Verso i rinnovi contrattuali. Confederazione nazionale e spinte rivendicative locali, il ritardo del sindacato in Sardegna

4 Aprile 2021
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Gianna Lai

E’ Pasqua, ma non interrompiamo la puntata domenicale sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019

Scioperi di tutte le categorie si registrano in Italia nell’autunno del 1946, “turbato l’ordine pubblico da manifestazioni come quelle degli edili romani….con scambi di colpi di arma da fuoco, lancio di bombe a mano, 3 morti tra le file dei dimostranti”, si legge su Giovanni De Luna in ‘La Repubblica inquieta’, e 150 i feriti, aggiunge Paul Ginsborg ne “L’Italia del tempo persente”.
E di “agitazioni spontanee” a Carbonia parla anche Renzo Laconi nei suoi Quaderni, fa notare la prof. Di Felice,  al paragrafo ‘Carbonia, questione di rilievo nazionale’, della sua Biografia, che si erano protratte per tutto il 1946 ed oltre. Nei   tempi cruciali della  ricostruzione,  proteste e scioperi spontanei, di frequente proclamati senza il sostegno della Camera del lavoro,  come quello per l’abolizione del cottimo e l’aumento di lire 100 giornaliere da computare in paga base,  registra il Lavoratore del 27 luglio 1946. La Camera del lavoro, mancando la preventiva autorizzazione del sindacato, interviene invitando gli operai a riprendere l’attività, mentre la SMCS minaccia  il blocco delle trattative, se non si interrompe la protesta. E la vertenza si chiude con un aumento di 68 lire ed  una paga pari a lire 350 giornaliere, 8.000 mensili complessivamente: 68 lire giornaliere contro le 100 richieste, ma concesse solo alle categorie di centro,  fino a garantire 14-20 mila lire mensili a specializzati, sorveglianti e impiegati, sempre miseri i salari delle categorie più basse, come si legge su L’Unità del 7settembre 1946. Fino alle nuove azioni di protesta, quasi senza soluzione di continuità, in preparazione  delle lotte per la conquista del nuovo  Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
Talvolta conflittuale anche a Carbonia il rapporto sulle questioni del salario, particolarmente impegnativo lo sciopero non controllato dalla  CGIL, dato che in città si era sempre registrato, fin dalla ripresa del dopoguerra,  il rischio di infiltrazioni di  provocatori tra gli operai, che le Camere del lavoro di Cagliari e di Carbonia combattevano, inquadrandolo nel clima già denunciato da Giuseppe Di Vittorio, sui pericoli del neofascismo. “I provocatori, infatti attaccavano il sindacato e le sinistre, ricorda Vincenzo Cutaia, componente di Commissione interna e dirigente della lega minatori, ammantandosi di richieste politiche più radicali delle nostre, per spezzare l’unità del movimento e, in particolare, alimentare il discredito nei confronti dei dirigenti politici”. Usati strumentalmente da SMCS e polizia, ma ancora in contesti di governi di unità nazionale, mentre rimaneva ben viva nella dirigenza CGIL, “la preoccupazione di rafforzare l’autorità degli organi centrali della Confederazione, di fronte alle spinte rivendicative più accentate, che venivano dalle Camere del lavoro e dalle Commissioni interne, sopratutto nelle fabbriche del Nord”, come sottolinea Giorgio Candeloro, la dinamica salariale predeterminata dall’andamento dei prezzi e non da quello della produttività. Rispetto a questa politica il segretario del Partito d’Azione,  Riccardo Lombardi, citato in Sergio Turone, “Storia del sindacato italiano”, sosteneva invece che ai lavoratori “si possono chiedere sacrifici, solo se e in quanto essi abbiano il controllo e il modo di influire sulla gestione delle aziende e sopratutto, questa è cosa essenziale, sul modo in cui vengono reinvestiti i profitti” 4). Sottolineando a tale proposito, ancora Sergio Turone,  come “in effetti, il movimento sindacale e le sinistre non erano ancora riusciti a formulare una linea di politica economica che, al di fuori dei pur necessari interventi d’emergenza, si ponesse in alternativa al tradizionale liberismo cui già tendevano le forze moderate”. Perché stava mutando rapidamente il clima politico e sindacale, proprio a ridosso del rinnovo del  Contratto Collettivo dei minatori se, come dice ancora  Sergio Turone, già fin dalla primavera del 1946 la Chiesa aveva ritenuto “maturo il momento per la seconda fase, dopo il varo delle ACLI, dell’offensiva contro la CGIL unitaria”, la Civiltà cattolica dei gesuiti accusando i socialcomunisti di aver “dato prova, negli organi periferici, di intolleranza e di ostilità contro la parte cattolica”. Ed in particolare, cambia il clima nel paese, dopo l’esito delle elezioni amministrative, quando è ancora  più “evidente che l’elettorato conservatore tende a trovare nella Dc il proprio rifugio, condizionandola in senso moderato”. E si approfondisce di nuovo il contrasto tra le correnti della CGIL, quando Grandi riferisce di  episodi di violenza  nei confronti della componente democristiana, e poi a seguito della denuncia  dell’art. 9 dello Statuto, sulla proclamazione di scioperi politici. Mentre “De Gasperi preparava quella acuta correzione di linea politica che, in meno di un anno, avrebbe provocato la scissione socialista e estromesso PCI e PSIUP dal governo. Incerte le sinistre sulla strategia da contraporre alla manovra in atto”. Il mutamento del quadro politico  “in un clima in cui l’unità sindacale era vista da crescenti settori come  l’ultimo cospicuo ostacolo a una stabilizzazione politica di segno moderato”, per usare ancora una volta le parole di Sergio Turone, pur avendo ottenuto la CGIL, il 23 maggio 1946, l’estensione della scala mobile dell’indennità di contingenza, all’intero Centro-Sud.
In Sardegna, la penalizzazione dei lavoratori ancora più grave, dato il notevole ritardo che il sindacato stesso segnalava, molto  preoccupato, nella costruzione della CGIL sul territorio  regionale, Carbonia ancora un’isola nell’isola.  “Oltre la metà dei lavoratori sardi non è iscritta al sindacato”, si legge su  Il Lavoratore dell’11 maggio 1946, che  sollecitava l’organizzazione a porre al centro “gli interessi generali della classe,  salario, igiene del lavoro, leggi di garanzia per le pensioni”. In tale direzione la nascita della Federterra provinciale, a segnalare la vitalità del sindacato in Sardegna, che voleva essere una prima importante realtà organizzativa per “……saldare le lotte degli operai con quelle dei contadini”.
Ma saranno proprio i rinnovi contrattuali delle varie categorie a spingere il sindacato, anche in Sardegna, a un nuovo proselitismo, al rilancio della sua politica e della formazione di nuove leghe tra i lavoratori, gli operai di Carbonia i primi ad impegnarsi per allargare le adesioni alla CGIL nel territorio e in provincia, unico modo per uscire dall’isolamento.  Ora che, in quegli stessi accordi di maggio sulla scala mobile, risultava altrettano importante  “la reintroduzione del lavoro a cottimo e di tabelle salariali centralizzate e rigide”, che vietavano “ogni iniziativa sindacale nelle singole aziende”

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