Decreto Sicurezza: ispirazione securitaria a scapito dell’accoglienza (e, per di più, inefficace)

25 Settembre 2018
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Red

Proseguiamo l’analisi del Decreto sicurezza con questo post, frutto di alcune riflessioni offerte alla redazione da amici di democraziaoggi. Domani intervento di Tonino Dessì. Frattanto c’è una interessante nota stampa dell’ANCI.

 

Sull’articolato del cosiddetto decreto sicurezza, per ora, circolano le sintesi giornalistiche, ricostruzioni delle cose riferite in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio e dal ministro dell’interno.
Perciò si possono esprimere osservazioni soltanto su alcuni aspetti molto generali del provvedimento, mentre è prematuro forse valutare l’impatto applicativo delle norme di dettaglio, che spesso (soprattutto in materia ad alto indice propagandistico, come è nel caso dell’immigrazione) smentiscono i titoli.
Una prima considerazione riguarda la scelta di adottare lo strumento del decreto legge, che non pare giustificata sotto il profilo dell’urgenza. Norme che dovrebbero delineare un sistema, come sembrerebbe nelle ambizioni del ministro competente, avrebbero forse trovato uno strumento più appropriato nel disegno di legge, non nella blindatura politica di una maggioranza che (nonostante la sottolineatura della raggiunta unanimità nell’approvazione del testo del decreto) mostra anche su questo tema delle sostanziali differenze di visione.
Non è condivisibile l’accorpamento del tema dell’immigrazione a quello della sicurezza in senso stretto (per esempio, il contrasto del terrorismo). Tuttavia, questa impostazione è insita nella legislazione vigente in materia: il fatto stesso che la “gestione“ dell’immigrazione sia quasi interamente rimessa alle prefetture e alle questure, ne rivela un consolidato taglio securitario. In questo nuovo decreto, però, l’accorpamento immigrazione/sicurezza diventa quasi identificazione, in un crescendo di richiami ai reati e al peso degli stessi nell’istruttoria per il riconoscimento della protezione internazionale, nel rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno e perfino nella possibilità di revocare la cittadinanza già ottenuta (sulla cui legittimità intravedo qualche dubbio).
Preme ricordare che, ad oggi, pur in presenza di previsioni legislative che configurano alcuni precedenti penali come ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno, la giurisprudenza prevalente esige un bilanciamento concreto tra l’asserita pericolosità del cittadino straniero e il suo inserimento sociale. In generale, la magistratura è poco incline ad apprezzare le condotte penali in modo diverso a seconda che le stesse siano poste in essere da cittadini italiani o da cittadini stranieri; ciò sia in ragione di una lettura costituzionalmente orientata (si ricorda, per esempio, che l’aggravante della clandestinità è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza 24/2010) sia per la considerazione pratica che il tema dell’immigrazione sarebbe più efficacemente disciplinato (anche con riferimento alle esigenze di sicurezza) dal diritto amministrativo che da quello penale (ne è un esempio la sollecitazione che ha condotto, nel 2014 alla legge delega per l’abrogazione del reato di clandestinità, che peraltro attende ancora il relativo decreto per diventare operativa).
Pertanto, l’inclinazione smaccatamente securitaria di questo decreto si profila problematica, sia sotto il profilo applicativo che sotto il profilo del contenzioso che scaturirà dai provvedimenti di diniego e revoca dei titoli di soggiorno e cittadinanza emanati in applicazione dello stesso.
Alcuni sindacati di polizia hanno già previsto l’aggravio dei carichi di lavoro che deriveranno dall’eccessivo sbilanciamento securitario connesso a questo decreto (si pensi all’utilizzo indiscriminato della forza pubblica per le occupazioni arbitrarie di immobili) e non apprezzano, perciò, che il “contentino” dell’incremento del salario accessorio (materia intrusa rispetto alla materia del decreto) sia inappropriatamente previsto in questo articolato, tanto più che il provvedimento veramente atteso dai lavoratori del comparto sicurezza sono le nuove assunzioni.
Sulla eliminazione della protezione umanitaria dalla gamma dei provvedimenti ascrivibili alla protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria e, fino ad oggi, appunto, protezione umanitaria), si osserva che le motivazioni addotte dal ministro richiamano il fatto che questa categoria di protezione, sebbene configurata come residuale, sia stata usata in maniera eccessiva. Sono, queste, motivazioni politiche che appagano la propaganda, ma non risolvono neppure uno dei problemi connessi alla complessità delle procedure che fin dalla gestione degli sbarchi impone il carico dell’istruttoria delle richieste di protezione e le criticità che vi si collegano: la gestione dell’accoglienza e il limbo giuridico in cui vivono coloro che investono i giudici dei ricorsi avverso il diniego della protezione. Come più volte ribadito in questi mesi, l’unica vera soluzione a questi problemi (e all’allarme sociale che inducono) è un serio impegno per la riforma del regolamento di Dublino nella parte in cui fa interamente carico ai paesi di primo ingresso del ricevimento, dell’istruttoria e delle attività parallele alle richieste di protezione internazionale.
Il decreto riporta i tempi di permanenza nei centri (la cosiddetta detenzione amministrativa) da 90 a 180 giorni, applicando il tempo massimo consentito dalla Direttiva 115/2008/UE sui rimpatri. Anche questa norma presenta un carattere punitivo/afflittivo di cui non si comprende l’efficacia pratica sotto il profilo della sicurezza.
La significativa riduzione nell’utilizzo del sistema SPRAR, un modello di accoglienza che presenta una maggiore vocazione all’integrazione e all’umanizzazione dei periodi di attesa dei richiedenti protezione, nonché una maggiore possibilità di controllo rispetto ai grandi centri, è anch’essa una misura che appare ispirata all’ordine e alla sicurezza, ma in realtà riporta al sistema dei CIE/CARA, il cui fallimento è documentato.
Infine, una considerazione generale: anche stavolta si è piegata la legislazione ad esigenza di propaganda, con risultati mediocri sotto il profilo tecnico giuridico. A rileggere i due pacchetti sicurezza del 2008 e 2009…viene quasi nostalgia!

 

 

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