Questione morale: ce n’è una in salsa FI e un’altra in versione PD

31 Maggio 2014
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Andrea Pubusa

Quando sono in giro o incontro qualcuno faccio sempre delle mie piccole inchieste. Di solito “c’azzecco”. Anche questa volta il risultato conferma le mie impressioni della vigilia fondate sulle chiacchierate col falegname, col vecchio compagno comunista, con il verduraio,  con mia sorella. Ormai per una buona fetta degli italiani la questione morale non esiste. Il voto viene dato a chi piace di più… a prescindere. Così mia sorella ha votato Soru e mi ha detto anche che è una persona immacolata. Delle vicende giudiziarie sull’evasione niente, tabula rasa. Eppure quando la questione si pone per Berlusconi diviene dirimente, L’ex cavaliere è un mascalzone senz’altro. Che il PD sia un partito d’indagati non interessa neppure a molti ex-berlingueriani, ciò che importa è che Renzi sorride e Grillo urla. C’è poi la conservazione sociale. Un amico avvocato democratico, qualche giorno prima del voto mi dice: Grillo o Zipras lasciomo che a votarli sia chi se la passa male. Per noi in fondo va ancora bene, meglio votare Renzi. Questione morale e crisi economica zero.
Che dire? C’è stata una vera e propria mutazione genetica nell’area democratica, dove ciò che conta non è il malaffare in sé, ma chi lo compie. Se sono gli altri mi indigno (sempre meno, in verità!), se sono i miei non conta, con retropensiero berlusconiano: i giudici, in fondo, sono dei rompicoglioni.
In questi giudizi gioca anche un approccio diverso dei forzisti e dei piddini verso le procure. I primi gridano al complotto, i secondi tacciono o manifestano fiducia. Un po’ come facevano i democristiani. Ricordate il riguardo di Forlani e di Andreotti per i giudici? Sempre presenti in udienza, rispettosi, nell’aula giudiziaria si svestivano degli loro abiti di uomini di potere. Come trattarli con severità se sono così legittimanti? Anche Soru ha fatto così nel caso Saatchi e funziona. Zedda, da buon aprendista, ci sta provando. I giudici sembrano gradire il formale ossequio, non gradiscono la delegittimazione urlata della magistratura. Premiano il primo, stroncano la seconda. Ed anche gli elettori democratici sembrano pensarla così: non conta se hai peccato, ciò che importa è che tu, a parole, sia rispettoso dei ruoli e delle funzioni. Questa condotta cancella o attenua il reato e, dunque, il procedimento penale in corso non incide sulla scelta di voto.
Il buon Grillo ha creduto sufficiente essere irreprensibili sul piano morale, con rinuncia al finanziamento pubblico e autoriduzione delle indennità parlamentari, ma è stato ingenuo. Ha dimenticato che il PCI fu uno specchio di moralità e di impegno disinteressato e, cionostante, non ha mai battuto la DC. Eppure questo partito, nei modi del PD oggi, in molti settori e in non pochi suoi esponenti era invischiata in vicende di malaffare, e in Sicilia aveva evidenti intelligenze con la mafia.
Da questo punto di vista le elezioni europee segnano un passaggio epocale. Hanno sancito l’avvenuta omologazione di una parte della ex sinistra, più  che al berlusconismo, al democristianismo, che ne è una forma formalmente più temperata, più educata, anche se sostanzialmente non meno devastante. In Sardegna il voto a Soru, novello notabile democristianamente indagato, ne è la riprova. Ne è prova il fatto che gli scandali nazionali, in cui l’intesa e l’intreccio FI-PD è palese, non incide sul consenso. Andiamo verso una pot-democrazia malavitosa col consenso di massa?

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