Carbonia: le condizioni di vita nella città abitata da soli uomini

20 Ottobre 2019
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Gianna Lai

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Proseguiamo, con cadenza domenicale, nella pubblicazione della storia di Carbonia, il primo intervento domenica 1° settembre. 

 ‘Vittorio Emanuele III Per Grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia e di Albania Imperatore d’Etiopia.
Ci piacque con nostro Decreto in data 30 marzo millenovecentotrentanove, XVII E.F., concedere al Comune di Carbonia la facoltà di usare il titolo di Città, uno stemma ed un gonfalone comunale ….miniati nei fogli qui annessi e descritti come appresso…’. Non conosciamo i privilegi garantiti ai sudditi destinatari del regale provvedimento, lo stemma pomposo con i simboli del fascio ed una grande M in ‘lapidario romano d’oro’, sappiamo invece della grama esistenza di una massa di cittadini, largamente documentata da quell’85% di immigrati che, ‘nel 1939, non trasferisce la famiglia a Carbonia’, mentre ‘il 90% della popolazione risulta ancora formata di soli da uomini’. E che avrebbe poi dato origine a un turnover di avvicendamenti tra i minatori del 67,6% durante i primi dieci anni di vita del nuovo centro sulcitano, tale da determinarne, in poco tempo, il totale ricambio della popolazione (Studio C.E.C.A., cit.). A conferma dell’estrema provvisorietà dell’insediamento, la Relazione allegata al Piano regolatore del 1937, ‘la città ha carattere residenziale, al servizio di zona strettamente industriale, […..] la popolazione è costituita dalla quasi totalità di lavoratori che esercitano la loro opera nella zona mineraria che circonda il centro e che si possono distinguere sommariamente in tre grandi categorie: minatori, sorveglianti, personale specializzato e dirigenti.’
Così, se può farsi risalire al gennaio 1938 l’inizio della vita in città, rispetto ai 3.131 residenti del 1937 si è già passati ai 4890 abitanti, 3 mila provenienti da Serbariu, 750 da Gonnesa, 1000 da Iglesias, v. Archivio comunale Carbonia e Relazione Sindaco sulle Condizioni del Comune, anno 1965. Ma ancora migliaia i lavoratori malamente alloggiati in baracche e abitazioni di fortuna o che si spostano quotidianamente dai paesi vicini, senza cambiare quindi la residenza, non bastando per tutti i 700 appartamenti e i 10 alberghi operai appena costruiti. 11.150 gli abitanti nel dicembre del 1938, all’atto dell’inaugurazione della città, secondo il Promemoria del Presidente ACaI di quell’anno, 16.866 nel settembre del ‘39, di cui 15.529 minatori, secondo la Relazione del Podestà Pitzurra al Prefetto Canovai, del 15.9.39: 14 mila abitanti in città, oltre 5000 tra Barbusi, Bacu Abis, Serbariu, Sirri, più di 5mila ancora costretti nei baraccamenti, sempre tantissimi quelli che continuano a sfuggire alla verifica del Comune e dell’Azienda. Perché i documenti e gli atti fotografano la situazione data, abitanti e minatori, al momento delle relazioni, ACaI, SMCS, Comune, Podestà, ecc. poi durante l’anno le cose cambiano e altre relazioni forniscono altri dati. Sicchè, nello schema finale, abbiamo preferito fare spesso riferimento anche ad una fonte importante, quale la Tabella su ‘Produzione e operai occupati nel Sulcis dal 1936 al 1943, in ‘Rapporto sull’industria mineraria per il Centro economico per la Ricostruzione, anno 1946, presso il Ministero dell’industria e commercio, Direzione generale produzione industriale, Archivio Centrale di Stato, Roma. E in effetti, se confrontiamo i numeri su riportati, in riferimento a questi anni, vediamo che sono molto simili fra loro i dati forniti dal podestà Pitzurra al prefetto Canovai, 15.529 unità al 15.9.39, e quelli del Rapporto Centro economico per la Ricostruzione, 1946, nel quale il numero di minatori registrato corrisponde, per quell’anno, a 14.975 unità; v. anche G.Are, M.Costa, Carbosarda, Franco Angeli, 1989, Tab.3.1, Produzione, manodopera e rendimenti nel Sulcis, dal 1934 al 1944, pag.45 e Tab. 5.1. Produzione, ecc., dal 1943 al 1948, pag.89.
A contrastare la retorica di regime sulla ‘città costruita in 300 giorni’, i documenti del tempo, già a partire dalla Comunicazione del Presidente ACaI alla Corporazione industria estrattiva, del luglio 1937, che chiede di accelerare i lavori nell’edilizia, preoccupata per le gravi condizioni di vita in cui versano gli operai e poi quella ugualmente pressante del 23 novembre 1938. Perché, abbiamo visto, i tempi di edificazione della città sono fortemente condizionati dall’approvvigionamento delle materie prime provenienti dalla Penisola, i mattoni si acquistano in Toscana, e dal continuo lievitare dei prezzi, in particolare quelli delle tariffe di trasporto, dall’impossibilità, infine, di assicurarsi un numero adeguato di operai specializzati nei cantieri, che siano guida di una manovalanza sempre raccogliticcia e continuamente instabile. A tal punto cresceranno i costi che, alla fine del 1939, contro i 65-80 milioni di lire preventivati, si raggiungeranno i 100 milioni di spesa, saldati dall’ACaI attingendo, in parte al suo capitale, in parte agli altri capitoli di bilancio, come da Verbale ACaI, 23.11.1938.
Non restava che risparmiare sul costo del lavoro, economizzare su salari e stipendi, come vedremo, mantenere ancora così precarie e misere le condizioni di vita degli operai in città. In particolare degli edili, alloggiati, per quanto durò la costruzione di Carbonia, nelle baracche e nei cameroni-dormitorio, vivendo del tutto separati dal contesto cittadino e consumando malamente i pasti dove capita, ’si vestisi sa cosa e’ pappai in d’unu bottu becciu’, sulle braci davanti ai dormitori, diceva Giorgio Figus, un anziano minatore di Nuxis. Perché non c’è posto per loro neppure nei refettori aziendali, a meno che non acquistino clandestinamente i buoni mensa riservati agli operai della miniera, come denuncia il responsabile sindacale Tito Morosini, nella Relazione sull’attività del 1940 al Consigliere Capoferri, Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti. Simili le condizioni degli operai addetti alla escavazione e preparazione dei pozzi, delle maestranze del Porto di Sant’Antioco, impegnate nelle operazioni di carico del carbone, e degli operai delle Bonifiche gestite dall’Opera Nazionale Combattenti, impegnati nell’appoderamento ACaI e nella lotta antimalarica su tutto il territorio. Tali le condizioni di tutti i dipendenti delle società appaltatrici ACaI, come si può desumere dai ricorrenti esposti inviati al duce, che denunciano trattamenti inumani e, direttamente, dalla Relazione dello stesso Presidente ACaI al Prefetto, del 13.2.1940. E dalla comunicazione, infine, dei carabinieri al Prefetto Canovai di Cagliari, nel novembre del 1937, per ‘il malcontento tra i lavoratori, causato dall’insufficienza dell’approvvigionamento idrico a Bacu Abis’. Tali le condizioni delle operaie cernitrici, costrette a consumare i pasti frugali in laveria, durante le brevi pause del lavoro, come attestano le foto dell’epoca, v. Carbonia in chiaroscuro, a cura di Paola Atzeni, Envisual editrice, 2002.
La malaria imperversa in città, come nel resto del Sulcis, e proliferano tifo e malattie infettive, figlie tutte della malnutrizione e delle pessime condizioni igieniche, insetti infestanti e parassiti diffusi dapertutto, mentre ambulatorio e piccolo ospedale cittadino INFAIL non sono in grado di reggere tale pressione. ‘Imperversano malnutrizione e malaria, nonostante la profilassi sia stata estesa a oltre 12 mila persone, tra l’intera popolazione e nei cantieri’. Pessime le condizioni igieniche negli alloggi collettivi e di fortuna, in tutta la periferia della città, dove ’si registrano casi di meningite e febbre tifoide; questi casi si sono verificati quasi tutti in quegli alloggi collettivi o di fortuna che, privi di servizi igienici, costringevano la quasi totalità degli abitanti a trascurare l’igiene della persona e a soddisfare i propri bisogni all’aperto, tutto intorno allle abitazioni’, denuncia il Podestà al Prefetto Canovai nella Relazione del 23.1.1940. E Tito Morosini, delegato della Confederazione fascista, ancora nella sua Relazione sull’attività svolta per il 1940, ‘dei 5 mila edili, molti preferiscono alloggiare in capanne cedute in uso dai contadini, dove almeno possono trovare modo di riposare senza essere tormentati dai parassiti, che albergano a migliaia nei cameroni-dormitorio’.

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