Deforma Renzi: dal bicameralismo perfetto a quello pasticciato

12 Novembre 2016
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Carlo Dore jr.

Pubblichiamo uno stralcio della lezione tenuta da Carlo Dore jr. nell’ambito delle “Letture della Costituzione”, organizzate dall’ANPI-Cagliari

Le norme costituzionali al momento in vigore che disciplinano il procedimento di approvazione della legge si caratterizzano per la loro assoluta trasparenza. Art. 70: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.” Nove parole, nove! Perseguendo l’obiettivo di addivenire a una “semplificazione dei procedimenti di formazione delle norme”, il ddl Renzi – Boschi (nel tentativo di differenziare le attribuzioni delle due Camere) sostituisce la disciplina appena descritta con quello che alcuni commentatori hanno definito un “sudoku” composto da almeno sette diversi procedimenti di approvazione delle leggi, caratterizzati da un differente potere di intervento del Senato: un procedimento bicamerale puro; un procedimento ordinario; un procedimento per l’approvazione delle leggi ex art. 117 comma 4 Cost.; un procedimento per l’approvazione delle leggi di bilancio; un procedimento a data certa su richiesta del Governo; un procedimento per l’approvazione delle leggi di conversione dei decreti legge; un procedimento per l’approvazione della legge elettorale (caratterizzato dal “controllo preventivo della Corte Costituzionale).

E’ ipotizzabile che questo moltiplicarsi dei procedimenti di approvazione delle leggi, lungi dal favorire la semplificazione, generi invece complicazione e confusione, generando continue contestazioni sulla scelta del procedimento da seguire. Paradossalmente, di questo pericolo il legislatore della riforma sembra essere consapevole, allorquando dispone che: “spetta al Presidenti delle Camere risolvere le eventuali questioni di competenza”. Ma se i Presidenti delle Camere non riescono a mettersi d’accordo? E’ intuibile che queste contestazioni debbano essere risolte dalla Corte Costituzionale, la quale si troverà investita da una miriade di questioni di legittimità, tutte dipendenti dalla potenziale violazione della norma di secondo grado che presiede alla formazione della legge.

Procedimento bicamerale puro: Dalla lettura del nuovo testo dell’art. 70 Cost., emerge, innanzi tutto, come il “bicameralismo perfetto” non venga integralmente superato: il Senato continua infatti a concorrere all’approvazione di alcuni importanti disegni di legge.

In particolare, il Senato partecipa all’approvazione:
1) delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale;
2) delle leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di referendum popolari e “altre forme di consultazione anche delle formazioni sociali” (ndr., quali siano queste particolari forme di consultazione delle formazioni sociali non è dato sapere…)
3) delle leggi elettorali e delle leggi che disciplinano l’ordinamento e gli organi di governo dei Comuni, delle Città metropolitane nonché delle varie forme di associazione tra i Comuni;
4) delle c.d. leggi comunitarie;
5) delle leggi che determinano i casi di incompatibilità e di ineleggibilità dei senatori;
6) della legge che attribuisce i seggi in Senato e che regola l’elezione dei Senatori tra consiglieri regionali e sindaci (e già sul punto si apre un potenziale problema di costituzionalità: può questa legge essere approvata dal Senato nella sua attuale composizione, ancorché il nuovo testo della Carta ne rimetta l’approvazione a un Senato rappresentativo delle istituzioni territoriali?)
7) delle leggi di ratifica dei trattati UE, della legge che contiene l’ordinamento di Roma capitale, delle leggi che delegano alle Regioni la potestà regolamentare in materie di esclusiva competenza statale; delle leggi che regolano le condizioni in presenza delle quali le Regioni possono siglare intese con altri Stati o con enti territoriali di altri Stati; altre leggi in materia di enti locali.

Problema: Non si comprende la ragione per cui un Senato non elettivo, e rappresentativo delle istituzioni territoriali debba concorrere all’approvazione di leggi che riguardano il sistema istituzionale statale: se si voleva che il Senato conservasse simili prerogative, sarebbe stato molto più razionale affermarne l’elettività, e renderlo quindi sempre diretta espressione della sovranità popolare.

Il procedimento ordinario (disciplinato dall’art. 70, comma 2, Cost.) prevede che ogni ddl approvato dalla Camera dei deputati debba essere trasmesso al Senato che, su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti, può chiedere di esaminarlo entro 10 giorni dalla trasmissione. Nei successivi 30 giorni, il Senato può deliberare delle proposte di modifica, sulle quali la Camera si deve esprimere in via definitiva: tali proposte di modifica non sono vincolanti per la Camera dei deputati, che può respingerle indipendentemente dalla maggioranza di consensi che la proposta di modifica ha incontrato in Senato.

Procedimento di approvazione delle leggi ex art. 117, comma 4, Cost. (Leggi, proposte dal Governo, in materie non riservate alla competenza esclusiva dello Stato, e richieste per la tutela dell’interesse nazionale): in questi casi, l’esame del Senato è necessario, e le proposte di modifica devono essere deliberate entro 15 giorni dalla trasmissione. La Camera può non conformarsi a tali proposte di modifica, ma deve esprimersi in questo senso a maggioranza assoluta.

Procedimento di approvazione delle leggi di bilancio (art. 81, comma 4, cost.): le proposte di modifica devono essere deliberate dal Senato entro quindici giorni dalla trasmissione.

Problemi:

1) se il Senato richiede di esaminare un ddl già approvato dalla Camera, e poi non riesce ad approvare le proposte di modifica nei successivi trenta giorni, la legge può essere promulgata. Ma questo implica che la nuova norma “mette in conto” una perdita di tempo pari a quaranta giorni, contravvenendo così a quelle esigenze di speditezza nel procedimento di approvazione delle leggi che invece dovrebbero costituire la ratio della riforma.

2) La disposizione in esame (nella parte in cui statuisce che, qualora il Senato non chieda di esaminare il ddl o non deliberi proposte di modifica entro i successivi trenta giorni, la legge può essere promulgata) presenta inoltre un difetto di formulazione: può il Presidente della Repubblica promulgare una legge se le proposte di modifica del Senato sono state deliberate una volta che il suddetto termine è scaduto? O, in questo caso, la legge è a rischio di incostituzionalità?

3) Se la Camera dei deputati, nell’esprimersi sulle proposte di modifica deliberate dal Senato, apporta delle ulteriori modifiche al testo della legge – ad esempio, recependo in parte le indicazioni del Senato o incidendo su altre disposizioni collegate a quelle oggetto di tali proposte di modifica – la legge può essere promulgata o deve essere di nuovo trasmessa al Senato per un nuovo, eventuale esame?

Dubbi, quelli appena prospettati, che saranno chiariti solamente allorquando la Corte costituzionale verrà chiamata a pronunciarsi sulle molteplici questioni di legittimità sollevate in ordine alle leggi approvate secondo i procedimenti appena descritti.

4) E’ l’impianto complessivo della riforma a destare perplessità: da un lato, infatti, si costruisce il Senato come un’assemblea non direttamente elettiva, composta da consiglieri regionali e sindaci (impegnati dunque nell’espletamento di funzioni istituzionali di primo piano a livello locale); d’altro lato, si pretende che questo Senato operi a ritmi serrati per rispettare i termini che scandiscono i vari procedimenti sopra descritti: il rischio che il Senato non riesca a operare entro questi termini, divenendo così un organo sostanzialmente privo di incidenza, è molto concreto.

Procedimento “a data certa” (per i ddl indicati come essenziali per l’attuazione del programma di governo – art. 72, c. 7 Cost): il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un ddl indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia definitiva entro i  successivi settanta giorni. I termini di cui all’art. 70 c. 3 sono ridotti della metà: il Senato ha cinque giorni per chiedere di esaminare il testo, e 15 giorni per deliberare le eventuali proposte di modifica.

Concludiamo la nostra trattazione con l’esame di questa norma, anch’essa densa di punti oscuri e di profili di criticità.

Discutibile, in primo luogo è la ratio che la ispira, identificabile nell’esigenza di “velocizzare” l’azione del governo, affrancandola dalle “sabbie mobili” della discussione parlamentare, percepita quasi come un’insopportabile fardello che appesantisce l’attività normativa. Eppure, considerata la centralità che il Parlamento assume nell’ambito di una forma di governo ancora descritta come parlamentare, è proprio su quelle proposte strategiche per l’attuazione del programma di governo (e dunque particolarmente rilevanti dal punto di vista politico) che la discussione tra le forze presenti in Parlamento dovrebbe essere più attenta ed analitica.

La disposizione, si diceva, è utile a rendere più rapida ed incisiva la produzione normativa dipendente dall’iniziativa del governo: sulla necessità dell’inserimento di siffatta disposizione nel tessuto costituzionale è lecito avanzare più di un dubbio.

1) In primo luogo, si osserva che, nella precedente legislatura, la Camera dei deputati ha approvato un numero di ddl di iniziativa governativa di gran lunga superiore a quello delle proposte di legge di iniziativa parlamentare. In secondo luogo, si segnala come i lavori parlamentari siano stati spesso programmati in base ai desiderata dell’Esecutivo: non si può non ricordare, in questo senso, il caso di Eluana Englaro, in cui il Governo – dinanzi al rifiuto del Capo dello Stato di promulgare un decreto legge che vietava alle strutture sanitarie di procedere alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti – approvò un ddl che fu immediatamente messo in discussione al Senato, e che fu ritirato solo alla notizia della morte della ragazza.
La disposizione che si esamina rischia, dunque, di “costituzionalizzare” una prassi già esistente: quella basata su una sorta di ribaltamento dei rapporti di forza tra Parlamento e Governo, con l’attività del Parlamento di fatto condizionata dalle esigenze dell’Esecutivo. Al riguardo, agli interpreti non è sfuggito che l’estrema genericità del testo normativo non pone limiti al Governo nella scelta dei ddl da indicare come “essenziali” per l’attuazione del programma: ne consegue dunque che – anche a causa del controllo della Camera dei deputati assicurato dall’Italicum al leader del partito di maggioranza -  l’entrata in vigore della medesima potrebbe di fatto attribuire all’Esecutivo il controllo dei lavori parlamentari. Non deve essere dimenticato infatti che il ricorso al procedimento a data certa si affianca all’arbitrario ricorso alla questione di fiducia e all’abuso della decretazione d’urgenza che ha caratterizzato le ultime legislature.

Al riguardo, si segnala che, ad avviso dei sostenitori della riforma, la possibilità per il Governo di attivare il procedimento a data certa è idealmente compensata dai limiti che il nuovo testo dell’art. 77 Cost. introduce con riferimento alla decretazione d’urgenza: la norma da ultimo richiamata infatti contempla, in particolare, il divieto per il Governo di reiterare decreti non convertiti e di regolare i rapporti sorti in base ad essi; il divieto di adottare decreti legge nelle materie coperte da riserva d’assemblea; la precisazione che le misure del decreto devono essere suscettibili di immediata applicazione ed avere un contenuto omogeneo, specifico e corrispondente al titolo.
Senza voler sminuire l’importanza di questa statuizione, occorre rimarcare come, attraverso la norma da ultimo richiamata, il legislatore della riforma non sta introducendo nuovi divieti alla decretazione d’urgenza, ma cristallizzando in una disposizione costituzionale limiti già individuati o dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 302 del 1988; n. 84 del 1996) o dalla legge n. 400 del 1988

2) La poco chiara formulazione della disposizione non chiarisce poi quali conseguenze possano derivare dall’eventuale mancato rispetto del termine di settanta giorni entro cui deve intervenire la deliberazione della Camera dei deputati: non si comprende infatti se il termine in questione debba considerarsi meramente ordinatorio, o se la violazione del medesimo possa rendere la legge costituzionalmente illegittima. Altro materiale di riflessione per la Corte costituzionale.

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