Dalla preferenza di genere allo sbarramento “fotti-compagni” ovvero i pescicani mangiano i pesci piccoli

4 Dicembre 2017
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Andrea Murru

Ecco lo squalo, arriva l'app che ti avvisa dove si trova il pescecane /Foto

 (Squali si aggirano in via Roma)

La spinta riformatrice che pareva essersi formata all’interno del palazzo di via Roma e che ha portato all’adozione della c.d. “doppia preferenza di genere” pare, di già (?) sopita. Sulla legge elettorale truffa, che ha tenuto fuori dalla massima assemblea sarda decine di migliaia di elettori (unidos, col 2,8 %, e ProgReS, col 2,7 %,) per il tramite dei loro rappresentanti, e legittime istanze, non potrà essere ulteriormente rivista, tranne che per un punto, ossia la soglia interna alle coalizioni. Questa assenza, così come ha riferito il presidente della commissione Autonomia Francesco Agus, “è stata la causa, dall’inizio della legislatura, dell’effetto ‘porte girevoli’”. Come dar torto ad Agus anche se, occorre dirlo, spesso le porte in Consiglio hanno girato anche a causa di qualche sentenza (basti ricordare Mario Floris, Oscar Cherchi e Alberto Randazzo, sospesi dalla Legge Severino a seguito di condanna in primo grado per l’uso illecito dei fondi ai gruppi regionali).
Ma torniamo al punto. Dopo l’inserimento della doppia preferenza di genere, la legge vergogna, di rosa vestita, potrebbe prevedere una soglia di sbarramento all’interno delle coalizioni, si parla del 2 o del 3%. Ove fosse inserita, i partiti che non la raggiungeranno non potranno partecipare alla ripartizione dei seggi. Quale ulteriore insidia comporta una simile scelta? Beh, di sicuro, costringerà anche i piccoli partiti alla fusione a freddo rispetto ai “grandi” partiti nelle coalizioni esistenti, pena il rischio di portare acqua con le classiche orecchie e di ottenere, in cambio, di stare fuori dal Consiglio. Una classica, peraltro scontata, manovra accerchiatrice che si lega benissimo con la volontà di non modificare le soglie esterne di sbarramento (al 10% e al 5%) per chi, da quelle coalizioni, non si sente minimamente attratto.
Simili disattenzioni verso un elettorato sempre più distante dalle formazioni politiche esistenti denunciano, invero, una paura di fondo: che peso potrebbero avere i 5S isolani, non presenti alle scorse elezioni regionali, ed i vari partiti indipendentisti? Il timore sempre più crescente, nelle stanze di via Roma, è quello di non essere più in grado di determinare, a priori quale livello di risposta possano dare i cittadini, al netto di una disaffezione crescente che potrebbe punire l’esistente ed affidarsi a nuove proposte politiche. Il risultato referendario di un anno fa ha infatti spiazzato le rosee speranze di Renzi e Boschi ed allo stesso tempo ha scosso i big nostrani, sia quelli che si schierarono apertamente per il SI (in primis l’attuale governatore Pigliaru, l’assessore Demuro, poi dimessosi, e la maggior parte dei parlamentari del PD) sia quelli che optarono per un NI (tra i quali Luciano Uras) ed anche quello, perché ci fu, dell’“ancora non so, sto studiando la riforma” (indimenticabile performance del sindaco Zedda).
Già, occorre ricordarlo ancora, quel 72.2% di NO, nel dicembre 2016 ha fatto tremare i polsi a tanti, soprattutto quando giunsero i dati dell’affluenza alle urne, un’incredibile 62,5 %. Ecco, la migliore performance fra le regioni italiane, spinta dall’ottimo lavoro svolto nei territori dai vari comitati per la costituzione, potrebbe riservare ancora amare esperienze ai manovratori. Un così ricco numero di persone che si sono mobilitate per difendere la Carta costituzionale potrebbe trovare ancora la forza di ribattere ove vi fossero ancora tentativi di distoglierne la volontà elettorale.
Stavolta l’appello al voto utile, fossi in voi, me lo risparmierei. Non sia mai che in tanti decidano che sia utile lasciarvi a casa.

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