E’ democratico l’appello al voto utile?

26 Gennaio 2013
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Marco Isola
 

La legge elettorale sta sicuramente condizionando in modo rilevante le strategie politiche che precedono le elezioni, ma questo elemento non costituisce novità. Quando non c’era il porcellum, esisteva il voto al singolo candidato in ciascun collegio (mattarellum), candidato anche in quel caso scelto non dai cittadini ma nominato dal partito, anche li espressione talvolta di coalizioni e non di singoli partiti per evidenti motivi di opportunità elettorale e non sempre in modo felice (fui costretto dalla scelta del mio partito di allora, il PDS, a votare per un certo Felicetto Contu…). I due rami del parlamento si componevano in modo diverso, ma non per questo meno problematico, e prima ancora, con un’altra legge elettorale, continuavano ad esserci problemi di maggioranza ed alleanze, tali da costringere un partito numericamente ben più rilevante dell’attuale PD, ovvero la DC, a portarsi in coalizione partitini talvolta piuttosto dispettosi. Non è mai esistito un momento storico in cui un partito, vagamente accreditato del 30% dei consensi, potesse pensare di poter governare con una maggioranza parlamentare propria… oggi è purtroppo possibile. Dico purtroppo perchè i numeri per poter avere una maggioranza ampia sono esigui, e con un poco di fortuna, la stessa potrebbe manifestarsi anche al Senato, consegnando il Paese nelle mani di una minoranza netta.
Oggi come sempre, più che programmi interessanti si sentono chiacchiere degne del peggiore bar dello sport relative al cosiddetto “voto utile” (utile a colui che lo invoca e non certo al Paese) ed alla inopportunità della candidatura altrui. Queste argomentazioni sono antidemocratiche e prevaricanti. Il PD ha espresso il suo candidato per la guida del Paese e dovrebbe concentrarsi sul suo programma e sulla sua diffusione al fine di catalizzare consensi, e non sul fatto che un altro uomo decide di proporsi per lo stesso ruolo. E’ previsto dalle regole della democrazia in cui viviamo, ed è richiesto da tantissime persone, quelle persone, visto che qualcuno fa finta di non capirlo, che in assenza di quella candidatura con ogni probabilità userebbero violenza contro se stessi e non andrebbero a votare, perchè non esiste un voto utile o un meno peggio come dimostra la recente storia politica. Dal 94 ad oggi abbiamo avuto alternanza di maggioranze al governo, che proponevano esattamente le stesse cose ad ogni elezione, e che si curavano di non realizzare quanto promesso pur avendone avuto la facoltà: il conflitto di interessi, la modifica della legge elettorale, il taglio del numero dei parlamentari, l’abolizione dei privilegi, sono tutte cose che nessuna delle due parti ha minimamente pensato di attuare. Ma oggi il problema non sono queste scelte sbagliate del passato, oggi il problema è Antonio Ingroia, perchè con la sua candidatura di fatto cambia la traiettoria del futuro prossimo. Diventa un problema perchè non è allineato, e verosimilmente potrebbe essere un controllore inflessibile. Il nemico avrebbe dovuto esser considerato un altro… tal Silvio Berlusconi, colui al quale il PD nelle sue varie forme precedenti ha teso la mano in diverse occasioni, o tal Mario Monti, che ha consolidato il potere nelle mani delle lobbies per cui svolgeva il duplice ruolo di controllore e controllato.
Trovo patetici i discorsi con cui oggi si parla in termini denigratori di partiti e liste, considerati da qualcuno come un intralcio al proprio percorso vincente. Perché non ci si chiede come mai queste liste costituiscono un problema? Se la gente venisse rispettata un pò di più e la si ritenesse sempre in grado di esprimere compiutamente un voto consapevole e non solo quando lo esprime a nostro favore, si farebbe un passo avanti in termini di democrazia. Il quesito da porsi non può essere ” perchè Ingroia si candida intralciando il mio percorso”, da parte di Bersani, ma piuttosto dovrebbe essere “come mai non ho un consenso ampio come vorrei e come mi sarebbe utile per governare come vorrei”.  Evidentemente la gente non gradisce le politiche espresse da lui e dal partito di cui è leader, e sposa alternative che reputa legittimamente più opportune.
Concludendo, un partito che nel suo nome porta la parola democratico non dovrebbe neanche pensare di pretendere di governare un Paese con appena il 30% dei consensi, nè dovrebbe pensare di chiedere a un altro leader di farsi da parte per raggiungere il proprio obiettivo. Gli elettori sono molto più consapevoli di quanto si possa pensare, e oggi, per fortuna, non scelgono più turandosi il naso.

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