Tonino Dessì
In queste ore circola la notizia di agenzia che l’attuale segretario regionale del PD presenzierà, come ospite, il 10 aprile prossimo, al Congresso della Massoneria italiana. Di per se non ci sarebbe gran che di male. Anche se la Massoneria non gode in certi ambienti di ottima fama, ha una storia importante e un passato internazionale e italiano, nemmeno troppo lontano, di ispirazione progressista e risorgimentale nonché uno, più recente, durante il fascismo e poi sotto altri regimi totalitari, persino di persecuzioni. Il passato più ravvicinato nel nostro Paese l’ha vista incarnare ambienti e schieramenti conservatori, più che moderati, di ispirazione non sempre democratica, persino con qualche deviazione eversiva.
Non troppo tempo fa, in Sardegna e a Cagliari, andava molto di moda, la Massoneria. Ora meno, credo.
In qualche modo il problema del rapporto tra politica e massoneria in Sardegna ha attraversato anche il mio percorso politico. Per quanto piuttosto discutibile, come forma associativo-affaristica, io penso che la sua demonizzazione, in un certo periodo, da parte di un settore della sinistra e del PCI sardo, al quale allora appartenevo, abbia avuto del grottesco e che in realtà manifestasse, o meglio celasse uno scontro fra gruppi di potere tra loro molto contigui ed entrambi, se non proprio occulti, almeno poco trasparenti. L’esser stato testimone di fatti, persone, intrecci, mi indusse, finché durò quella stagione, a considerarli entrambi avversari del rinnovamento democratico della politica sarda.
Fu, in realtà, lo scontro tra due oligarchie ed ebbi modo di rimproverare anche Giorgio Melis (un cui articolo in proposito viene oggi molto citato in occasione delle sue commemorazioni) per non averlo saputo o voluto capire. L’attacco che fece all’ex segretario regionale del PCI, Pier Sandro Scano (e indirettamente a Giorgio Macciotta), accusandolo di aver assimilato un altro dirigente, Emanuele Sanna, a certi ambienti, se da un lato era fondato sul piano personale (certo, che Emanuele non era massone), non coglieva, politicamente, quello che nella realtà stava in campo.
Non si trattava solo nè prevalentemente di un problema di “lotta alla massoneria”. Era in campo, per l’ultima volta nella stagione dei partiti storici in Sardegna, il tema del ricambio democratico dei gruppi dirigenti della politica e della società sarda, con l’uscita definitiva da un consolidato, incrostato, soffocante consociativismo, frutto avvelenato della stagione ormai agonizzante dell’”unità autonomistica”.
Non trovai casuale, alla fin fine (ma mi arrabbiai molto), nel 1997, il fatto che Giorgio Melis appoggiasse ufficialmente, dalle pagine de La Nuova Sardegna (ma lo fece anche, con argomenti analoghi e in più con una connotazione antiambientalista “dedicata”, Antonio Ghiani sulle pagine de L’Unione Sarda), il “consolidato e autorevole” Emanuele Sanna contro di me, candidato alla segreteria regionale del PDS, “troppo giovane e radicale”. Avevo ormai quarant’anni, nel 1997, una lunga esperienza di direzione politica e nella vita svolgevo da tempo una professione considerata allora prestigiosa. Persi quel congresso regionale del PDS per poco, ma le cose presero il verso che presero. Tra l’altro le epurazioni dei compagni miei sostenitori dagli organi dirigenti federali e locali furono piuttosto pesanti. A livello di direzione regionale meno: i rapporti di forza ancora non lo consentivano. Ci pensò, dopo, l’ingresso di Federazione Democratica e la vittoria di Antonello Cabras su Graziano Milia (con gli stessi giornali e gli stessi giornalisti schierati nelle medesime posizioni di prima), nel successivo congresso dei DS, a chiudere i conti.
Quasi in contemporanea con me perse il suo, di congresso regionale del PPI, Paolo Maninchedda, pure investito della candidatura da Martinazzoli, e pure lui epitetato, sempre dai padri nobili del nostrano giornalismo e da Giorgio in particolare, come un esagitato “tagliatore di teste”, una specie di Robespierre cattolico.
Berlinguer, contro la Massoneria, lo evocammo tutti strumentalmente, a quei tempi, anche se, pur autorevolmente sollecitato a farlo, per sollevare la “questione morale dentro il partito” all’interno del mio discorso congressuale, rassicurai preventivamente e di persona Emanuele, in una conversazione privata, che non lo avrei fatto.
Del resto la realtà sarda era più articolata e io a quella sociale ed economica prevalentemente in quella circostanza guardavo.
Ma son tempi preistorici, che pochi superstiti ricordano. Io ero il più giovane degli anziani (non il più vecchio dei giovani) e questo mi consente di conservare una discreta memoria storica, compreso il fatto che, pur non essendoci mai perdonati reciprocamente alcunchè (neppure sul piano personale, perché il personale è politico e viceversa), la valutazione e il rispetto del nostro valore e del nostro ruolo pubblico, tra quei protagonisti politici e con quei giornalisti, non sono mai venuti a mancare e nemmeno, quando possibile, una certa cavalleresca cortesia.
Soru, che pure è mio coetaneo, non c’era e poco ne sa, di queste cose. Forse, ora che lui fa parte dell’oligarchia partitica regionale e di quella nazionalmente governativa, sta semplicemente andando ad annusarne un’altra, di sezione dell’oligarchia, che all’opposizione, nella vicenda repubblicana, non c’è mai andata. Ma son tempi “nuovi”: Italia e Sardegna hanno cambiato verso.
1 commento
1 Aldo Lobina
2 Aprile 2015 - 15:30
No c’est mali…! - dicono dalle mie parti, con un falso compiacimento. Non mi meraviglio più di niente. Soprattutto del segretario del PD sardo. Ci sarebbero tante altre realtà da visitare prima di quella. Non spetta certo a me suggerirgliele, ma accettate lo sfogo. Io non mi straccio nessuna veste, osservando che “il re” è sempre più nudo. Dopo la Massoneria italiana verosimilmente sarà la volta di quella europea, più consona all’incarico delegato dai cittadini. L’ape re-gino ( alias re-nato) si troverà immerso in un ambiente meno ostile e più compatibile col suo mondo. Le api operaie sono poche,alcune esodate altre in cassa integrazione, altre dis -integrate, vecchie, malate,spiaggiate.. Tanto vale volare alto. L’ha fatto anche Renzi con Berlusconi fino all’altro giorno. Ma, a dire il vero, lì dove si annidano i poteri forti si creano situazioni di benessere (hic manebimus optime - dicevano gli antichi) e uno si sente come a casa sua. Al Pd sarebbe servito un personaggio esemplare, non il frutto di una mutazione genetica che alla lunga lo
s-qualifica, togliendogli quelle qualità di partito laburista e progressista che avremmo voluto che incarnasse
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