La controriforma renziana della Costituzione

25 Gennaio 2016
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Marcello Tuveri

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Marcello Tuveri, fine cultore del diritto costituzionale, che aiuta a comprendere le ragioni del NO al referendum di ottobre. 

Il tema della riforma costituzionale dello Stato viene evocato dal Presidente del Consiglio dei Ministri in quanto lo considera elemento fondamentale per una svolta nel Paese e minaccia di abbandonare la politica se non avrà il conforto referendario favorevole.
Le attenzioni dell’opinione pubblica sono concentrate su altri problemi. La crisi economica e la scarsa fiducia sulle istituzioni si riflette automaticamente nel progettato cambiamento dei rapporti tra i poterifunzioni fondamentali dello Stato (Parlamento, Governo, magistratura, Presidente della Repubblica e altri organi di garanzia e di controllo). Chi comanderà in Italia con questa riforma? La questione sembra secondaria rispetto alla persistenza della disoccupazione specie giovanile, alla erosione del ruolo dei ceti medi, alla organizzazione dei sindacati, dei partiti, delle associazioni e ultimo e non meno importante delle banche.
L’idea che con questa riforma la Costituzione vigente sarà stravolta ed avrà, secondo l’opinione di moltissimi autorevoli costituzionalisti, un governo che viene definito come “primariato assoluto”. L’intento di superare la cronica debolezza dei governi (il cui numero nel corso dei 60 anni della Repubblica è superiore alle sue annualità di vita) si realizza mediante la semplificazione delle istituzione. Cioè risulta una “reductio ad unum” dei tre poteri fondamentali. In primo luogo con l’abolizione del bicameralismo paritario tra Camera dei Deputati e Senato, ritenuto da molti la causa prima della lentezza del procedimento legislativo.
In secondo luogo comprimendo i poteri delle Regioni e riducendo la risposta delle cllettività regionali quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero della tutela dell’interesse nazionale” art. 31 quinto comma del disegno di legge n. 1.429b.
In terzo luogo si prevede una riduzione dei costi della politica oltre che dalla soppressione delle Province, del Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro e dalla gratuità dei compensi per i Senatori che non verranno più eletti direttamente dal popolo, ma designati nel numero di 95 dalle Assemblee Regionali tra i Consiglieri e sindaci. Cinque Senatori saranno nominati dal Capo dello Stato che così disporrà di una percentuale di componenti maggiore di quella di un piccolo partito. La Camera dei Deputati manterrà la stessa composizione numerica, il Senato sarà invece ridotto a 100 componenti.
L’elezione dei Deputati secondo la legge elettorale Italicum vigente consentirà al Governo di avere la maggioranza con il consenso del 25% non dei cittadini, ma degli elettori, magari con l’astensione del 50% o più dei votanti.
La controriforma costituzionale prevede uno spostamento delle scelte politiche più importanti verso il Governo centrale e i suoi apparati amministrativi, violando palesemente il principio della sovranità popolare sancito dall’art. 1 secondo comma della Costituzione e negando il suffragio diretto delle elezioni ad un Senato al quale verrebbe confermata la spettanza di funzioni legislative e di quella di revisione costituzionale, funzioni che sono poste all’apice delle attività dello Stato (Pace).
Tra l’assenza di garanzie, oltre la riduzione della rappresentatività popolare del Senato vi è il potere di scioglimento delle Camere, oggi attribuito al Capo dello Stato. Con la legge elettorale maggioritaria “sarà il suo leader a decretare vita e morte della legislatura” (Ainis). Il ruolo che lo Statuto Albertino del 1848 che attribuiva al Re di Sardegna, Sovrano per grazia di Dio e volontà della Nazione” lo scioglimento delle
camere sarà nelle mani del Presidente del Consiglio dei Ministri.
La Corte Costituzionale, ha ricordato ancora Alessandro Pace, con la sentenza n.1 del 2014 ha stabilito che”l’esercizio del voto costituisce il principale strumento della sovranità popolare”. Cioè il voto dei cittadini è uno dei principi costituzionali supremi di ogni ordinamento democratico.
Ora un Senato composto in prevalenza da Consiglieri Regionali, dei quali la intensa attività della magistratura ha rivelato lo screditato uso di denaro pubblico per utilità personale, difficilmente potrà essere collocato correttamente alla rappresentatività del Senato federale della Germania, dell’Austria o di altri stati.
Altra importante dimostrazione della volontà di ridurre la partecipazione dei cittadini alle principali scelte sono la modifica del quorum del referendum popolare e del diritto di petizione. Nella Costituzione vigente deve essere sostenuto da 500.000 firme. Il testo della riforma Renzi-Boschi lo porta e 800.000 elettori. La proposta di iniziativa popolare legislativa è possibile oggi con la sottoscrizione di 50.000 elettori; la proposta del Governo lo ha portato a 150.000 firme.
La modifica di 47 articoli della Carta fondamentale dello Stato, nato dalla Resistenza ha sostituito la unicità del procedimento di formazione delle leggi con ben sette percorsi diversi. E’ intuitivo quali risultati potrà avere in un paese come l’Italia noto per la sua alluvionale produzione legislativa.
E’ opinione diffusa tra la maggioranza dei costituzionalisti italiani che il testo sostituisce il potere di iniziativa sottodimensionando le funzioni di iniziativa parlamentare rispetto a quelle del Governo. Un Parlamento confuso non potrà frenare un Governo che ricorda il passato inquietante del secolo scorso breve e crudele. Dopo una prima fase di assunzione del potere nel rispetto dei procedimenti legittimi seguirono, con Mussolini ed Hitrel, forme di dileggio degli organi di garanzia. Successivamente veniva introdotta una riduzione delle funzioni di controllo in nome della efficienza e della rapidità delle decisioni politiche. Si procedette con la nomina di collaboratori personalmente fidati in ruoli fondamentali a prescindere dalle competenze per eliminare quanti creassero difficoltà al leader. L’accreditamento delle capacità era accompagnato dalla obbedienza totale alle sue volontà. Si costituiva così un sistema autoritario tipico di tempi assai tristi per la libertà e la democrazia.
La legge Renzi-Boschi, nell’intento di realizzare una unità fittizia unità vanifica la indipendenza degli organi costituzionali e la sottoposizione degli stessi allo Stato di diritto (Mortati).
La separazione dei poteri, la loro posizione in relazioni di reciproco controllo oggi vieta che l’esercizio della sovranità sia conferito solo al potere esecutivo incorporando in esso totalmente l’unità delle scelte, mentre “l’indirizzo politico si coglie nel rapporto dialettico tra funzione normativa e funzione esecutiva” (Silvestri). Il che risponde all’esigenza di distribuire le competenze tra più organi che si controllino a vicenda per evitare l’irrazionalità del dispotismo.

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