Temi eticamente sensibili fra fideismo e libertà responsabile

18 Dicembre 2008
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Gianfranco Sabattini

Il caso Englaro diventa ancor più tragico e paradossale a seguito dell’intervento del Ministro Sacconi, il quale - è il segno dei tempi - pretende che sia sufficiente una sua direttiva per porre nel nulla il giudicato della Corte di cassazione e la legge su cui il giudizio si fonda. Siamo allo stravolgimento dei più elementari principi dello Stato di diritto, che ha come nucleo essenziale il principio di legalità, secondo cui anche il potere esecutivo è soggetto alla legge e perfino quello legislativo nei riguardi della Carta costituzionale. Ma l’atto del Ministro Sacconi è grave anche sul piano etico e culturale, perché frutto di una  visione integralista, che non può appartenere alle istituzioni. Su questi aspetti pubblichiamo di seguito una riflessione del Prof. Gianfranco Sabattini.

 La vicenda di Eluana Englaro ripropone il dilemma della validità di un dibattito pubblico su temi etici che tende a svolgersi in assenza di posizioni argomentative chiare. Da un lato, i credenti nella religione cattolica sono condizionati nei loro comportamenti dalla pretesa della Chiesa di offrirsi come surrogato di una religione civile, in considerazione dell’assunto unilaterale che le società democratiche non disporrebbero della forza morale necessaria a garantire la soluzione dei problemi “eticamente sensibili”. Dall’altro lato, il dramma per coloro che, credendo nella democrazia e nell’etica della responsabilità, devono confrontarsi con il pensiero della Chiesa, la quale, nell’avanzare la sua pretesa è supportata dai cosiddetti laici-devoti che, pur dichiarandosi democratici, mostrano d’essere sensibili alla pretesa della Chiesa solo spesso per ragioni elettorali, mancando però di prendere in seria considerazione il fatto che le verità assolute dalle quali la Chiesa deriva i suoi valori morali sono incompatibili con il pluralismo su cui è invece fondato il funzionamento delle società democratiche. Il pluralismo presuppone l’etica della responsabilità, che implica la valutazione delle conseguenze delle decisioni individuali e collettive sull’ambiente naturale, su quello sociale e sui singoli soggetti; essa, perciò, è l’esatto opposto dell’etica dei principi, che giustifica gli esiti delle decisioni unicamente in relazione alla loro coerenza coi principi assoluti posti a fondamento della conoscenza dello stato del mondo. Per questo motivo, l’etica dei principi è un etica dogmatica, estranea ad ogni società autenticamente democratica e pluralista.
L’etica della responsabilità, alla quale dovrebbe attenersi ogni cittadino di una società democratica, non è caratterizzata da una fideistica accettazione di un sistema di paradigmi assoluti, ma da un’adesione critica ad un sistema di valori contrattuali, storicamente e culturalmente condivisi, posti a fondamento del funzionamento delle istituzioni democratiche. In tal modo, all’interno di una società democratica, può essere garantita, nel modo più generalizzato, l’attività autonoma dei singoli soggetti finalizzata alla soluzione di tutti i problemi sociali. Alla democrazia è estraneo qualsiasi pretesa di espropriare i singoli cittadini della loro autonomia valutativa e decisionale sulla base di presunte conoscenze e di presunte verità fideistiche.
L’estraneità di queste alla democrazia è da ricondursi al fatto esse si collocano fuori da ogni necessità di “render conto e ragione” delle decisioni assunte, disconoscendo in tal modo la tolleranza e l’importanza della libertà di critica intesa come critica della ragione. Poiché, all’interno di una società democratica, la possibilità di render conto e ragione di qualsiasi decisione assunta è connessa all’adozione del metodo del dubbio e della libertà di critica, la rilevanza dell’adozione dell’uno e dell’altra non sta tanto nei risultati che con essi è possibile esitare, quanto nella necessità, che essi impongono, di interrogarsi di continuo sulle decisioni assunte, sottoponendole a continui tentativi di falsificazione e ad una continua critica.
Per concludere, le certezze assolute fondate su verità fideistiche non hanno alcuna attinenza con la società democratica; con questa sono giustificabili solo le certezze rese continuamente instabili dal dubbio e dalla libertà di critica. Sono infatti il dubbio e la libertà di critica dei singoli cittadini, garantite dall’organizzazione istituzionale della società democratica, anche se l’integrità di tale organizzazione dipende dall’attività di vigilanza che su di essa devono continuamente svolgere coloro che se ne avvalgono, a costituire lo scudo contro tutte le “sbornie dogmatiche” che, esse sole, costituiscono motivo di disunione e di disordine sociale. Il dubbio e la libertà di critica sono le dimensioni del cittadino ispirato ad un autentico “patriottismo costituzionale”; essi fanno onore alle verità che nessuno possiede perché sempre temporanee. Chiunque tradisca quest’assunto, come evidenzia Giovanni Fornero nel suo ultimo libro Laicità debole e laicità forte, introduce solo motivi di ambiguità nel dibattito pubblico sino a creare le condizioni perché credenti e non-credenti tendano a dichiararsi tutti laici, mentre qualsiasi posizione critica “fuori dal coro” viene liquidata con l’etichetta di laicismo. Questo stato di cose è particolarmente grave per quei laici che, rinunciando a fare i conti con la “diversità dei principi” su cui fondare la loro diversità dai credenti, mancano di contribuire ad affermare di vivere in una “società in cui la pluralità gioca un ruolo primario” ed a consentire che il dibattito pubblico si svolga tra cattolici-laici e laici-devoti da un lato, e laicisti ostili alla religione dall’altro; in tal modo, diventa problematico pensare che la posizione dei laici-devoti non possa indurli inevitabilmente a svolgere un ruolo eversivo della democrazia laica, con grave pregiudizio per il corretto svolgimento del dibattito pubblico e per il reciproco rispetto tra “veri” laici, da un lato, “autentici” devoti, dall’altro.

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