Gli insulti non sono democrazia

20 Luglio 2012
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Andrea Raggio

Gli insulti, lo sappiamo, non sono argomenti. Chi li ha introdotti nel linguaggio politico, copiando i fascisti, è stato Berlusconi. Esempio: quelli che mi criticano sono comunisti (parola nobilissima caricata di significati spregevoli); quelli che votano a sinistra sono coglioni, e così via. Si ricorre sempre più, inoltre, agli insulti ammantati di modi di dire. Esempio: non sa di cosa parla, cioè parla a vanvera; piangi lacrime di coccodrillo, sei un ipocrita; mio zio avrebbe fatto meglio, sei un ignorante; non mi metterai in saccoccia, sei un imbroglione. Ci sono, poi, gli insulti gestuali: dal dito fallico di Bossi alla V vaffa di Beppe Grillo, alle smorfie di disprezzo esternate mentre l’avversario parla, offerte generosamente alla televisione perché le diffonda. E le invettive volgari: c’è stato addirittura un deputato che, convinto di dire cosa di sinistra, ha insultato in Parlamento il Governo strepitando “ci avete rotto i c”. Infine, le volgarità contro le donne scatenate con furia libidinosa da Beppe Grillo.
In questi ultimi tempi l’uso dell’insulto in luogo degli argomenti va diffondendosi anche a sinistra. Qualcuno sostiene che in tal modo il linguaggio è più vicino al popolo, ai lavoratori. Non è vero. Il popolo è fatto di cittadini, non di screanzati. Quanto ai lavoratori mio padre, maestro operaio che col mestiere insegnava l’etica del lavoro, diceva: se rispettiamo siamo più forti nell’esigere di essere rispettati. Ricordo i canti del lavoro che hanno esaltato le grandi battaglie per l’emancipazione sociale. Il canto delle mondine: “Se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorar”. E l’Internazionale: “Non siamo più la plebe all’opra china … abbiamo un ideale”. Canti di forza straordinaria perché civilissimi. Anche la satira sociale era feroce ma civile.
Non è, quindi, solo una questione di stile, di buona educazione. Ed è, inoltre, una questione di democrazia. L’insulto sbarra la strada al ragionamento mentre per favorire la partecipazione bisogna stare sempre al merito dei problemi. Monti, è vero, ha espresso sulla concertazione un giudizio sommario e liquidatorio, mentre l’esperienza compiuta in Italia è complessa, fatta di luci e ombre. C’è stata l’esperienza importante del 1993, ma anche quella degli anni recenti nei quali il ministro Sacconi ha usato la concertazione per dividere il sindacato e colpire la CGIL. Per non parlare delle concertazioni defatiganti utilizzate dai governi per non decidere dando le colpe ai sindacati, o degli accordi sindacali di favore concessi dal potere politico (e padronale) per fare clientela e catturare il consenso di gruppi ristretti di lavoratori a danno di tutti. Invece di parlare di questo, ecco arrivare l’invettiva: “Prendere lezioni di democrazia da chi è cooptato e non si è misurato col voto è un po’ imbarazzante per il futuro democratico del Paese”. Mi domando, è democrazia la pretesa di imporre la concertazione a 360 gradi, su tutti i problemi del Paese: “salari bassi, fisco, welfare, infrastrutture, divario nord-sud, giovani, famiglia” come ha sostenuto più volte il segretario della CISL, quasi che i sindacati rappresentino tutto il mondo del lavoro, o addirittura l’intera società? E’ democrazia la pretesa di condizionare l’autonomia decisionale, del governo e del Parlamento? Quanto all’esperienza degli altri Paesi, occorre precisare che il dialogo sociale a livello europeo opera in due precise direzioni: la contrattazione fra le parti sociali che il potere politico favorisce, e la consultazione delle parti sociali da parte delle istituzioni allo scopo di giungere ad atti di governo il più possibile condivisi. Ma sempre nel rigoroso rispetto dell’autonomia della politica perché ciò risponde all’interesse generale.
A proposito d’insulti, ancora un commento. Matteo Renzi ha ribadito il suo intento di candidarsi alle primarie del PD. Se è convinto di avere le qualità per dirigere il governo del Paese, niente da dire. Se dicesse: farò di tutto per vincerle, gli farei persino gli auguri. Ma fa di tutto, e lo dice, per far perdere le primarie a Bersani. Matteo Renzi è il massimo, riesce ad auto-insultarsi!

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