Stato sociale e protezione della vecchiaia

21 Dicembre 2008
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Gianfranco Sabattini

Il problema del “conflitto” che molti critici del sistema attuale di sicurezza sociale sostengono esista tra il livello del welfare state e la crescita e lo sviluppo del sistema economico è destinato in prospettiva ad aggravarsi, in relazione alla dinamica della comunità di coloro che fuoriescono dalla comunità della popolazione attiva. L’invecchiamento è certamente inscritto nella fisiologia degli uomini, ma di esso all’interno dell’organizzazione sociale si ha anche una “definizione istituzionale” che stabilisce che si diventi anziani ad una soglia di età (ad esempio, 65 anni) di solito inferiore alla soglia di età in corrispondenza della quale si diventa vecchi anche dal punto di vista fisiologico. Il gap tra l’invecchiamento fisiologico e quella istituzionale, in presenza delle regole attuali di funzionamento del sistema di sicurezza sociale, è destinato ad aumentare soprattutto per effetto dell’allungamento dell’aspettativa di vita; ragione questa sulla quale sono fondate le previsioni demografiche che vogliono che la comunità degli anziani in Europa salga dal 27% circa della popolazione totale attuale al 36% della popolazione totale del 2050. Ciò comporterà che l’aumento del numero degli anziani faccia emergere problematiche un tempo sconosciute ed investa non solo il potenziamento e la riorganizzazione della previdenza e dell’assistenza della vecchiaia, ma anche numerosi altri aspetti dell’organizzazione sociale, coinvolgenti il sistema sanitario, il settore degli alloggi, la politica dei trasporti e della famiglia, ma soprattutto le potenzialità produttive che ancora permangono nella comunità dei non più attivi prima dell’invecchiamento fisiologico; è riguardo a quest’ultimo aspetto che possono essere aumentare le chance di un sistema di sicurezza sociale innovativo fondato sull’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza rispetto a quello attualmente vigente. Come abbassare, infatti, il costo della previdenza e dell’assistenza della vecchiaia se contemporaneamente il tasso di crescita degli anziani inattivi continua ad essere maggiore del tasso di crescita degli attivi? Allungato, il tempo di vita degli uomini aumenta i deficit pubblici per la produzione dei servizi orientati alla loro sicurezza, influenzando sempre negativamente le prospettive di riduzione del costo del welfare state. Infatti, se nei periodi congiunturalmente favorevoli gli anziani possono rappresentare un potenziale di consumo strumentale all’espandersi della produzione, essi però rappresentano, nei periodi congiunturalmente negativi, un freno alla ripresa, un peggioramento dei deficit pubblici, un ostacolo al finanziamento dell’innovazione ed una causa dell’abbassamento degli standard di vita dell’intera popolazione. Complessivamente, perciò, la comunità degli anziani, meno contribuisce al funzionamento del sistema economico in condizioni di equilibrio dei macroaggregati economici, più è percepita come onerosa. Per di più, controllando gran parte della consistenza patrimoniale del sistema sociale e degli attivi finanziari, tutti i “meccanismi” della trasmissione ereditaria sono inceppati dall’allungamento dei tempi che nel passato erano necessari per il loro svolgimento, contribuendo anche per tale via ad “comprimere” la propensione a spendere e ad investire, che normalmente è propria degli aventi diritto nella successione; è chiaro, infatti, che soggetti le cui prospettive di autorealizzazione si siano affievolite e siano poco portati ad alti livelli di consumo e di investimento siano considerati da chi deve provvedere alla loro sicurezza come degli estranei all’interno di una società propensa a conseguire alti ritmi di cambiamento per resistere al confronto ed alla competizione. In un sistema sociale all’interno del quale tutti siano impegnati a realizzare autonomamente il proprio progetto di vita, l’anziano è considerato come dipendente per spostarsi o nutrirsi; rispetto alla velocità di reazione dei giovani è avvertito come ostacolo; per chi deve provvedere alla sua sicurezza, diviene in tale modo un fattore di insicurezza fisica e di depressione psichica. Per tutte le ragioni esposte, gerontologi, sociologi e filosofi valutano che la famiglia cessa di essere un luogo privilegiato ed insostituibile all’interno del quale gli anziani possono pensare di rinvenire il luogo in cui risolvere i loro bisogni; nella famiglia, infatti, come l’esperienza evidenzia, emergono schemi relazionali assai contraddittori di accettazione e di rifiuto, difficili da conciliare con uno standard di vita fondato sulla reciproca comprensione.
Non è questa la sede in cui esporre la formulazione di una possibile politica pubblica aperta alla soluzione dei problemi sollevati dalla presenza degli anziani all’interno dei moderni sistemi sociali; tuttavia, appare chiaro come la “questione della vecchiaia” sia destinata a non trovare una soluzione adeguata all’interno del modelli di sicurezza sociale tradizionali. Si può, però, affermare che l’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza potrebbe offrire lo strumento col quale attuare una politica pubblica complessiva per garantire alla comunità degli anziani la loro autonoma capacità di realizzare il loro progetto di vita fuori dai condizionamenti attualmente subiti. In questa prospettiva, la vecchiaia cesserebbe di essere considerata una sorta di malattia socialmente invalidante e non sussisterebbe la necessità di ghettizzarli, come propone R.Debray in Fare a meno dei vecchi. Una proposta indecente, all’interno di “un’entità territoriale distinta” (Bioland) per cessare d’essere degli “apolidi del pianeta giovane”; per prevenire la loro esclusione occorrerà pensare la loro sicurezza sociale in termini di una vasta gamma di attività produttive adeguate al loro possibile reinserimento nel mondo della produzione, in considerazione del fatto che l’esclusione sociale dei vecchi dipende molto dalla loro “espulsione” dal circuito produttivo. Ma per poter sviluppare e rendere operante il ricupero alla società degli anziani occorrerà, nella prospettiva di una riforma radicale del welfare state, l’impegno di tutte le istituzioni della sistema sociale cui gli anziani appartengono, senza mai trascurare che su tutti i progetti che li riguardano gli anziani dovranno potersi sempre esprimere.

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