La rivolta di Palabanda, esempio attuale di dignità

26 Agosto 2019
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Francesco Cocco

(Il portico di Palabanda oggi - Corso Vittorio Emanuele)

La rivolta di Palabanda (1812) è sempre stata considerata dalle forze democratiche sarde un momento alto di lotta, da cui trarre ispirazione per il presente. Francesco Putzolu, sarto, e Raimondo Sorgia, conciatore, furono  condannati e impiccati.  Salvatore Cadeddu, prima d’essere catturato e impiccato, trovò rifugio nel Sulcis a Nuxis, che lo ricorda ora in uno splendido murale di Francesco del Casino.
Ecco sulla vicenda una riflessione dell’indimenticato Francesco Cocco.


Chi a Cagliari percorre il Corso Vittorio Emanuele in direzione del teatro Massimo, sulla destra, all’ altezza di Via Caprera, s’imbatte in un vecchio arco dedicato  ai “martiri di Palabanda”. Varcato l’arco, risalendo in direzione dell’ antico anfiteatro romano, si arriva all’ orto botanico. Nella piccola valle che si estende tra l’ospedale civile e l’ anfiteatro romano, agli inizi dell’ 800 l’avvocato Salvatore Cadeddu disponeva di un podere con annessa casa di  campagna. In quel podere due secoli or sono erano soliti riunirsi gli aderenti al club dei giacobini che un ventennio prima erano stati in prima fila nell’ animare la rivolta che aveva portato alla cacciata dell’ apparato   del viceré sabaudo.
Col trasferimento della corte dei Savoia a Cagliari, i piemontesi avevano ripreso a spadroneggiare ed assumere comportamenti sprezzanti. Significativo l’ atteggiamento del savoiardo  Giuseppe De Maistre che  definiva i Sardi al di sotto degli animali. A tanta umiliazione  morale,  nel 1812 si era aggiunta una grave  carestia. Cagliari, che a quei tempi contava poco più di 25000 abitanti, vide affluire dal contado una folla di oltre mille persone prive dei più elementari mezzi di sostentamento. Fu così che nel podere dell’ avvocato Cadeddu cominciarono  a prender corpo progetti di ribellione contro il tracotante ed esoso governo sabaudo.
Salvatore Cadeddu, che per il suo prestigio e le sue qualità civili, era apparso come la guida naturale della rivolta contro il  dominio dei Savoia, era ormai settantenne. Così i familiari si erano assunti il compito di sostenerlo nei pressanti impegni di organizzazione della rivolta. Gli erano particolarmente vicini il fratello Giovanni Battista ed i figli Luigi e Gaetano. L’inizio della rivolta veniva fissata per la mezzanotte del 29 ottobre.
Nella tarda serata un centinaio di uomini erano adunati nei campi nei dintorni dell’attuale Piazza del Carmine. La versione popolare racconta di  Giacomo Floris che avrebbe deciso di andare in avanscoperta  ma sarebbe stato fermato da un drappello di dragoni. Tornato indietro, avrebbe riferito che la porta di Sant’Agostino, da dove dovevano penetrare i rivoltosi, era sotto stretta sorveglianza e pertanto era opportuno ritirarsi e non farsi scoprire. Per qualche giorno Salvatore Cadeddu  si trattenne nella sua abitazione cagliaritana, poi a metà ottobre  la fuga verso il Sulcis . A Nuxis ottiene la protezione della famiglia Impera che nei momenti di maggior pericolo lo indirizza ad una grotta in località “conca ‘e cerbu”.  La macchina della repressione si era  messa  in moto, così il Cadeddu nella primavera del 1813 venne catturato ed il 30 agosto successivo venne pronunciata la condanna a morte. Pari condanna venne inoltre irrogata a Giuseppe Zedda, Francesco Garau, Ignazio Fanni.
Della rivolta di Palabanda, nulla viene insegnato nelle scuole sarde. Eppure è un episodio che s’impone per la dignità del comportamento di quei rivoltosi. Combattevano contro la prevaricazione  dei dominatori del tempo e contro la mistificazione di chi governava con la repressione facendola passare per benevolenza. Certo i tempi sono mutati ma l’inganno continua, in forme nuove, ad imporsi come strumento di governo. Ecco perché dalla lezione dei martiri di Palabanda, i Sardi il 4 dicembre devono saper trarre una lezione di dignità […].

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