Contro la violenza sulle donne più scuola, più cultura

25 Settembre 2017
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Gianna Lai 

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 Non possiamo smettere di indignarci, dobbiamo dire cosa si deve fare subito. E dire subito che c’è la mancanza di scuola fra le cause della barbarie femminicidio, tre donne ammazzate ogni giorno in Italia. Di scuola pubblica, di scuola come definita dalla nostra Costituzione, aperta a tutti. Manca per tutti quelli che, a partire dalle politiche di Berlusconi, ne sono stati allontanati, oggi la prima nazione l’Italia per la vergogna dei Net, giovani che non si formano e non lavorano tra i 15 e i 25 anni. Quella estrema violenza dell’esclusione, dell’indifferenza istituzionale, non raramente persino ostentata nei confronti degli ultimi, provoca povertà endemica in Italia e nei paesi destinati dalla politica europea a un futuro di povertà. E produce balordi e delinquenza, specchio diretto dell’efferata e brutale accumulazione di denaro nelle mani di pochi. Da ascensore sociale degli anni Sessanta-Settanta, parte da qui la discriminazione, dalla scuola. Si taglia su tutto, scuola, sanità, stato sociale, non importano le conseguenze di abbandono cui son destinate intere generazioni, lasciate con poca scuola e senza lavoro. Con altrettanta convinzione e ferocia ideologica si taglia su tutti i ‘pedagogismi’, abolendo esperienze didattiche e sviluppo di metodologie nuove, fondate sulla cooperazione, nel confronto fra docenti e studiosi e società civile. Si risolve tutto con debiti, crediti, Invalsi e Ispettori e Presidi, e la burocrazia, una burocrazia che vuole distruggere il lavoro dei docenti, la passione dell’insegnamento nelle scuole. A favore della scuola privata, è naturale, sempre abbondantemente finanziata in Italia. A favore delle ideologie privatistiche dentro la scuola, che hanno la loro centralità nel Progetto, il progettificio che ha tolto significato e potere di incidere alla filosofia cooperativa degli organismi della scuola, messa al bando da Berlusconi e Renzi. Manca la scuola che produce questa cultura, la cultura della scuola si chiama, che costa troppo, ci vengono a dire gli ideologi della sua distruzione della scuola di massa e definita dalla Costituzione stessa. I finanziamenti ancora ad altre destinazioni, persino ai propagandistici 80 mila euro. La cultura della scuola e il sapere che si trasmette e se ne elaborano gli strumenti nella relazione docente discente, nel confronto tra pedagogisti e docenti, prestando attenzione alle trasformazioni sociali, al futuro che man mano già si intuisce, si lascia scorgere, verso l’emancipazione del cittadino studente. Del giovane che, dentro l’autorevolezza della cultura della scuola, si emancipa e inizia a intravvedere il suo futuro di adulto. Ora pensate all’autorevolezza di una scuola senza educazione sessuale, in cui non si educhi ai sentimenti, alla relazione, fin dalla più tenera età, una gravissima mancanza di conoscenza per tutti i bambini, le bambine, gli adolescenti e le adolescenti che la frequentano. Grandi le trasformazioni del nostro tempo, la scuola che non si fa carico di informarne i giovani è gravemente responsabile, gravemente mancante, se non inserisce nell’esperienza curricolare del fare quotidiano questa formazione, l’educazione sessuale, l’educazione ai sentimenti. E’ l’unica l’Italia in Europa ad averla cancellata, lasciando i giovani confusi, un’intera società confusa nelle mani della rete e del gossip televisivo, della morbosa attenzione di giornali e televisione. Mentre è a scuola che si registrano i casi più numerosi di bullismo, il 61%, ha denunciato recentemente Telefono azzurro, ed è il bullismo a provocare nel Paese abbandono e dispersione per 160mila adolescenti. La scuola deve farlo nella contestualità delle discipline, attraverso la conoscenza del proprio corpo per ogni bambina e bambino, nell’analisi dell’esperienza diretta e nello studio dei rapporti tra i sessi, attraverso i cambiamenti della storia e di questa nostra contemporaneità. Ma dentro l’esperienza curricolare del fare quotidiano. Come si iniziava a fare negli anni Settanta e Ottanta, con grandi risultati, attraverso i lavori importanti degli insegnanti e il confronto con la pedagogia più avanzata, i medici democratici, ecc. Aberrante invece che temi come la violenza dentro la scuola, direttamente prodotta da quella grave mancanza di formazione, si affronti, allargando sempre più la burocrazia dei progetti, col referente e con lo psicologo del Progetto bullismo. Il femminicidio con la polizia (quella che non interviene dopo le denunce delle donne) e con i carabinieri del Progetto sicurezza. Quando invece dovrebbero essere gli insegnanti stessi ad essere formatori, fuori dalla scuola e a livello sociale, su tali vitali questioni, unici veri conoscitori di bambini e adolescenti, per l’esperienza che hanno dei contesti familiari, per il rapporto continuo che instaurano con i genitori. La questione va fondamentalmente capovolta, costruire cultura, preserva dalla violenza, aiuta le ragazze a capire il pericolo, difende dalla barbarie, rende consapevoli e maturi. E adatti a capire quanto questa politica di attacco allo stato sociale e alla dignità delle persone, sia intrecciata a forti pulsioni autoritarie, che si fondano sulla paura e sulla minaccia. E così ben rappresentate dalla maggioranza dei grandi giornali, radio e tv, che del bullismo e del femminicidio continuano a fare fatto di cronaca, morbosamente descritto nei minimi particolari, non vera emergenza sociale da affrontare in termini di responsabilità e crescita di tutti i cittadini. e di rispetto del lettore e di ciascuna vittima della violenza. Ci hanno per caso spiegato, con dovizia di particolari, quale scuola frequentava Noemi, quale il suo assassino, quale ruolo essa avrebbe potuto o dovuto svolgere? E la Fedeli si è espressa? Eppure questi due ragazzi erano in età scolare, di scuola dell’obbligo, o avevano appena finito di frequentarla. Silenzio assoluto, anche in questi primi giorni di scuola, sul ruolo centrale della scuola stessa nell’esistenza degli adolescenti. Dobbiamo dire cosa bisogna fare subito, la scuola aperta a tutti, dell’art. 34 della Costituzione, delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi, che studiano fino ai 18 anni, come nel resto d’Europa.

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