la Sardegna doveva  offrire alla Marcia su Roma”. Così, in una notte d’autunno del 1924, una nutrita colonna di squadristi – capitanata (in base a quanto lo stesso Lussu racconta nel suo bellissimo “Marcia su Roma e dintorni”) da un ex parlamentare sardista, poi convertitosi al Fascio in cambio di un seggio sicuro in Parlamento e di un importante incarico governativo – si diresse alla volta di Piazza Martiri reclamando il pubblico linciaggio del Cavaliere dei Rossomori.
Tuttavia, al risuonare del primo colpo di pistola esploso dal vecchio capitano della Brigata Sassari all’indirizzo di uno dei militi che stentava la scalata al suo balcone, sembra che la vis guerriera che fino a quel punto aveva animato i moschettieri del Duce venne meno in un lampo. Mentre le Squadre della morte si disperdevano in ogni direzione, indifferenti agli ordini dei loro comandanti che invano tentavano di ricondurle all’assalto, le cronache del tempo raccontano di come un noto gerarca locale, credendosi a sua volta colpito, stramazzò al suolo tra lo sconcerto dei suoi stessi subordinati.
Ma nonostante la furiosa campagna colpevolista orchestrata nei giorni precedenti il processo dalla stampa di regime - i cui editorialisti richiedevano un verdetto esemplare sulla scia di quello assunto dai componenti dalla Corte d’Assise di Chieti, passati alla Storia per avere stretto la mano agli assassini di Matteotti dopo averne disposto il proscioglimento -, “c’era ancora un giudice a Cagliari” capace di considerarsi soggetto solamente alla Legge e non anche alla volontà del Tiranno.
In questo senso, la sentenza di assoluzione per legittima difesa pronunciata dalla Corte cagliaritana non si rivelò ovviamente idonea a salvare un uomo innocente dal confino, ma a risparmiare l’ennesimo affronto all’onore della Magistratura, già reiteratamente leso dalle inique pronunce dei tanti Tribunali speciali. E così, mentre Lussu veniva imbarcato sulla nave per Lipari, una vela bianca si materializzò inattesa nel porto del capoluogo, e il giovane che la conduceva agitò una mano gridando “Viva Lussu! Viva la Sardegna!”.
Non sappiamo a quale fine andò incontro quel ragazzo, né se quel grido riuscì a strappare l’ombra di un sorriso al Cavaliere dei Rossomori, ridotto in fin di vita da una malattia contratta durante la detenzione: tuttavia, ora che le destre sono tornate al potere e che un politico siciliano dal passato discutibile minaccia di emendare persino i testi scolastici “dall’ egemonia culturale della sinistra”, ci sembra ancora di sentire l’eco di quel grido salire alto dal porto fino ai bastioni.
Quel grido porta con sé la nostra speranza, la nostra capacità di ricordare da dove veniamo e a quali valori dobbiamo continuare a fare riferimento ora che il concetto stesso di “sinistra” sembra messo in discussione dall’incedere del tempo. Di più: quel grido esprime la nostra consapevolezza del fatto che qualsiasi tentativo di “revisionare” il corso degli eventi non potrà scalfire l’intensità di quell’immagine. L’immagine di un uomo incatenato per la forza delle sue idee, di una vela che squarcia l’azzurro del cielo, di un grido di libertà si solleva contro un regime sanguinario, di un sorriso forse appena accennato: questa è la nostra Resistenza, questo è il nostro antifascismo, questa è l’idea di democrazia in cui vogliamo continuare a credere.

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