Andrea Raggio
La proposta di legge nazionale per la riduzione del numero dei consiglieri regionali costituisce davvero un passo verso la riforma istituzionale? A ben vedere la montagna ha partorito un topolino. Tale è la proposta di modifica statutaria che con questi chiari di luna potrà essere approvata chissà quando, mentre l’opinione pubblica chiede misure che da subito facciano argine alla degenerazione della vita pubblica. Non è affatto certo, inoltre, che la riduzione dei consiglieri giovi al funzionamento del Consiglio. Tant’è che nessuno sostiene che la scarsa produttività del Consiglio è addebitabile all’eccessivo numero dei consiglieri. Ottanta consiglieri possono apparire troppi se si fa riferimento solo alla popolazione e si trascura che questa è distribuita su un territorio talmente vasto e in aggregazioni tanto differenti da porre particolari esigenze di rappresentanza politica. La proposta del taglio dei consiglieri, infine, non accompagnata da uno schema di riforma statutaria, di riassetto organizzativo della Regione e di legge elettorale che ne evidenzino la coerenza, appare non come uno stralcio della riforma ma come un suo accantonamento.
L’aspetto sconcertante di questa pasticciata vicenda sta nella motivazione adotta per giustificare la proposta. Consiglio e Giunta hanno concordemente sostenuto che la riduzione del numero dei consiglieri risponde all’esigenza di ridurre i costi della politica. Il risparmio, è stato sottolineato con enfasi, sarà di ben cinque milioni di euro. La riduzione dei costi, oggi certamente eccessivi, non viene dunque progettata mediante l’eliminazione di sprechi e privilegi ma tagliando la democrazia! Nella concreta situazione sarda, infatti, e nella prospettiva di un rafforzamento dell’Autonomia, un Consiglio nella dimensione attuale ha indubbiamente maggiori potenzialità democratiche e capacità di rappresentanza di quello con un numero di componenti ridotto. Oggi non è così perché l’Istituzione è depotenziata sia dal presidenzialismo sia dalla crisi della politica. I consiglieri in carica ritengono che questa debolezza non sia rimediabile? In tal caso la conseguenza da trarre non dovrebbe limitarsi al puro e semplice taglio di venti consiglieri. Si può, invece, rimediare. Il Consiglio può essere pienamente reinvestito del proprio ruolo se si smette di scaricare sulla democrazia e sulle sue istituzioni le difficoltà e i guai della politica. Cosa son stati e sono l’efficientismo, il decisionismo, la stabilità politica coatta, il presidenzialismo vestito ieri di sarditudine e oggi di berlusconismo e trasformismo, se non questo?
Purtroppo il montare della protesta contro il vuoto di governo a Roma e a Cagliari e il degrado dell’etica pubblica ha colto la Regione e la sua classe dirigente impreparate, anche perché l’ordine del giorno consiliare del 18 novembre dello scorso anno, che impegnava ad avviare entro novanta giorni le procedure della riforma, è rimasto lettera morta. E si è stati costretti a imbastire frettolosamente un’iniziativa riparatrice. Se ne potevano individuare altre di rapida approvazione perché di competenza del solo Consiglio. Per esempio la legge elettorale con l’eliminazione del cosiddetto listino. Si è scelta, invece, la proposta del taglio dei consiglieri, perché non crea nell’immediato problemi nei rapporti tra partiti e al loro interno. Si è scelto, cioè, di mettere in campo un opportunistico diversivo. Ma così il discredito della politica cresce. Occorre cambiare rapidamente rotta. Partito democratico ci sei? Batti un colpo.
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