La parabola dell’economia mista

22 Dicembre 2012
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Gianfranco Sabattini

L’economia mista, cioè quella particolare forma organizzativa che consente il funzionamento stabile di un sistema economico a decisioni decentrate fondato sul ruolo regolatore complementare delle mano invisibile del mercato con la mano visibile dello Stato, è nata dalle idee che si sono formate e consolidate nella seconda metà del XIX secolo come risposta ai disagi ed ai guasti sociali seguiti alla Rivoluzione industriale svoltasi a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo. In altre parole, l’economia mista (e tutto il corredo concettuale che si è formato intorno all’idea di pianificazione, intesa come intervento dello Stato nella regolazione dell’attività economica) è “un’idea dell’Ottocento, realizzata in larga misura nel corso del Novecento”. In altri termini, gran parte del ventesimo secolo è la rappresentazione e la messa in atto di modi ottocenteschi di rispondere agli effetti della Rivoluzione industriale; ma è anche la rappresentazione di gran parte dei drammi politici e sociali accaduti nel corso del XX secolo nel tentativo di dare corpo alle modalità con cui rendere operativa la mano visibile regolatrice dello Stato attraverso l’economia mista. Infatti, i drammi politici e sociali sono riconducibili allo “scontro” politico che si è svolto all’interno dei Paesi più industrializzati intorno alle forma organizzativa migliore che si inteso dare all’economia mista. Due sono stati i contesti sociali e politici di riferimento, non solo per via del fatto che fossero i Paesi allora più industrializzati e fossero anche i Paesi in cui erano maturate le più gravi “criticità sociali”, ma anche per la natura delle idee che sono emerse dal dibattito che le loro specifiche situazione sociali hanno stimolato: Inghilterra e Germania. Gli esiti del dibattito, tuttavia, hanno condotto a risultati assai diversi.
In Inghilterra, la questione sociale era espressa da un numero esorbitante di persone immiserite che si erano trasferite nelle città industriali e la cui manovalanza era all’origine delle fortune del capitalismo dell’epoca; tuttavia, la questione sociale non ha mai assunto la forma di “questione operaia”, in quanto la minaccia di una classe operaia insurrezionale era stata da tempo affievolita dal “movimento cartista” che ha condotto alla fine dell’Ottocento il proletariato ad organizzarsi in sindacati e, infine, in partito politico, quello laburista, nato dai sindacati. In tal modo, il baricentro delle discussioni sul ruolo dell’economia mista e dello Stato è sempre stato contenuto in una prospettiva riformista. Gran parte delle giustificazioni di provvedimenti legislativi per realizzare una forma di Stato sociale esistevano, quindi, gia prima della Grande guerra e molte perone che avrebbero svolto un ruolo decisivi per la sua realizzazione dopo la seconda guerra mondiale erano già impegnante nella soluzione della questione sociale, come, ad esempio, William Henry Beveridge e John Maynard Keynes. Questi due importanti intellettuali erano uomini della stessa epoca, con una sensibilità per i problemi sociali paragonabile, ma portatori di proposte riformiste diverse. Beveridge affrontava la questione sociale muovendo dall’economia, sostenendo che lo Stato per mezzo della legge, della regolamentazione e del coordinamento imposto doveva garantire l’offerta di determinati beni sociali per alleviare le sofferenze umane. Keynes invece parte dall’economia per dimostrare che l’economia neoclassica non aveva alcuna risposta per il problema dlele disoccupazione, causa prima dei disagi sociali; Keynes ha visto nei limiti della teoria economica prevalente ciò che altri avrebbero visto solo dopo la Grande depressione del 1929-1932. La sua Teoria generale del 1936 è la summa di un pensiero che egli aveva iniziato ad elaborare ben prima del 1929, ma dopo il 1936 egli ha dimostrato che lo Stato poteva realmente effettuare interventi anticiclici con effetti stabilizzanti sul funzionamento del sistema economico, in quanto non esisteva alcuna legge naturale che imponesse di accettare l’instabilità economica. Le due posizioni, quella di Beveridge e quella di Keynes, per quanto rispondenti alle stesse esigenze sociali, erano profondamente diverse; Beveridge pensava di poter alleviare il disagio sociale attraverso lo strumento della legge senza preoccuparsi più di tanto delle condizioni politiche in presenza delle quali lo strumento legislativo poteva essere utilizzato senza restrizioni delle libertà politiche ed economiche; Keynes, invece, ha teorizzato le condizioni economiche necessarie per il perseguimento dell’obiettivo di Beveridge in termini ottimali, possibili solo in presenza del pluralismo politico garante della libertà di mercato.
Molto diverso è stato il dibattito sulla questione sociale che si è svolto all’interno dell’altro grande Paese industrializzato dell’Europa, la Germania. In questo Paese, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, la questione sociale ha preso la forma di questione operaia (la famosa Arbeiterfrage); nella Germania guglielmina e bismarkiana la risposta alla questione sociale è avvenuta sotto il segno della prudenza con l’assistenza sociale assicurata da sussidi di disoccupazione, dalla tutela dei lavoratori nelle fabbriche e dalle restrizioni imposte sull’orario di lavoro; la prudenza però non ha retto agli effetti dirompenti seguiti al grande dibattito svoltosi all’interno della socialdemocrazia tedesca. Tale dibattito, polarizzatosi tra un’ala massimalista ed un’altra riformista, a differenza di quanto era accaduto in Inghilterra non si è “incanalato” in una prospettiva riformista duratura, in quanto le questione sociale del primo dopoguerra aveva assunto connotati così destabilizzati a livello economico e politico da determinare, anche per l’avvento del bolscevismo in Russia, la formazione di regimi autoritari non solo in Gearmania (nazismo), ma anche in altri Paesi europei come l’Italia (fascismo). Tali regimi, rispetto a quello sovietico non hanno presentato differenze sostanziali sul piano economico; la differenza stava nel fatti che i primi supponevano di poter conciliare il capitalismo basato sul rispetto del diritto di proprietà con l’intervento dello Stato, mentre il regime sovietico supponeva di poter organizzare il sistema sociale ed i problemi connessi alle risi cicliche del capitalismo con la soppressione del diritto di proprietà e con la rimozione del mercato. Tutti erano accomunati dalla soppressione del pluralismo politico e dal conseguente impedimento di qualsiasi forma di critica rivolta al modo in cui si svolgeva l’intervento dello Stato.
La storia dell’edificazione dell’economia mista e del compromesso tra il capitalismo e l’intervento regolatore dello Stato vede, dunque, sistemi sociali differenti che sulla base delle idee maturate in Inghilterra ed in Germania giungono a conclusioni diverse sul come avvalersi dello Stato per perseguire finalità pragmatiche sul piano del contenimento dei disagi sociali prodotti dal capitalismo. Dopo il secondo conflitto mondiale è l’economia mista fondata sul compromesso tra il capitalismo e l’intervento dello Stato quale era stato sistematizzato in Inghilterra che è stata politicamente realizzata e con essa gran parte dei Paesi industrializzati del dopoguerra hanno conosciuto una fase di crescita e di sviluppo che per intensità e universalità mai era stata sperimentata in passato. Ironia della sorte, la prospettiva di Beveridge di Keynes ha potuto affermarsi malgrado la persistenza al suo interno di un “tarlo” espresso dall’”autismo intellettuale” di Friedrich August von Hayek, il quale, incapace di distinguere l’una dall’altra le diverse politiche dello Stato, ha continuato per tutto il corso della sua vita a rinvenire nello Stato sociale e nel riformismo la causa che sfocia inevitabilmente nel totalitarismo, dimenticando che il non avere accettato sin dall’inizio del XIX secolo sia la stato sociale che il riformismo politico è stato la causa dei più brutali sistemi autoritari che egli aborriva. La critica che Hayek porterà avanti sino agli anni Ottanta e Novanta del Novecento, rendendosi responsabile dello smantellamento di tutto ciò che di positivo sulla via delle crescita e dello sviluppo era stato realizzato. Hayek, perciò, tornando in auge “vendicato dalla storia”, quando in realtà la sua giustificazione dell’economia di mercato apolitica era stata dimostrata del tutto erronea, porterà al revival dell’ordoliberismo che ha solo l’effetto di fare arretrare le idee politiche ed economiche dei Paesi che erano riusciti a realizzare l’economia mista di un secolo intero, impedendo il superamento di una crisi che sta lacerando la capacità di tenuta dei Paesi che la stanno subendo.
 

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