Lettera aperta di Andrea Raggio a Silvio Lai

20 Novembre 2010
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Andrea Raggio

A Silvio Lai
Segretario regionale del PD

Caro Silvio,
il PD è ancora un partito autonomista? Mi riferisco alla condotta nella sessione consiliare dedicata alla riforma statutaria, finita nel nulla. Il partito ha lasciato l’iniziativa agli altri, è apparso incerto e diviso ed è stato costretto a subire un pasticciato compromesso pur di porre fine a questa tormentata vicenda. Una fase dell’autonomia è finita? Ma è quel che stiamo ripetendo da vent’anni! Anche quello del rinvio - alla commissione consiliare e alla “assemblea elettiva”- è un rito antico rinnovato a ogni legislatura senza costrutto perché non accompagnato da un chiaro indirizzo. Questa volta con un’aggravante: lo spazio lasciato all’ipotesi indipendentistica.  
Il Consiglio doveva e poteva deliberare indirizzi e finalità della riforma. Doveva decidere, perché se è vero che la riforma istituzionale di per se non risolve i mali della Sardegna, è altrettanto vero che le buone istituzioni servono a far camminare le politiche, così com’è innegabile che l’avvio della riforma sia urgente. Lo Statuto del 1948, infatti, non solo è in parte superato dai mutamenti intervenuti in tutti i campi, ma è soppiantato da uno statuto materiale - quello imperniato sul presidenzialismo e sulla subalternità al Governo (la “Regione amica del Governo amico”) – che costituisce uno dei principali ostacoli alla mobilitazione contro la crisi e per lo sviluppo. Il Consiglio, inoltre, era in grado di decidere perché poteva avvalersi dell’importante contributo di analisi e di proposta venuto da giuristi, associazioni e forze sociali, nonché da convegni promossi dalla stessa Regione. 
Da questo contributo è chiaramente emersa l’esigenza di una riforma statutaria finalizzata all’acquisizione sia di nuove competenze sia di poteri adeguati a promuovere una più incisiva partecipazione della Regione alle politiche nazionali e comunitarie. La Regione deve partecipare non solo per incidere sulle scelte che condizionano lo sviluppo dell’isola, ma per contribuire alla gestione delle competenze trasferite al livello sovranazionale, accompagnare la tutela politica delle prerogative della Regione a quella giuridica e ri-motivare le ragioni della specialità nel senso che insularità e centralità mediterranea sono fattori d’interesse nazionale e comunitario. Opinione da tempo consolidata, inoltre, è che per favorire una più incisiva partecipazione occorre rivendicare il completamento del titolo V° della Costituzione con l’istituzione del Senato delle Regioni e, soprattutto, occorre attrezzare la Regione per porla nelle condizioni di sviluppare una forte capacità di proposta e di governo. La riforma, insomma, deve partire dalla Regione.   
Come vedi, ho soltanto richiamato posizioni largamente condivise ma, purtroppo, sospinte ai margini del dibattito consiliare. Così come oscurata dalle nuove tendenze modaiole di tipo secessionistico è apparsa la questione prioritaria della trasformazione della Regione da Ente neocentralista in ordinamento di autonomie locali e di partecipazione dei cittadini alle politiche regionali.
Anche il PD non ha tenuto conto alcuno di questi contributi. Ha presentato una mozione accodata a quella Udr, successivamente ha annunciato la presentazione di un ordine del giorno in bilico tra la mozione Udc (processo a Carlo Alberto) e quella PSA (indipendenza piena e compiuta con diritto all’indennizzo), ordine del giorno poi trasformato, con quale attenuazione, in una seconda mozione; infine ha presentato una terza mozione che prende le distanze dalle prime due. Nel dibattito consiliare col suo comportante contradditorio, sfuggente, ammiccante e subalterno ha contribuito ad alimentare la confusione. L’ordine del giorno sull’indipendentismo è stato si respinto, ma con una votazione - 28 contro e 25 tra favorevoli e astenuti – che alimenta la preoccupazione.
Capisco l’impegno posto in extremis per chiudere, anche a costo di un pasticciato compromesso, una vicenda che stava prendendo una brutta piega. Non capisco per niente, invece, l’esaltazione di questa infelice conclusione come un successo unitario. L’unità costruita sul nulla che unità è?  Ecco perché insisto: il PD è ancora un partito autonomista?
Ti saluto cordialmente.

                                                Andrea Raggio
                                                  
 

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