Dove va Tsipras?

27 Settembre 2015
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Paolo Ciofi

Il sito “Dalla parte del lavoro” ha pubblicato questa riflessione, che tenta di dare risposta ai molti quesiti che la vittoria di Syriza pone. Tsipras liquida la sinistra interna per andare a destra, come auspica la destra? O si rafforza e mantiene dritta la barra in un situazione di grande isolamento in Europa? E cosa dobbiamo fare noi e le sinistre europee irriducibili? Si può replicare da altre parti la vittoria di Corbyn nel Labour?

Quali sono le conseguenze che si possono trarre, in Italia e in Europa, dalla vittoria di Tsipras in Grecia? Da più parti si delinea uno scenario, che equivale a una gabbia ideologica prefabbricata, dal quale non è consentito uscire. Secondo illustri maestri del pensiero, che considerano la politica un semplice gioco di posizionamenti dentro il sistema sociale dato a prescindere dai contenuti, la straordinaria affermazione di Syriza non sarebbe altro che la prova provata di un vecchio assioma: la sinistra, stretta tra spinte scissioniste volte al passato e politiche di austerità prive di alternative, non ha altra prospettiva se non quella di affidarsi all’uomo della provvidenza, che fa e disfa a suo piacimento. In Grecia è Tipras, in Italia è Renzi. E se in Grecia si è dimostrato che non c’è spazio a sinistra di Syriza, altrettanto si profetizza per l’Italia a sinistra del Pd. Come se il Pd fosse Syriza e Renzi fosse Tsipras.
Mescolate i fatti accertati con i vostri desideri e il gioco è fatto. Il leader di Atene si sottopone per tre volte al voto popolare in meno di un anno, e lo statista di Rignano diventa capo del governo con un colpo di palazzo? Non fateci caso, entrambi sono giovani, abili e astuti. L’uno mette nel mirino sindacati e lavoratori, fino al punto di additare come nemici dell’Italia i custodi del Colosseo - ai quali è stato negato il dovuto - per un’assemblea regolarmente convocata, e l’altro, pur nella morsa dei creditori, dichiara di voler restare dalla parte di chi lavora, dei precari, delle donne disoccupate e dei pensionati, come ha fatto in tutti questi anni Syriza? Niente di strano, è solo un particolare irrilevante nel gran circo mediatico in cui gli sfruttati e i subalterni, tutti coloro che subiscono la crisi, non hanno rappresentanza né rappresentazione. In tale visione, la sinistra non è altro che un prodotto equivalente della destra, cui Tsipras e Syriza dovrebbero uniformarsi.
Non sappiamo se il capo del governo greco riuscirà a tenere la barra dritta, ossia a tutelare le classi e i ceti più deboli e a far uscire il suo Paese dalla crisi, come egli stesso ha dichiarato, continuando la lotta per un’altra Europa, contrastando il memorandum, rinegoziano il debito e combattendo a viso aperto la corruzione. Le condizioni di vita in Grecia sono molto pesanti, ancora più gravi dopo il ricatto dei creditori, che Tipras ha accettato per evitare la bancarotta conclamata e l’ingovernabilità del Paese, con la conseguenza certa di moltiplicare le spinte autoritarie e fascistiche. D’altra parte, il risultato elettorale, pur nella sua limpidezza, indica uno stato di disincanto e di difficoltà anche sul terreno politico: per l’elevato numero di astensioni, per la maggioranza risicata della coalizione di governo, soprattutto perché in questa nuova fase, dopo la fuoriuscita di una minoranza, non è chiara la configurazione di Syriza come partito di governo e di lotta.
Sappiamo però con certezza che se Tsipras fosse uscito sconfitto dalla prova elettorale, la discussione su una possibile alternativa sarebbe stata stroncata in Grecia e in Europa. E la prospettiva sarebbe oggi più incerta e più oscura. Quella vittoria rappresenta dunque un punto di forza per la costruzione della sinistra: di una sinistra alternativa, di lotta e di governo, con caratteristiche popolari e di massa, in Italia e in tutto il continente. Ma nello stesso tempo carica di maggiori responsabilità tutte le forze sociali e politiche che aspirano a un reale cambiamento, alla costruzione di un’altra Europa fondata sui principi di uguaglianza, di libertà e solidarietà. È del tutto evidente che la Grecia da sola non ce la può fare a cambiare l’Europa. Adesso, dopo la sua terza vittoria, Tsipras ha più forza, ma non si può trascurare che ha dovuto cedere al ricatto dei creditori perché in Europa è stato lasciato solo. Nel vuoto determinato dall’allineamento subalterno dei cosiddetti riformisti socialdemocratici alla linea della Merkel, ossia allo strapotere dei mercati, e dalla debolezza di chi a questo potere dichiara di opporsi. Mentre Renzi smonta sistematicamente i diritti del lavoro appellandosi a un blairismo retrodatato, ormai con Corbyn messo in discussione anche in Inghilterra da chi lo ha inventato e lo ha subìto.
C’è urgente bisogno di un nuovo internazionalismo, di fronte alle guerre tra poveri che si moltiplicano e alla tragedia dei migranti senza terra e senza lavoro che fuggono dalla miseria e dalla fame, cui l’Europa risponde in ordine sparso con egoismo e arroganza, alzando muri, alimentando al suo interno conflitti, nazionalismi ciechi e spinte fascistiche. L’internazionalismo del nostro tempo non può non essere una componente costitutiva della sinistra da costruire. Ma perché non resti una declamazione è necessario che cresca, in ciascun Paese, un movimento su concreti obiettivi comuni superando la frantumazione e le contrapposizioni esistenti, e che questo movimento trovi un’adeguata espressione politica. Non c’è sinistra se non si trova una nuova sintesi tra il sociale e il politico, che renda protagoniste le persone che vivono del proprio lavoro. Senza di che la sinistra non può vincere. […]
Paolo Ciofi www. paolo ciofi.it

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