Tagli: umiliante bilancio della giustizia in Italia

23 Gennaio 2011
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Red

Pubblichiamo l’intervento svolto alla Camera il 19 scorso dall’on. Guido Melis, deputato PD, sulle comunicazioni del Ministro della giustizia Angelino Alfano sull’amministrazione della giustizia. L’intervento è interessante perché ci offre uno spaccato della grave situazione in cui versa in Italia l’organizzazione della giustizia e delle carceri, materie di competenza del Ministero della Giustizia. E, nonostante il degrado, il governo taglia drasticamente risorse e personale…

Signor Presidente, le comunicazioni che abbiamo ascoltato del Ministro Alfano appartengono ad un genere retorico che ormai conosciamo: si inonda il Parlamento di numeri e di fatti spesso episodici, si enuncia ogni volta un programma ambizioso, imperniato sulla prospettiva a venire di riforme risolutive, con molti termini inglesi perché fa «fino», espresso con enfasi e piglio decisionista e, per converso, si tace sul bilancio reale, magrissimo, umiliante, fatto di tagli alle risorse e al personale. La situazione, signor Presidente, è drammatica: lo dicono i dati ufficiali, lo dice l’esperienza concreta di tutti giorni degli operatori e di chi ha a che fare con il sistema giustizia. La giustizia civile è al collasso, quella penale pure. Le ragioni del collasso sono espresse in un arretrato che non ha l’eguale in altre situazioni europee simili alla nostra. Altro che crogiolarsi, signor Ministro, per i 200 mila processi in meno, quando si ha a che fare con un arretrato che resta di 5.600.616 processi civili pendenti. Le ragioni del collasso, come dicevo, risiedono certamente nelle lentezze procedurali, nelle storture antiche - lo ammettiamo - e recenti dell’impianto del nostro diritto processuale, forse anche nella pigrizia dei giudici, come dice qualcuno e nelle furbizie degli avvocati, come dicono altri, ma risiedono soprattutto - me lo lasci dire, signor Presidente - in cause strutturali, mai seriamente affrontate e rimosse, mai messe al centro di un’organica e consapevole politica di settore. Infatti, è noto - per citare un grande giurista, purtroppo scomparso recentemente, come Vittorio Grevi - che i nostri tribunali lavorano soltanto al mattino e ciò accade perché non vi è la possibilità di retribuire nel pomeriggio il personale amministrativo. È noto che le cause sono rinviate per tempi lunghi, spesso per anni e ciò accade per l’indisponibilità in tabella di aule e di spazi idonei a celebrarli. Non solo il bilancio di questi anni della giustizia è andato dimagrendo, ma lo stesso Fondo unico giustizia, che doveva almeno ovviare all’emergenza è una sorta di «araba fenice», la cui consistenza è tuttora incerta, varia a seconda di chi risponde alle nostre interrogazioni - come abbiamo avuto prova poco tempo fa - e la cui concreta disponibilità ci è ignota.

Vi sono tribunali al sud - senza parlare della Sicilia, penso solo ai tribunali della Sardegna, la regione da cui provengo - posti letteralmente nell’impossibilità di lavorare, procure della Repubblica vuote, cancellerie senza personale, fondi per le fotocopie finiti.
Avete dovuto fare marcia indietro su quell’assurda norma da noi contrastata che pretendeva di non inviare i magistrati di nuova nomina nelle sedi disagiate. Ora li inviate, ma intanto abbiamo perso due anni e oltre.
Mentre sbandierate i progressi del processo digitale - ho ascoltato con attenzione, è un tema molto caro al Ministro Alfano - tuttavia ci sono aule di giustizia dove si verbalizza ancora a penna, senza cancellieri, grazie alla buona volontà degli avvocati di turno.
Ho sentito il Ministro parlare a lungo dei successi della giustizia minorile, un settore del quale si parla molto in questi giorni per il caso di una minorenne molto, molto speciale. Ricordo però che una recente misura di riorganizzazione sta minando l’unità e la coerenza organizzativa di quel settore - che pure è un settore che funzionava - con gravi preoccupazioni degli esperti e di coloro che ci lavorano.
E poi c’è il dramma delle carceri, signor Presidente, un dramma con risvolti umani penosissimi, gravissimi. In un Paese serio il Parlamento avrebbe unanimemente sentito un moto di indignazione per questa grande emergenza nazionale; si sarebbe ribellato e avrebbe preteso una grande inchiesta parlamentare sulle condizioni delle carceri italiane, perché non è tollerabile una situazione nella quale quasi 70 mila detenuti, almeno per la metà in attesa di giudizio quindi virtualmente per le nostre leggi presunti innocenti, convivono ammassati come bestie in strutture che ne potrebbero tutt’al più ospitarne 43 mila.
Strutture molto spesso fatiscenti, in edifici vecchi di secoli, prive degli elementari requisiti di vivibilità, infestate da parassiti e insetti, torride d’estate e gelide d’inverno, grondanti di umidità da ogni parete, con servizi igienici spesso a un passo da dove si dorme e si mangia, con un personale carcerario largamente sotto l’organico, donne e uomini spesso di grande professionalità e abnegazione, ma sottoposti a uno stress e a rischi fisici assolutamente inauditi.

Dall’altra parte, altri uomini e altre donne, un’umanità dolente, ammassata, talvolta in quattro o sei insieme in celle di pochi metri quadri. Li abbiamo visti nelle ispezioni che abbiamo fatto nelle carceri in questi anni. Altro che gli standard europei per il mancato rispetto dei quali siete stati già condannati. Senza assistenza medica, senza assistenza psicologica adeguata. E ci stupiamo poi se dobbiamo registrare una statistica dei suicidi in carcere da far paura, cito i dati dai giornali di stamani: nel 2010 sessantasei suicidi, 1.134 tentati suicidi, 5.603 atti di autolesionismo. Non basta questo per dire che siamo in un’emergenza intollerabile?
Il piano carceri viene rimandato di anno in anno, oggi ci si dice che è in via di attuazione e si danno i primi numeri, ma attuato come? In che tempi? Cominciando da dove? Quando comincerà a dare i suoi frutti effettivi? Perché, signor Presidente, signor Ministro, mentre voi progettate e assegnate gli appalti alle ditte amiche - com’è successo in Sardegna con la ditta Anemone - costruite, arredate e inaugurate, la gente nelle carceri muore. Bisognerebbe - questo sì - svuotare le carceri, depenalizzare, studiare nuove forme di detenzione domiciliare come si è cominciato a fare con la legge 26 novembre 2010, n. 199 che è stata approvata specialmente per una nostra azione e tuttavia, stando ai primi dati - anche qui la Repubblicadi questa mattina riporta dei numeri - sta dando risultati minimi, praticamente sta fallendo. Bisognerebbe evitare - come avete invece fatto con i pacchetti sicurezza - di trasformare in detenuti potenziali tutti gli immigrati privi, anche solo temporaneamente, del permesso di soggiorno e contrastare la tendenza, ahimè dominante, della vostra recente legislazione penale ad inasprire le pene, spesso senza coerenza con il resto della legislazione penale. Signor Presidente, sto concludendo. Molte cose bisognerebbe fare e in fretta, possibilmente bene, ma voi, signor Ministro, siete al capolinea, non avete più né la forza, né l’energia e né il propellente politico. Speriamo che ve ne andiate, lasciando ad altri il compito che in due anni e mezzo siete stati incapaci di realizzare.

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