La ricchezza di pochi avvantaggia tutti?

13 Giugno 2014
Nessun commento


Gianfranco Sabattini

Uno studio del World Institute for Development Economics Research delle Nazioni Unite denuncia che nel 2000 l’1% delle persone adulte più ricche possedeva il 40% delle risorse globali e che il 10% ne possedeva l’85%, mentre il 50% delle persone adulte del mondo possedeva solo l’1% delle ricchezza globale. Notizie sempre più negative sulle disuguaglianze distributive si susseguono di giorno in giorno e la diffusione e la persistenza della povertà, in presenza del “fondamentalismo” della crescita continua e del susseguirsi di crisi sempre più frequenti, inducono a riflettere sulle cause e gli effetti negativi dell’abisso sempre più profondo che si è scavato, e che continua ad approfondirsi, tra poveri privi di ogni prospettiva futura e ricchi ottimisti, fiduciosi e chiassosi. L’abisso è divenuto così profondo da risultare ormai al di la delle capacità di scalata di chiunque si trovi involontariamente in stato di bisogno: è questo il “J’accuse” che Zigmunt Bauman lancia nel suo ultimo libro, “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti: falso”, contro gli esiti del funzionamento sul piano distributivo del capitalismo moderno.
In particolare, la crescente disuguaglianza del reddito, benché indesiderabile dal punto di vista sociale, non avrebbe grande rilevanza se tutti fossero liberati dallo stato di bisogno; ma se la maggior parte del prodotto sociale corrente è “catturato” da un numero relativamente piccolo di soggetti, come avviene nella realtà di oggi, è evidente che nel funzionamento dei moderni sistemi economici c’è qualcosa che non funziona. Le dichiarazioni di quanti affermano che il perseguimento del tornaconto individuale fornisce anche “il meccanismo migliore per il perseguimento del bene comune” sono perciò false. Secondo Bauman, malgrado che gli esseri umani siano consapevoli del carico di negatività del quale sono portatrici le disuguaglianze distributive, queste nei sistemi sociali capitalistici persistono tenacemente, a causa della radicata credenza nei “dogmi dell’ingiustizia”; ciò perché tali dogmi sono le premesse che danno senso alle convinzioni radicate con cui gli uomini pensano e decidono, delle quali però non si rendono conto della debolezza loro intrinseca. I dogmi dell’ingiustizia sono per lo più espressi dalle credenze che l’elitismo sia all’origine del benessere del sistema economico, perché la libertà dal bisogno di molti può essere assicurata solo promuovendo e proteggente le capacità delle quali solo pochi dispongono; che l’esclusione è insieme normale e necessaria per conservare lo stato di salute del sistema sociale e che l’avidità costituisce uno dei “motori” centrali per il miglioramento del sistema sociale; che lo stato i bisogno diffuso e persistente è ineluttabile e non può essere evitato.
La condivisione di questi dogmi non ha concorso a creare un clima sociale favorevole alla cooperazione ed alla solidarietà umana, in quanto ha plasmato nel tempo un’etica sociale tale da rendere cooperazione e solidarietà opzioni non solo impopolari, ma anche dannose per essere condivise; in particolare, ha reso difficile la comprensione che la costruzione di un sistema sociale competitivo e conflittuale è opera umana, nel senso che sono stati gli uomini stessi a privilegiare, nella costruzione del sistema sociale, la forma conflittuale. Sennonché, la competizione è un surrogato sublimato della guerra e questa non è affatto inevitabile, perché se gli uomini avessero voluto la pace e la cooperazione in luogo del conflitto avrebbero potuto farlo con la stessa facilità con cui all’origine hanno optato per la rivalità in luogo dell’”amichevole cooperazione”.
L’essere stati educati a credere che il benessere di tutti i componenti del sistema sociale lo si potesse promuovere meglio solo lasciando che pochi si arricchissero a danno di tutti ha causato, per Bauman, il travisamento della tradizionale relazione tra gli “esseri pensanti” e gli “oggetti del pensiero umano”, trascurando che i primi sono il lato attivo della relazione, mentre i secondi sono il lato ricevente dell’azione umana. Il travisamento si è verificato allorché il “modello della relazione soggetto/oggetto”, derivato dall’esperienza e giustificato dalla tradizione filosofica, è stato trasferito alle relazioni fra gli esseri umani, con questi ultimi trattati alla stessa stregua degli “oggetti”. In tal modo, è stato possibile forgiare e plasmare un’etica sociale individualistica ed esclusiva, che, malgrado i suoi effetti disgreganti sulla “tenuta” del sistema sociale, mostra ancora oggi segni di forza aggregante. L’aver preteso quindi, originariamente, di giustificare la sostituzione della cooperazione e della solidarietà con la competizione e la rivalità attraverso il richiamo del vecchio adagio “homo homini lupus est” è stato, conclude Bauman, solo un insulto per i lupi.
Bauman ha certamente ragione, perché l’avidità, posta a presidio della distribuzione del prodotto sociale, è servita a giustificare una “distribuzione a somma zero”, nel senso che il “privilegio di pochi” ha potuto essere reso possibile solo a danno dei più; mentre l’avidità, se fosse stata trasformata e depotenziata con la collaborazione e la solidarietà in accettabile e funzionale emulazione, avrebbe potuto giustificare una distribuzione “a somma positiva”, nel senso che il maggior risultato del “vivere insieme” che sarebbe stato possibile conseguire sarebbe andato a vantaggio di tutti. Il mondo attuale è totalmente “chiuso” ad “aprirsi” all’accoglimento di questa lapalissiana verità.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento