Carbonia. Il senatore Terracini nel processo di Oristano, “ambiente pieno di malafede e di misera alla SMCS, così estraneo alle esperienze operaie e interessato esclusivamente alle ricchezze sarde”. Depongono i dirigenti politici e sindacali, Spano, Lay, Giovannetti e Cocco: 36 i lavoratori condannati

5 Febbraio 2023
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Gianna Lai

Come ogni domenica dal 1° settembre 2019, ecco un tassello della storia di Carbonia.

E, come se la contemporaneità dell’azione giudiziaria potesse imporre distanze dagli scioperi e dalle manifestazioni per un salario che renda meno dura la vita degli operai prosegue, fra magistrati imperturbabili e indifferenti alle pene del lavoro, il dibattimento sui fatti del gennaio 1947 presso il Tribunale di Oristano. Ma nella stessa condizione si trovano a combattere ora, nel 1949, gli operai di Carbonia rispetto ai fatti di allora, ancora molti arresti e violenza poliziesca, ancora la città affamata, niente mense, scarsi gli approvvigionamenti dal Continente, di cui è responsabile sempre la SMCS, tramite le navi noleggiate dall’ACaI. A denunciarlo il senatore avvocato Umberto Terracini, che aveva descritto l’ambiente “pieno di malafede e di misera invidia dei dirigenti SMCS, ambiente così estraneo alle esperienze operaie e interessato esclusivamente alle ricchezze sarde”: proprio lui, ad un anno appena dall’aver firmato la Costituzione della democrazia fondata sul lavoro e sui diritti. E poi i dirigenti politici e sindacali, Velio Spano e Giovanni Lay, Pietro Cocco e Martino Giovannetti, chiamati a deporre in Corte d’Assise: così Velio Spano, secondo L’Unità del 1 febbraio 1949, “Grave la situazione economica agli inizi del ‘47, e ancor più nella città-miniera per il suo isolamento e lontananza dai centri produttivi. Qui non c’è movimento commerciale, qui si produce nient’altro che carbone”, per sottolineare “la cattiva organizzazione dei rifornimenti economici e l’ingiusto criterio nella distribuzione”. E l’avvocato Arru a ricordare come in Italia ci fosse allora una grossa speculazione sul grano e sugli altri contingenti alimentari, “gli operai di Carbonia affamati”, mantenuti dall’azienda in quella condizione. E l’avvocato Giuseppe Sotgiu, “date pane se volete carbone”, riprendendo il motto dei minatori, per denunciare come la provocazione del processo stesse nel fatto che si voleva trasformare gli imputati in delinquenti comuni e, quindi, dimostrare legami tra Fancello e Giardina. E contesta il sequestro di persona l’avvocato Sotgiu, a proposito delle pressioni sull’ingegner Rostand, e il tentativo di estorsione, semmai da derubricare in “esercizio arbitrario delle proprie funzioni”. E poi l’avvocato Mario Melis e gli imputati Martinelli, Suella, Violante, Mura e Santelli.A parlare di processo ingiusto il cronista, che riporta il giudizio dei più severi osservatori, convinti si tratti di “una grossa montatura”. Per poi proseguire, il suo articolo, nella descrizione dei fatti attraverso le dichiarazioni dei testi, “Vi fu la richiesta agli insegnanti, da parte del compagno Martinelli, di solidarietà con gli operai”, per indicare come si allargasse la partecipazione popolare in sostegno alla manifestazione di protesta. E di come tutto il Collegio si opponga all’ipotesi del Procuratore Generale, secondo cui ci sarebbe stata un’intesa preordinata Fancello-Giardina, da provocare il disarmo dei carabinieri, per il Procuratore atto a giustificare il delitto di detenzione d’armi

E allora, ecco l’esito: “condannati i 36 lavoratori di Carbonia perché la Corte non riconosce il movente politico”, molti di loro liberati perché hanno già scontato la pena. “Smontato il castello di accuse, da sequestro di persona l’accusa si è trasformata in violenza privata. Mistroni ad un anno e 4 mesi. Giardina un anno e 10 mesi. Pene varianti dai 2 anni ai 6 mesi. Assolto Piloni ed altri perché il fatto non costituisce reato e per insufficienza di prove”. Su 27 detenuti, 24 scarcerati dopo due anni di carcere, mentre Giardina deve scontare altri 6 mesi. E intanto che viene emessa la sentenza, “la celere provoca la folla che inscena una manifestazione di simpatia per i condannati, all’uscita dal tribunale”, genitori e sorelle e fratelli e figli e amici degli imputati: il vice questore a proibire nella piazza delle carceri, “all’uscita dei compagni”, ogni manifestazione, fino a far scattare immediati il rastrellamento e la dispersione della folla in attesa.
E altrettanto impunemente continua lo sfruttamento dei lavoratori e i metodi restano quelli duri di sempre, l’ing Spinoglio deciso a non riassumere gli operai scarcerati che cominciano a rientrare a casa, un certo impegno in questo senso, invece, da parte di Chieffi, pur esistendo l’accordo del 17 dicembre, ribadito nell’incontro con le Commissioni interne di febbraio. E Pirrone poi, che convoca “i compagni scarcerati” per ammonirli a non svolgere più attività sindacale e a non partecipare più alle manifestazioni di piazza: questa l’accoglienza che ricevono gli operai al loro rientro a Carbonia, ancora la città alla fame, le paghe in ritardo, non prima del 16 febbraio, mentre non ci si può certo sottrarre alla protesta per lo sciopero contro la rottura del trattative sul rinnovo del contratto e in solidarietà coi minatori dell’Iglesiente, che si astengono dal lavoro da 38 giorni. Ed è contro tale protesta che la SMCS minaccia la serrata, peraltro fuorilegge, mentre la polizia giunge a imporsi “nei pozzi, con largo schieramento di forze e di autoblindo”: a Schisorgiu “niente volata perché l’azienda non fornisce l’esplosivo”, forse il primo segnale di una possibile serrata?
Per niente buone le notizie, del resto, dal fronte aziendale e governativo: l’amministratore delegato Stefano Chieffi comunica che sale a 200 lire l’aumento del costo del Sulcis per tonnellata, mentre non esclude, in un incontro con le Commissioni interne, la ripresa immediata e massiccia dei licenziamenti, governo e parlamento ancora incerti sulla copertura al finanziamento da poco deciso per la miniera. E restano a sostenere i lavoratori sindacato e sinistre, nell’articolo di Velio Spano, su L’Unità del 20 febbraio, i 72 giorni e la lotta per la contingenza, appena dopo la conclusione del processo, “Violenze e ricatti contro lavoratori sardi, una lunga ed eroica lotta contro la fame: i 72 giorni di agitazione a Carbonia, e poi i 10 di sospensione generale dal lavoro per la contingenza, quando gli operai venivano chiamati, uno ad uno, dal commissario e ammoniti e ai membri di Commissione interna veniva impedito con la forza ogni contatto con gli operai. Le strade percorse da autoblindo e pattuglie armate, giorno e notte, e vietati i contatti con i crumiri a suon di manganellate”.
Intanto le leghe e i partiti della sinistra preparano la “Festa in onore degli scarcerati al Cral n. 1”, i dirigenti delle sezioni di Carbonia nei centri d el Basso Sulcis a coordinare il lavoro politico, e “lezioni di scuola di partito” proseguono presso la sezione Centro, il 23 febbraio. Mentre “il compagno Bandinelli, delegato dell’Unesco, in città parla de Gli intellettuali e la pace” e, negli stessi giorni, è “il compagno Dessalvi di Carbonia” a ottenere “il primato per lo strillonaggio de L’Unità in Sardegna”: non si è dunque fermata la vita politica nel Sulcis, così possono riprendere il loro impegno i lavoratori appena liberati dal carcere, a dispetto della SMCS e nonostante le minacce del commissario di pubblica sicurezza.
Molto amara tuttavia la conclusione dello sciopero dei 45 giorni nel bacino metallifero, al centro delle cronache negli stessi giorni del dibattimento sui fatti del ‘47. “Indegna intesa di padroni e governo”, gli industriali pongono come condizione, all’accettazione delle rivendicazioni operaie, la rinunzia all’azione sindacale: “i rappresentanti sardi in Parlamento, escluse le sinistre, appoggiano le scelte governative di smantellamento delle miniere e di repressione del movimento”. Ancora un’ultima nota a margine sul processo di Oristano, in seguito al commento di Riscossa Sardista all’arringa dell’avvocato Caput, “che insultò gli imputati e fece apologia del fascismo, il direttore Anton Francesco Branca, ora difeso da Lussu e Asquer, è stato denunciato”. Branca, a sua volta, denuncia Caput.
Così infine la prefettura in quel mese di febbraio 1949 “il 5 del mese, alle ore 12 concluso lo sciopero generale dei lavoratori dell’industria, protrattosi per 11 giorni, mentre continua l’astensione nel bacino metallifero, ormai da oltre 6 settimane. E la questura, “Situazione politica caratterizzata dallo sciopero generale”, mentre la Dc resta “partito di massa verso cui tutti sono rivolti per non essere coinvolti nella sfera dei partiti estremisti. Il Msi punto di riferimento in tutta la provincia, nelle sue fila gran parte dei qualunquisti”. Questo il quadro per l’Ufficio Provinciale dell’Industria e del Commercio: “la vertenza tra le Associazione industriali e la Camera del lavoro conclusa con l’intervento dell’Alto Commissario, determinazione della contingenza in lire 410. Dal 4 gennaio sciopero alla Pertusola, si riprende il 13; a S.Giovanni la non collaborazione, come a Monte Agruxiau e a Montevecchio, e la direzione ferma la miniera”, mentre la miniera di S. Gavino ha sempre lavorato al completo. “Rientrato ad oggi in miniera il 50% degli operai, i rappresentanti delle associazioni minerarie e dei lavoratori a Roma, per iniziare la revisione del contratto nazionale. I primi si rifiutano di trattare, stante gli scioperi in Sardegna e in Sicilia: il Consiglio delle leghe del 24 minaccia lo sciopero generale di solidarietà se non si risolve la vertenza.

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