La Corte Costituzionale ha accolto parte dei ricorsi di Campania, Puglia, Sardegna e Toscana, le Regioni che avevano impugnato la legge Calderoli in merito all’interpretazione dell’articolo 116 (terzo comma) della Costituzione. Il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo: “Pur dichiarando la costituzionalità della legge, ne è stato scardinato completamente l’impianto richiamando il principio di unitarietà della Repubblica e il dovere di solidarietà”. Intervista a Stefano Fassina, autore di un libro molto critico sulla riforma. Che succederà ora?
La Corte Costituzionale, in appena due giorni di Camera di Consiglio, ha accolto parte dei ricorsi di Campania, Puglia, Sardegna e Toscana, le Regioni che avevano impugnato la legge Calderoli in merito all’interpretazione dell’articolo 116 (terzo comma) della Costituzione e all’attribuzione alle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Mentre la questione della costituzionalità complessiva della legge è “non fondata”, e i giudici invitano il Parlamento a “colmare i vuoti”, sono sette i punti del testo ritenuti incostituzionali. “Sarà necessario – ha detto il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo – attendere la pubblicazione della sentenza per un giudizio articolato, ma possiamo dire che la Consulta, pur dichiarando la costituzionalità della legge sull’autonomia differenziata, ne ha scardinato completamente l’impianto richiamando il principio di unitarietà della Repubblica e il dovere di solidarietà, e sottolineando come non si possa prescindere dal ruolo del Parlamento quando si tratta dei diritti civili e sociali dei cittadini”. Il presidente Pagliarulo aggiunge: “L’Anpi ha avuto ragione nel contrastare la legge Calderoli in quanto contraria agli articoli 2, 3, 5 della Costituzione e irrispettosa delle prerogative del Parlamento. Non si può trasformare l’Italia in uno spezzatino. Continueremo a difendere la Costituzione antifascista insieme con le associazioni, i sindacati, le forze politiche con cui abbiamo condiviso la raccolta di 1.300.000 firme per il referendum contro questa legge”. L’Italia insomma, è “una e indivisibile”. Stefano Fassina, economista, ex parlamentare e già viceministro dell’Economia del governo Letta, lo ha ben spiegato nel libro Perché l’autonomia differenziata fa male anche al nord per i tipi di Castevecchi editore, e commentato a caldo il pronunciamento della Consulta sui suoi social. Fassina, è una bocciatura della riforma oppure no?Assolutamente sì, è un ribaltamento dell’impianto della legge Calderoli e delle richieste concordate dal presidente Zaia con l’allora ministra Stefani nel febbraio 2019, e ripetute a luglio scorso con il governo Meloni. Cioè la richiesta di tutte e 23 le materie attribuibili, secondo lo scriteriato articolo 116 comma 3 della Costituzione, quindi in tutte le 500 funzioni in esse contenute, senza alcuna attenzione e correlazione con qualsiasi voglia specificità territoriali. Qual è il punto più importante giudicato illegittimo, secondo lei?Il punto principale censurato in modo radicale dalla Corte è la possibilità di attribuire materie o blocchi di materie, o funzioni o insieme di funzioni, e la necessità che la devoluzione riguardi specifiche funzioni legislative e amministrative con ancoraggio alle specificità territoriali, quindi della Regione. Quindi è esattamente l’opposto. Calderoli e Zaia posso continuare ad arrampicarsi sugli specchi quanto vogliono, senza timore del ridicolo, ma l’impianto è stato ribaltato.Ma le imprese e il Nord sono consapevoli dei pericoli che contiene questa riforma?Il Nord e le imprese lo hanno capito benissimo. È una favola propagandata dalla Lega che gli imprenditori volessero l’interpretazione estrema dell’autonomia differenziata. Qualche giorno fa il presidente degli industriali del Veneto, Enrico Carraro, ha sostanzialmente contraddetto l’impianto secessionista voluto sia dalla Lega sia dai presidenti leghisti delle Regioni del Nord: in un’intervista a La Stampa ha sostenuto la necessità, a partire dalla questione dazi prospettati dal neo presente Trump, di un’azione dello Stato nazionale, come pure sull’energia, la ricerca, l’innovazione e le politiche industriali. Ha radicalmente contraddetto l’approccio separatista della Lega. C’è la consapevolezza diffusa che questa legge faccia male anche al Nord, e gli fa male perché si è chiusa la stagione del fai-da-te in un mercato che aggiustava da solo tutto. Siamo nella fase in cui le politiche pubbliche tornano necessarie e i loro protagonisti sono almeno gli Stati nazionali, certo non i presidenti delle Regioni. Altre motivazioni sono il dumping salariale e regolativo interno che avrebbe alimentato, con la rottura di contratti nazionali di lavoro e con la competizione al ribasso sulla regolazione di importanti aspetti della vita economica, quali per esempio la sicurezza sui luoghi di lavoro. Adesso cosa succederà?Spero che si fermi il processo. Anche se preoccupano le reazioni a caldo di Calderoli e Zaia, quando insistono nel dire che andranno avanti. Il Parlamento dovrebbe radicalmente correggere le indicazioni della Corte, la quale ha censurato alcune norme e dato una radicale direzione in senso costituzionale ad altre. Sarebbe auspicabile che si riprendessero i documenti forniti nelle audizioni della Banca d’Italia, dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, ma anche da Confindustria e da tutto l’arco dei costituzionalisti che avevano già segnalato i problemi indicati ora dalla Corte. C’era già tutto nelle audizioni. Questo è il segnale dell’arroganza con la quale si è proceduto.In pratica?Bisognerebbe fare le correzioni, e con una larghissima maggioranza dato che si tratta di una riforma costituzionale. Poi affrontare la definizione dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni, come era inevitabile data la loro rilevanza: non potevano certo essere stabiliti con un Dpcm, un atto amministrativo di secondo livello. Andremo al referendum?Non lo so, sicuramente bisogna attendere le motivazioni della Corte, come ha giustamente detto l’Anpi con il presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo, segnalando tuttavia che è stato smontato l’intero impianto. E poi va ricordato che la Cassazione, in dialogo con i promotori della riforma, valuterà se ci sono ancora le condizioni per andare a referendum. Se la Consulta ha eliminato le sostanziali incompatibilità costituzionali dell’autonomia differenziata, rimane però il punto politico: la sua desiderabilità. Mi sento di dire che ora possiamo stare decisamente più tranquilli, non ci sono pericoli di interpretazioni estreme. Sottolineo che il comunicato dei giudici chiude con un ammonimento forte: “la Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione”. Quindi se loro procedessero a fare intese non tenendo conto dei rilievi della Corte, o facendolo solo in parte o provando ad aggirarli, i giudici della Consulta interverranno di nuovo. La Corte ha davvero ricondotto l’autonomia differenziata a quella che è la sua funzione. Ogni possibile interpretazione ora sta dentro il quadro costituzionale e deve starci. Rimane il punto politico.
Sara Lucaroni, giornalista e autrice di libri tra cui, nel 2024 di “La luce di Singal. Viaggio nel genocidio degli Yazidi”, in precedenza di “Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai”, e di “Il buio sotto la divisa. Morti misteriose tra i servitori dello Stato”; è inoltre vincitrice di premi, quali nel 2023 il premio giornalistico nazionale “La matita rossa e blu”
1 commento
1 Aladin
29 Novembre 2024 - 09:17
Anche su aladinpensiero online: https://www.aladinpensiero.it/?p=159814
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