Carbonia, città mineraria dell’autarchia per la guerra

1 Settembre 2019
1 Commento


Gianna Lai

Anfiteatro a Carbonia..Ben curato.al centro della città..In estare il  comune organizza gli eventi proprio qui..

Carbonia ha compiuto 80 anni ed ha svolto un ruolo centrale nella politica autarchica del fascismo protesa alla guerra, che, non a caso, inizia l’anno successivo con l’aggressione tedesca alla Polonia del 1° settembre di 80 anni fa. L’Italia segue l’avventura bellica nazista meno di un anno dopo.  Carbonia viene progettata e realizzata in quella prospettiva. Poi, caduto il regime, coi suoi minatori, è diventata il riferimento principale del Movimento opraio nell’Isola. Per questa sua rilevanza, iniziamo la pubblicazione di una serie di articoli sulla storia di Carbonia. Una storia rigorosamente legata ai dati reali, lontana dai toni celebrativi, che spesso caratterizzano il racconto su questa città.
Ecco il primo, gli altri seguiranno nei prossimi fine settimana.
 

Artificiosamente creata dal regime fascista nella fase più avanzata dell’autarchia nazionale e in funzione ‘del riarmo e dell’espansionismo imperiale’, Carbonia è città di fondazione, la terza in Sardegna, dopo Mussolinia e Fertilia, dal carattere del tutto provvisorio del tempo di guerra, quando i mercati chiudono e gli approvvigionamenti vengono meno. Dipendente nella sua totalità dallo sfruttamento del carbone, secondo un piano grandioso, non di piccolo villaggio si sarebbe trattato ma di vero centro abitato, costruito a bocca di miniera per 20mila residenti: industria e area urbana controllate direttamente dal capitale pubblico, ‘la Rhur italiana’, per i fascisti del tempo. Carbonia nasce in un contesto di pace troppo simile alla guerra di conquista, finalizzata anche a contenere la spinta rivoluzionaria bolscevica proveniente dalla Russia dei Soviet, una nuova storia industriale, mentre è già in atto la ripresa delle miniere italiane fin dall’inizio degli anni Trenta. A partire dal 1934, si era sopratutto rafforzata l’estrazione piombo-zincifera di Monteponi e Montevecchio nell’Iglesiente, mentre erano aumentati i lavoratori del settore e si era fermata la caduta dei salari. Perché le miniere venivano considerate assolutamente necessarie allo sviluppo del sistema industriale italiano, ormai avviato verso una politica autarchica nazionale dell’autosufficienza economica rispetto ai Paesi stranieri, le nazioni plutocratiche, dopo l’aggressione italiana dell’Abissinia, responsabili delle sanzioni europee contro il regime.Sulla scia dell’Azienda Petroli Italiani, il governo fascista istituì nel 1935 l’Azienda Carboni Italiani, ACaI, e l’Azienda Minerali Metallici Italiani, AMMI. E, a proteggerne la produzione dalle merci straniere, introdusse misure doganali che portarono grande beneficio all’intera produzione sarda. Qui, infatti, lo sfruttamento del bacino carbonifero del Sulcis fu, insieme alla battaglia del grano e alla bonifica integrale, tra gli interventi di maggior forza che avrebbero dovuto aprire, grazie alla presenza importante di una industria elettrica, nuove prospettive di sviluppo atte ad affrontare la crisi di quegli anni nell’isola, conseguente, come nel resto del mondo, al crollo del ‘29. E a creare cambiamento in ‘un sistema produttivo complessivamente debole e strutturalmente arretrato’, quale era quello sardo, e a promuovere occupazione, trattandosi dell’unica industria ‘a forte concentrazione operaia’. Sempre in crescita, man mano che ci si prepara alla guerra, se pensiamo che dai 6307 dipendenti del 1921 si era rapidamente passati agli 11483 del 1936. Vi corrispondeva, nel quadro complessivo isolano, la crescita degli edili, per incremento dei lavori pubblici, seguiti alla legge del miliardo e alla bonifica integrale, da 12915 a 22092, e dei lavoratori dell’industria del legno e del sughero, da 7810 a 8359.
Pur sovrastimato il Carbone Sulcis nella previsione delle ricerche avviate in quel tempo dall’ACaI, i tre milioni di tonnellate annue di produzione ipotizzati, avrebbero dovuto coprire almeno un quarto del fabbisogno nazionale di combustibili fossili necessari a far marciare l’industria bellica, da affiancare al carbone dell’ARSA, in Istria, Arsia l’altra città mineraria di recente fondazione in quel territorio. Ed è importante rilevare, già fin da adesso, come sono le alterne vicende del tempo di guerra a caratterizzare tutto il territorio in cui nasce Carbonia, dove sono attivi i giacimenti di carbone a Bacu Abis, in concessione alla Società Millo Montanari e C., la Tirsi-Po dal 1854. Che passa poi all’ingegner Anselmo Roux, insieme alla Società Carbonifera Sarda di Caput Aquas, mentre cresce la produzione di combustibile negli anni del primo conflitto mondiale, giungendo alle 90mila tonnellate estratte nel 1918, 1500 i minatori occupati. Si chiama allora Società anonima di Bacu Abis la concessione nelle mani dell’ingegner Sorcinelli, che attraverserà la crisi del 1924, 49.427 tonnellate, ridotto a 668 il numero degli operai, fino al passaggio alla Montevecchio e al fallimento del 1933. Quando saranno le maestranze a reggere la miniera, tramite il sindacato fascista, che verrà rilevata l’anno successivo dalla Società carbonifera sarda, fondata dall’Arsa a Trieste, già gestore delle miniere di carbone dell’Istria, territorio italiano di conquista dopo la Grande Guerra.
Mussolini con Starace e Ciano, in viaggio in Sardegna nel 1935, annunciano a Cagliari la conquista dell’Impero, e a Bacu Abis la costituzione dell’ACaI, ormai divenuta maggiore azionista della Società Mineraria carbonifera sarda e dell’Arsa, primo presidente Guido Segre, p0i Giovanni Vaselli, nel Consiglio di amministrazione, l’onorevole Tredici, segretario dell’Unione provinciale sindacati fascisti dell’industria. Sta nascendo il progetto Carbonia

1 commento

Lascia un commento