Scuola: non solo specializzare, ma insegnare a vivere

6 Dicembre 2017
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Gianna Lai 

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Che la modernizzazione e il rinnovamento della scuola di oggi  non procedano, così troppo semplicemente, attraverso l’introduzione  in aula delle nuove tecnologie  e dei nuovi saperi professionalizzanti, lo dice molto bene in ‘Società e individuo‘ il sociologo Edgard Morin. Egli denuncia che ormai ‘la ricomposizione dei modelli educativi passa per una sempre più accentuata specializzazione  e frammentazione dei saperi, nell’ottica dominante  negli USA post-reganiani. Secondo questa impostazione il rapporto educativo deve sì  essere improntato ad autorevolezza del docente e persuasione del discente, ma per condurre all’estrema professionalizzazione’, fino a determinare  ‘una trasmissione di saperi concepiti, anche quando di tipo umanistico, come puramente tecnici e slegati da tutti gli altri’. Questo perché, sempre secondo lo studioso, ‘la miopia educativa domina l’educazione e l’istruzione del mondo contemporaneo’, che  ‘richiede invece uno sguardo prospettico, un umanesimo integrale e diffuso per annullare i rischi derivanti da massificazione e fondamentalismi’. Secondo ‘il paradigma della complessità,  mettere cioè in evidenza i rapporti e le relazioni fra i vari saperi e i fenomeni,  sia sociali che naturali, mostrando come tra l’essere cittadini, l’essere soggetti individuali e l’essere parte di un mondo fisico e naturale vi sia una costante e insopprimibile connessione’. Pensare ad ‘un essere umano liberato dalla miopia della sola specializzazione professionale e tecnica, per rimetterlo in collegamento con il senso profondo dell’educazione, che è insegnare a vivere, a stare in relazione con il mondo delle cose, degli uomini e con il proprio sé’.
Così la formazione superiore, sembra fargli eco il professor Piergaetano Marchetti, docente di Diritto commerciale ed ora professore emerito alla Bocconi di Milano, che critica allo stesso modo la sua Università, contestando ‘la tentazione professionalizzante della Bocconi che, appiattita sul pensiero dominante, quello ultraliberista, è divenuta da  una delle prime Università europee, una media Università americana’. Mentre, nello stesso contesto, a discutere l’uso delle tecnologie come fini a se stesse, ci conforta la citazione del professor Eraldo Affinati, insegnante e scrittore, secondo cui ‘i ragazzi vanno  guidati nel mare magnum del web, per aiutarli a utilizzarne le formidabili risorse’, ma si deve prendere coscienza innanzitutto che ‘urgono nuove gerachie di valore, anche alla luce della nuova rivoluzione informatica, in grado di illuminare i percorsi degli adolescenti, perché non è tanto problema di dotazioni tecnologiche, quanto realizzare una mentalità nuova, per esempio come ripensare, a scuola, in classe, lo stesso spazio didattico che ci circonda’.
 In questa pretesa società della conoscenza, il sapere non può dunque essere esclusivamente volto alla collocazione dei giovani nel mercato del lavoro, né essere in funzione esclusiva delle esigenze dell’impresa. E con lo sguardo sempre diretto ai modelli di scuola tra i più poveri in termini di cittadinanza, se al posto del nostro ’sostegno’ esistono ancora, in vari Paesi d’Europa, le famigerate classi differenziali. Neanche di fronte alla innovazione industriale e alla rivoluzione tecnologica che si prepara e che abbisogna di operatori ‘ben addestrati’? Anzi, è sopratutto in relazione al cambiamento che ci conforta il ‘paradigma della complessità’ e ‘il senso profondo dell’educazione’, ‘quell’umanesimo integrale e diffuso’, nelle parole di  Edgard Morin sulla funzione della Scuola. Altrimenti potremmo pensare, per quanto riguarda l’Italia, che di liquidazione del nostro sistema di inclusione si tratta, volta a cancellare nell’istruzione ogni traccia di equità, di universalità, che ancora con tanta fatica resistono ad opera di studenti e docenti democratici. Ethos e impegno civile, tutto da cancellare? No di certo, perché se poi analizziamo le innovazioni della Buona Scuola di Renzi, in risposta alle sollecitazioni del mondo del lavoro che cambia, lì si può vedere  come vengono ridotte le ore di lezione negli Istituti Tecnici (meno 4 ore), e come si dedichi tempo e spazio negli Istituti Professionali alla Formazione Professionale regionale, quindi privata. E come si proceda nella chiusura di  un numero sempre crescente di Laboratori (allontanandone i relativi, preziosissimi, assistenti), così avanzati nelle loro strutture e organizzazione, da essere aperti anche all’impresa esterna nel territorio, e che hanno garantito la formazione di base dei migliori tecnici per l’industria italiana. In funzione di tutto questo  si vuole sperimentare anche  la riduzione dei Licei a un corso di soli quattro anni? Ed anche  un’alternanza scuola-lavoro, non so se da considerarsi il cuore della relazione tra istruzione e impresa,  che sottrae ore di studio alla scuola (400 negli Istituti Tecnici e nei Professionali, 200 nei Licei),  imponendo ai giovani prestazioni del tutto gratuite, fuori dal mercato del lavoro e in concorrenza con gli stessi lavoratori? Ma allora potremmo pensare che i ragazzi siano tenuti a imparare, fin da subito, quanto stia perdendo di importanza il valore della scuola e, insieme, quanto il lavoro sia frantumazione e  sfruttamento, che non  comporta necessariamente retribuzione, né riconoscimento della dignità della persona, fino al punto da non  poter neanche più essere definito lavoro. Se è vero, come dice la ricerca condotta dalla Fondazione Di Vittorio, che ‘un ragazzo su quattro è fuori dai percorsi di qualità’, né vi é coerenza alcuna ‘tra il percorso di studi e ciò che si va  a fare in Azienda’. Altro che preparazione all’innovazione! Allora può andar bene anche l’offerta di McDonald’s, che si propone alla scuola per fare formazione e ‘lezioni supplettive’ in aula, in classe, evidentemente al posto della scuola stessa, sull’impresa e il business, così, chissà, ’sti cavolo di giovani sprovveduti, imparano ad essere finalmente più produttivi!  Ecco che i laboratori si possono saltare, ma l’intera cultura tecnica e professionale, se ‘l’addestramento’ si vuole  avvenga in loco.
 Non era certo questa,  dei lavoratori a costo zero, l’idea da cui nasceva la cultura del lavoro nella scuola democratica,  alla luce, in particolare, delle importanti esperienze degli Istituti Tecnici e  Professionali, che vedevano le ore di tirocinio tra le più interessanti, anche per gli studenti più svogliati. Dall’ incontro fra studenti, docenti e organizzazioni dei lavoratori si partiva, da un’idea nuova di rapporto tra scuola e territorio, per costruire un’esperienza  basata sul fondamento della dignità della persona. E i genitori erano i lavoratori stessi, le mille miglia lontani dal familismo di oggi, governato, in una dimensione strettamente privata, dalla politica tutta ideologica del bonus, per l’asilo a pagamento, per iscrivere i figli alla scuola privata, e dal rapporto diretto, populista, col premier al momento in carica, volto a cancellare i diritti del welfare, da cui  direttamente vengono tratte le risorse per finanziare il bonus stesso.
 ’Il lavoro, lavoro scelto liberamente e svolto in condizioni di diritti e doveri, per condurre una vita autonoma e indipendente  e soddisfare le necessità famiglia’. Che si svolge nella collaborazione  e nella garanzia  di potersi associare liberamente, dentro la fabbrica, nell’impresa, per ottenere il rispetto dei propri diritti, per promuovere la partecipazione, per la crescita di tutti. Produzione di beni in funzione del benessere sociale, così come  nella nostra Costituzione prende corpo, ma richiedendo, la nostra legge fondamentale, leggi che ne attuino i contenuti, come negli anni Settanta fu con lo Statuto dei lavoratori. Già, perché la dispersione, e la prevedibile successiva disoccupazione post diploma e post laurea, anch’essi problemi da trattare  in modo approfondito a scuola, in tale contesto vanno rappresentati, con lo sguardo critico mirato alla conoscenza della contemporaneità e del mondo delle diseguaglianze, dai migranti alle nuove forme di razzismo, ai nuovi fascismi. E crediamo che molti docenti continuino a farlo, e  molti sudenti lo pretendano dalla scuola, in questi anni di profondi rivolgimenti e grandi trasformazioni. Così deve essere e verso questa stessa direzione dovrebbe andare anche l’Alternanza scuola-lavoro.

1 commento

  • 1 Maria Teresa Lecca
    7 Dicembre 2017 - 09:55

    Bellissimo pezzo, Gianna! Ma per un pubblico ristretto e “specializzato”. Un vero peccato, perché l’articolo merita, invece, un’ampia diffusione.

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