Forti Pci e Cgil nel Paese, nonostante repressione e rottura dell’unità sindacale. Per il primo Consiglio regionale, Spano apre la campagna a Carbonia, “un omaggio dei comunisti alla città”: il Partito tende a “identificarsi col bacino minerario e la sua classe operaia”

19 Marzo 2023
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Gianna Lai


Oggi, domenica, un nuovo post sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Secondo Giorgio Candeloro,“un altro fattore importante che, insieme alle elezioni del 18 aprile e alla rottura dell’unità sindacale, consolidò il potere democristiano, fu l’adesione al Patto Atlantico che impegnò l’Italia, come Stato fondatore, in una allenza miltare”. E tuttavia il Pci resse bene in quei mesi, nonostante l’ondata repressiva seguita all’attentato a Togliatti, “poiché rafforzò la sua organizzazione, rimase il partito italiano col maggior numero di iscritti, conservò forti posizioni nelle amministrazioni locali, continuò ad avere l’appoggio della maggior parte della classe operaia e di grandi masse di braccianti e di altri lavoratori agricoli, assorbì molti elementi del ceto medio, continuò a esercitare un’influenza assai notevole tra gli intellettuali; restò insomma un elemento permanente molto forte della vita politica e sociale d’Italia”. Stesso discorso per quanto riguarda la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, ricorda Sergio Turone: nonostante gli ostacoli posti dai nuovi “sindacati liberi filopadronali”, tuttavia, “anche dopo le scissioni, alla CGIL rimase di fatto il monopolio delle lotte”.
Su questo contano le sinistre in Sardegna, nella loro campagna per l’elezione del primo Consiglio Regionale, al centro di tutta l’attività politica fin dal mese di gennaio: partire dalle lotte dell’isola, “ad un anno dal 18 aprile, un importante test sulla tenuta del regime centrista, sopratutto in una regione che ha assegnato alla Dc il 51% dei suffragi”, come dice lo storico Antonello Mattone.
A Carbonia c’è Velio Spano e il discorso del 3 aprile a tutta pagina, su L’Unità del 13 del mese, è vero comizio “di apertura della campagna elettorale in Sardegna,… un omaggio dei comunisti alla città”: per la Regione un governo unitario di tutte le forze democratiche contro la guerra, contro la politica del governo e dei sussidi a fondo perduto. Trainante la lotta di Carbonia nel quadro regionale, a partire dalla produzione di energia elettrica, senza la quale si perdono le speranza di uno sviluppo reale del territorio. Carbonia e la sua miniera, ad opporvisi il monopolio Ses, “Gli impianti Ses che oggi valgono 20-25 miliardi, son stati costruiti dallo Stato, con varie e successive sovvenzioni fino a 4 miliardi, mentre si respinge la proposta di costruire un Ente regionale per l’elettricità”, da sostenere ora invece con vigore. “E poiché non si trovano i 5 miliardi necessari all’operazione, si negano i fondi per la costruzione di una centrale a Carbonia. Ma altri 5 miliardi son stati accordati per il miglioramento di attrezzature che, invece, non son state migliorate ed oggi le industrie lavorano in Sardegna 5 giorni a settimana”. Così nei comizi di Ghirra e di Maria Schirru, in città il 15 aprile: da Carbonia la lotta per lo sviluppo dell’intera Sardegna perché, come dice ancora lo storico Antonello Mattone riferendosi al Comitato regionale sardo del 6 febbraio 1949, la mobilitazione dei minatori aveva “marcato un autonomismo della classe operaia sarda in lotta con i monopoli continentali”. E la stessa “piazza rossa di Carbonia come appariva dalle finestre del municipio ai dirigenti del Pci, gremita di operai e delle loro famiglie, era l’immagine tangibile della forza e dell’organizzazione del partito. Il Partito insomma tende a identificarsi col bacino minerario e la sua classe operaia. La questione del rilancio e della salvezza dell’industria mineraria assume perciò una posizione di centralità nelle direttrici di sviluppo che i comunisti assegnano all’economia sarda”, così ben definita, in termini più ampi, dal secondo Convegno dei quadri del Pci svoltosi in febbraio a Sassari, presente Mauro Scoccimarro. “La linea, gli obiettivi del partito per le prossime elezioni regionali”, e gli “interessi e le aspirazioni del popolo sardo… contro il centralismo democristiano rievocatore del fascismo, contro la politica di sfruttamento, di oppressione, di guerra”. E poi, dalla Risoluzione del Comitato Regionale Sardo, 6 febbraio 1949, un programma di governo fondato “sul rispetto della Costituzione e sull’applicazione effettiva dello Statuto regionale sardo”, per un ampio fronte autonomistico che unifichi le sinistre e sconfigga la Dc. E si auspica insieme la creazione di un forte movimento contadino necessario a combattere rapporti ancora precapitalistici imperanti nelle campagne, perché tra le lotte operaie, nonostante la solidarietà espressa ai minatori di Carbonia, “e il mondo contadino, esisteva ancora un solco profondo”. Necessario costruire dunque “un grande blocco di forze autonomiste, diretto dalla classe operaia, da opporre alla Dc e alla politica centralista di De Gasperi, l’autonomia… obiettivo finale, coronamento di un movimento di lotta”, per avviare nell’isola grandi trasformazioni economiche.
Così Giovanni Lay in Io comunista: “altri temi concernevano la trasformazione radicale dell’agricoltura e della pastorizia,… la creazione di una diffusa industria basata sulle risorse naturali ed umane della regione, la trasformazione dei prodotti dell’agricoltura e della pastorizia, la creazione in tutti i centri dell’isola di nuovi e moderni, assetti civili. E si intendeva portare a soluzione il problema dell’acqua,… migliorare ed ampliare la rete stradale, risolvere i problemi dei mezzi di trasporto e di comunicazione interni e col Continente”.

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