Aumentano i contagi…e la scuola, e i deboli e non garantiti?

26 Ottobre 2020
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Caterina Gammaldi

In Campania, in Calabria, in Lombardia, in Piemonte … i bambini e i ragazzi, i loro insegnanti tornano a praticare la didattica a distanza, talora integrata, per garantire occasioni di mediazione culturale nonostante tutto.
Una scelta dettata dalla nuova emergenza sanitaria, spesso esito del mal governo della situazione, già annunciata nei mesi scorsi dal CTS.
La seconda ondata è arrivata e ne fanno le spese i bambini, i ragazzi e gli insegnanti, i cittadini più deboli spesso anziani, malati e soli, i lavoratori non garantiti.
Non intendo mettere in discussione scelte dettate dai dati e dalla paura, ma sono preoccupata che prevalga una tesi fatta propria dalla Confindustria nei giorni scorsi contraria ad assumere i diritti al lavoro, alla salute, all’istruzione a indicatori di rotta della politica. Si tutelano i luoghi in cui si scommette, le palestre e il calcio, i bar e i ristoranti… apparentemente senza porsi il problema che la vita è altrove.
É vero, ha ragione Giannini in terapia intensiva: quando si vive questa esperienza drammatica “perdere quote di libertà” é necessario. In solitudine i malati, sia pure con il conforto di medici e infermieri competenti,  ne sono  consapevoli più di altri, ma questo non è un buon motivo per alimentare la convinzione che solo se si fa una esperienza si capisce di più.
Non mancano le informazioni e non possiamo non capire che andarsene in giro fra bar, ristoranti e centri commerciali non è un esercizio di libertà, soprattutto se tali libertà sono dettate da sfrenato individualismo, dal consumismo e dal mercato.
Non mi è mai piaciuta la metafora della guerra utilizzata per la pandemia e non la userò nemmeno questa volta. Preferisco tornare con la memoria a “scendeva da uno di quegli usci…” ovvero alla madre di Cecilia, alle altre epidemie (peste, colera, aviaria…) che hanno travolto chi è vissuto prima di noi per segnalare un aspetto.
Ora come allora le persone, i lavoratori, i cittadini sono stati senza medicine e vaccini, di fronte a un nemico che mutava continuamente e sembrava non avere cure adeguate. Ora come allora uomini e donne hanno dovuto affrontare le difficoltà e lottare a mani nude contro la malattia e la paura. Quello che stiamo vivendo, di portata globale, non è paragonabile a nessuna delle situazioni già vissute sinteticamente descritte. Ci costringe, invece, a riflettere sulle nostre fragilità e a lottare con tutte le nostre forze per venirne fuori. Conoscere di più può aiutarci, ma dobbiamo avere consapevolezza dei rischi. Volere la normalità degli abbracci, dei contatti fisici, delle relazioni, pur legittimo, non è quello che dobbiamo fare in questa situazione. Se lo facciamo assumiamo decisioni di fatto negazioniste e dovremmo poi essere pronti a gestirne le  conseguenze.
Da qualche tempo noi cattolici a Messa non ci scambiamo più il segno della pace. Ciascuno rispettoso delle regole nel momento in cui il celebrante dice ” la pace sia con te” guarda fisso davanti a sé. E se tu (io in questo caso) ti volti e sorridi dietro la mascherina o ti porti la mano al cuore ti guardano come se fossi un alieno. Un gesto di vicinanza viene vissuto come un potenziale contagio e questa situazione è, fra le tante, per me insopportabile.
Indica la paura dell’altro in un tempo in cui dovremmo tutti invece riscoprire il significato della parola sodale.
Sta prevalendo anche nei comportamenti individuali l’idea che possiamo vivere rivendicando libertà da ogni regola vissuta come una imposizione, negando agli altri quello che ciascuno ha diritto di vivere, in un tempo in cui l’io prevale sul noi.
Non ci sfiora nemmeno il pensiero che solo  prendendoci cura per come possiamo e sappiamo di chi è solo, malato, fragile e senza lavoro e senza scuola, di noi stessi potremmo dare un contributo reale allo sviluppo del nostro paese. Abbiamo tutti bisogno, nessuno escluso, di ritrovare le ragioni dello stare insieme per uno scopo.

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