Alfiero Grandi
Pubblichiamo un ampio stralcio dell’intervento apparso il 24 u.s.
La strage di Parigi è una tragediache ha straziato la Francia e anche noi, tuttavia non possiamo dimenticare le responsabilità di quanti, Francia compresa, hanno contribuito a
destabilizzare Siria, Libia senza porsi il problema delle soluzioni. LaSiria ha ormai 10 milioni di profughi, buona parte dei quali è spinta ad un’emigrazione forzata, a qualunque prezzo, e solo ora sembrano manifestarsi atteggiamenti di maggiore consapevolezza dei guai creati da improvvidi attegiamenti guerreschi. Anche per questo ricorrente ricorso alla forza per regolare i conflitti è inaccettabile che in Italia emergano periodicamente tentazioni che ignorano l’articolo 11 della Costituzione (l’Italia ripudia la guerra)
ma che potrebbero trovare un impulso dalle modifiche della Costituzione volute da Renzi combinate con la nuova legge elettorale: la sola Camera deciderà a maggioranza l’entrata in guerra, ma la maggioranza verrà garantita da una legge elettorale ipermaggioritaria e da deputati in gran parte designati dal capo del partito, quindi il capo del partito vincitore
deciderà l’entrata dell’Italia in guerra con il mandato di una minoranza dei cittadini.
Per non parlare del TTIP, trattato transatlantico. Trattativa condotta per anni del tutto all’insaputa perfino di quale fosse il mandato a trattare della delegazione europea e ancora oggi sono segreti molti punti chiave con la motivazione antidemocratica che quando si tratta non si possono rendere noti i termini della trattativa. E’ la conferma dello scivolamento da un’Europa di principi e valori ad un economicismo di basso livello che sfoga nell’area di libero scambio per favorire il ruolo della finanza, delle multinazionali
con i loro diritti privilegiati e in questo quadro lavoro, diritti sociali e ambiente sono considerati fastidi sul cammino luminoso delle multinazionali, vere dominanti di questo accordo. In questo accordo l’Europa si adegua al libero scambio e ad un processo di globalizzazione che tende a rendere tutto omogeneo, senza diversità. La promessa di (modesta) crescita, come conseguenza del TTIP, è lo specchietto per convincere i cittadini europei, ma non tiene conto delle difficoltà che un sistema di piccole imprese avrà a
confronto con le multinazionali.
In un quadro simile l’Europa non può non essere in crisi verticale. I 5 Presidenti sembrano consapevoli della gravità della crisi europea e tentano di proporre rimedi, ma nelle proposte prevale un orizzonte sostanzialmente conservatore, che punta a confermare l’egemonia di questi anni. Infatti la parte più intelligente dei conservatori avverte la gravità della crisi dell’Europa - basta pensare alla sfida del referendum inglese
sulla UE - ma tenta di perpetuare nel cambiamento l’egemonia conservatrice, anche per questo la revisione dei trattati è lasciata sullo sfondo e prevale il tentativo di usare la gestione degli strumenti attuali. Tuttavia quando si inizia a discutere di novità è più difficile negare il diritto di proporne altre, di segno completamente diverso. Naturalmente a partire dalla sinistra, se avrà la capacità di avanzarle.
La sinistra europea deve cogliere questa occasione perché non è detto che si ripresenti l’occasione di una discussione ampia, a tutto campo, sul futuro dell’Unione come questa. Dobbiamo cercare di andare oltre la coppia infernale: piegare la testa o andarsene/essere cacciati.
Si può avanzare una prosposta alternativa e deve essere avanzata ora perché se la proposta dei 5 Presidenti diventerà l’asse delle decisioni, con l’obiettivo di chiudere il percorso nel 2025, ci troveremo all’interno di un rinnovamento di segno conservatore.
Naturalmente un’alternativa deve essere portata avanti con determinazione.
Certamente ha esercitato una forte spinta sulla posizione di Draghi il fatto che la Bce abbia agito per sostenere il rilancio dell’economia europea usando gli strumenti a sua disposizione come il Quantitative Easing, imitando - con ritardo - la Federal Reserve americana. La differenza con gli Stati Uniti non sta solo nel ritardo dell’iniziativa a sostegno dello sviluppo o nella quantita’ dell’intervento, quanto nel fatto che a fronte della Federal Reserve c’e’ il governo americano che ha chiesto con forza una politica monetaria espansiva e un Ministro dell’Economia che e’ referente della banca centrale Usa.
Draghi ha assunto decisioni espansive di politica monetaria, pur con qualche prudenza di troppo per il condizionamento tedesco, ma si trova di fronte ai limiti di una manovra solo monetaria. E’ proprio Draghi ad avvertirne i limiti nello stesso momento in cui dichiara che la manovra della Bce proseguira’ fintanto che ce ne sara’ bisogno. Per questo sente
l’esigenza di chiedere ai governi europei di costruire una sponda politica ed istituzionale e chiede un referente per le politiche della Bce.
L’altra novita’ e’ che Draghi non chiede un Ministro dell’Economia, da alcuni derubricato a Dipartimento del tesoro, dell’Europa a 28 ma dell’area Euro, quindi chiede in modo felpato, ma non troppo, un governo economico, e non solo, dell’area Euro e quindi inevitabilmente pone l’esigenza di riformare i trattati e l’architettura istituzionale europea attuale.
Naturalmente ci sono risposte gattopardesche come nominare un altro alto rappresentante che sarebbe una scelta del tutto inutile, come dimostra l’esperienza
degli esteri.
Mi sembra una sfida di enorme rilievo, come del resto lo è la crisi profonda dell’Unione, e una possibilità da non lasciare cadere. Quindi le forze politiche democratiche e in particolare la sinistra dovrebbero discutere questa come una priorita’ che obiettivamente offre spazi che erano inesistenti prima di questa iniziativa. Per la prima volta una parte
dell’establishment europeo si pone il problema di una politica di espansione che non si limiti all’uso degli strumenti monetari, per quanto importanti possano essere. Per di piu’ la politica monetaria, ancorche’ espansiva, deve per definizione attuarsi attraverso il sistema bancario che prima pensa ai suoi problemi di bilancio, vedi la richiesta di bad bank, poi alla ripresa economica. Del resto i vincoli posti alle banche a livello europeo non incoraggiano certo una politica di prestiti facili. Quindi la Bce sa benissimo che il QE paga un vero e proprio pizzo al sistema bancario e solo in un secondo momento e solo in parte gli effetti della sua iniziativa di denaro a buon mercato arrivano al sistema economico, senza dimenticare il rischio bolle. Quindi solo un’iniziativa istituzionale, dei parlamenti e dei
governi, puo’ dare un impulso, andando oltre le iniziative difensive, alla ripresa economica, alla sua qualita’ sociale ed ambientale, alla sua ottica effettivamente europea. Un’iniziativa della sinistra europea dovrebbe avere tre pilastri: 1) occupazione, non solo come quantità ma anche come qualità, diritti e redistribuzione del lavoro e degli orari, 2) ambiente come vincolo e soprattutto come risorsa, 3) riduzione strutturale, anche se graduale, della divaricazione tra i redditi, che è ormai un vincolo negativo per la ripresa e che da decenni non era ai livelli attuali, come ha dimostrato Picketty.
La conseguenza che deriva dalla constatazione che l’allargamento europeo è avvenuto senza risolvere a monte le regole di funzionamento e senza chiarire gli obiettivi di fondo dell’Europa ha creato una situazione di paralisi nella quale - paradossalmente ma non troppo - crescono le spinte ad uscire, mentre l’area Euro ha stabilito legami tali al suo interno che potrebbero essere valorizzati e portati alle estreme conseguenze, anche nell’attribuzione di compiti al livello europeo per realizzare una vera Unione. Delle due l’una: o si attende che tutti entrino nell’area Euro con tempi lunghissimi, sapendo
che al termine di questo processo l’Unione potrebbe non esserci più, o si decide di promuovere una cooperazione più che rafforzata con un parlamento dell’area Euro (tra l’altro potrebbe essere l’insieme dei deputati europei eletti nell’area Euro) e un Governo della stessa, compreso il Ministro dell’Economia che risponde al parlamento, iniziando a superare la prevalenza tecnocratica e antidemocratica nel funzionamento dell’Unione oggi. Tanti hanno dubbi e i timori sono comprensibili oltre che legittimi, ma di fronte
abbiamo il rischio concreto del dissolvimento dell’Europa, e nel modo peggiore, cioe’ per incidente. Per questo e’ preferibile prendere il toro per le corna e disegnare un’Europa a due velocita’: area Euro con 19 paesi e Europa a 28, sapendo che l’allargamento è avvenuto in modo improvvido.
Inoltre la prospettiva aperta da nuove proposte in campo potrebbe consentire di mettere concretamente in discussione i trattati europei, partendo da Mahastricht per finire alle assurde formule conosciute negli ultimi tempi, e questo potrebbe riaprire uno spazio anche per la Grecia, costretta ad un ripiegamento dai rapporti di forza sfavorevoli. E’ curioso che Cameron chieda per restare in Europa il diritto di uscire, negato alla Grecia. Per
questo la sinistra italiana deve cogliere l’occasione proposta dal documento dei cinque Presidenti e rilanciato da Draghi e in questa chiave proporre un confronto tra soggetti politici a livello europeo per costruire una piattaforma che sia la risposta a questa proposta.
Occorre guardare ad un’area più ampia della sola sinistra, che certo dovrebbe avere l’ambizione di esserne un protagonista. Occorre creare uno schieramento democratico e progressista che comprenda soggetti politici diversi con l’unica condizione che siano disponibili a costruire un’Europa diversa, democratica, partecipata, respingendo ripiegamenti nazionalistici, costruendo un assetto economico e sociale che riprenda il meglio della tradizione europea, tornando ad obiettivi come la piena e buona occupazione,
a criteri come la qualità sociale, a modalità di funzionamento e partecipazione pienamente democratiche e questo non può non riguardare anzitutto la riforma democratica della BCE.
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