Marco Paolini: volete ridere o piangere?

14 Aprile 2019
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Gianna Lai

Immagine di copertina 

Marco Paolini è intervenuto all’Assemblea nazionale dei familiari delle vittime innocenti di mafia.  organizzato da Libera a Venezia nel marzo scorso. Un intervento di permanente attualità. Ecco, in sintesi, cos’ha detto. 

Volete ridere o piangere? Chi pagherebbe per piangere? Ai comici si delega il racconto del nostro tempo, come nella commedia italiana in agrodolce, quella verea è la Grande Guerra, di Monicelli, e noi ancora ci troviamo nelle tragedie che succedono alle persone, non agli eroi.
Vajont, le mie storie fondate sulla memoria e non si trattava di storia privata. Son cresciuto nel tempo del boom economico le classi piene di bambini, bambini a perdere, se se ne perdeva qualcuno ce ne erano tanti altri. Vengo dalla Valle del Piave e non avevo legami con quella strage. Tina Merlin era giornalista de l’Unità, fece documentario e libro dove denunciava i pericoli della diga, e io son diventato famoso come ‘esperto’, documentandomi anche sui suoi scrittivo. Ne sapevo, come si dice e, dopo un anno di racconto Vajont mi chiamano alla New York University per parlare di sfighe italiane: ‘il signor Piazza Fontana, il signor Acqua Alta a Firenze, la Strage di Capaci, fra tutti i Paesi che aderiscono all’ UE, nessuno ha mai messo insieme tante sfighe come voi, dissero. Dal terremoto Messina, ovunque ci sia un fiume o una piazza lo Stato italiano si mostra evanescente, come avete fatto a restare vivi?’ Come abbiamo fatto a restare vivi? Abbiamo fatto come in certe famiglie in cui succede. elabori il lutto o rimuovi, così abbiamo fatto noi con la rimozione, che non ha eguali in altri Paesi.
Durante un Convegno con Cacciari sulla Memoria, lui ha detto che anche l’oblio ha i suoi diritti. Al mondo dei figli, l’80% responsabilità finali accertate. Così le Giornate della Memoria, son un alibi pesante per dimenticare nel resto dell’anno, sempre nella condizione dell’anno precedente, non coronamento di qualcosa che si è fatto nel corso dell’intero anno. Perché la memoria non è un fardello, altrimenti chi nasce dopo, viene caricato di vicende non risolte. Così la storia della Palestina è l’eredità di torti subiti e, se Amleto fa morire tutti per far giustizia della morte del padre, mentre muore anche l’assassino del padre, il rapporto tra memoria e oblio resta sempre nella coscienza dei padri, che devono prendersi la responsabilità delle cose che non hanno risolto, senza passarla i ragazzi che vengono dopo, senza imporgliela come destino.
Prima di fare Vajont in teatro l’ho fatto fuori dai teatri, non pensavo che qualcuno avrebbe pagato per piangere, mentre facevo Vajont nelle strade e nelle scuole, qualcuno mi ha chiesto di farlo a Longarone: la tua storia di fronte a te, a casa tua, mi sento la strizza. Poi mi sono reso conto che quella storia non la conosceva nessuno. Per anni la tragedia davanti ai ragazzi di Longarone, senza che nessuno la raccontasse, se non in maniera generica. Le persone che l’ avevano vissuta non erano capaci di trasmetterla e, se viene trasmessa male, la memoria non arriva. Rispetto a tutte le cose più eccitanti che esistono, la memoria fa parte delle scienze, deve essere trattata così e, nel momento in cui si trova un’eccezione, quella legge va riscritta. Così ogni volta che ricevevo notizie nuove su Vajont, io ero costretto a modificare il testo. Sennò la memoria è una crosta che sotto mantiene il pus perché, in realtà, la memoria si forma insieme agli altri, nel gruppo, nella comunità. Raccontai il ‘Sergente sulla neve’, parlandone con Mario (Rigoni Sterne..), io sentii che lui aveva una memoria particolare, un libro scritto in campo concentramento dopo un anno dalla ritirata di Russia, la memoria è un documento, dopo, nel tempo, diventa come tu te la stai raccontando, tu non sei più lo stesso. Chiunque può essere testimone di un evento, dipende dai tempi e dai luoghi, a Longarone ho capito che c’è tanto oblio in Italia, che chi fa testimonianza può diventare un profeta, anche inventandosi la testimonianza.

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