Il sindacato nell’alternanza scuola-lavoro

21 Aprile 2018
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Marco Mereu, segr. prov. Fiom

 

Dopo un primo post, pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Marco Mereu al Convegno del 13 marzo scorso “Prima di tutto il lavoro e la scuola”, indetto dall’Anpi, dal Cidi e dal Costat.

Il sindacato per il legislatore è marginale nell’alternanza scuola-lavoro. D’altronde si parla di alternanza scuola-lavoro, quindi di lavoratori almeno potenziali, ed è chiaro che si mira a formare gli studenti principalmente sui loro doveri nel mondo del lavoro, piuttosto che sui diritti. Eppure il legislatore avrebbe potuto dare al sindacato un ruolo almeno negli aspetti legati alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, oggi di fondamentale importanza nella formazione dei lavoratori, figuriamoci nella fase della preparazione di un futuro lavoratore. In questo caso il sindacato avrebbe potuto avere un ruolo, non politico, ma di natura tecnica, portando una parte delle ore dell’alternanza dedicate alla conoscenza delle norme del Testo Unico per la Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro (D.L.vo 81/2008), quindi insieme ai doveri anche i diritti. Al di la del compito che la legge 107 assegna o non assegna al sindacato, questo può comunque essere parte attiva e propositiva, e magari giocare un ruolo di avvicinamento tra aziende e scuola. Dove questo è successo, il contributo sindacale ha creato le condizioni per un miglior rapporto tra scuola e aziende e soprattutto ha dato ai ragazzi/studenti dei punti di riferimento qualificanti della loro esperienza nell’alternanza. In particolare, mi riferisco agli accordi Lamborghini e Ducati, aziende del triangolo dell’automotive (Bologna, Modena e Maranello) oggi di proprietà tedesca, i quali mettono in pratica l’alternanza sfruttando le esperienze dei precedenti progetti, quello del 2008 di stage, percorsi di istruzione e formazione e quello del 2014 denominato DESI (Dual Education System Italy). Accordo, quest’ultimo, che ha visto il coinvolgimento delle aziende citate, del sindacato, dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione dell’Emilia Romagna, rivolto ai giovani privi di diploma d’istruzione secondaria di secondo grado e che si pone l’obbiettivo di far acquisire agli stessi competenze specifiche utili per il collocamento nelle industrie dell’auto sino al conseguimento del diploma. Rispetto al DESI, l’accordo del novembre 2017 tra la RSU Lamborghini e l’azienda, seguito da quello del febbraio scorso in Ducati, utilizza l’obbligatorietà dell’alternanza introdotta dalla Legge 107 per predisporre un percorso formativo senza trascurare le aspettative degli studenti. Un accordo che, pur venendo da una strada tracciata precedentemente dai progetti sopra accennati, consente l’ingresso in alternanza degli studenti delle scuole, senza sfruttamento e lavoro gratuito e soprattutto valorizzando il ruolo degli stessi studenti e del sindacato in fabbrica. Riassumo brevemente i punti salienti dell’accordo per dare un idea di cosa stiamo parlando:

gli studenti dovranno operare esclusivamente in affiancamento ad un Tutor

gli studenti avranno gratuitamente il servizio mensa, i DPI, le divise aziendali e i materiali didattici

avranno una copertura assicurativa

avranno una adeguata formazione sulla salute e la sicurezza sia generale che sui rischi specifici in azienda.
Tutti i dati del progetto verranno analizzati da una Commissione Paritetica Bilaterale che avrà l’obbligo di comunicare i nominativi degli studenti coinvolti e dei tutor da affiancare. Alla fine del percorso Tutor e studenti elaboreranno una valutazione sull’esperienza vissuta durante l’alternanza e sulle competenze acquisite dagli studenti.
Forse questa tipologia di accordi rappresentano un “avanguardia”, che poi si facciano in aziende di proprietà tedesca e non ad esempio in Ferrari, la dice lunga sulla differenza culturale tra le classi dirigenti industriali dei due paesi. In ogni caso, sicuramente, tutelano tutti i soggetti e più di tutti gli studenti ai quali il progetto dell ’alternanza è rivolto.
Per contro, dove questo non accade, dove si lasciano gli studenti in balia delle aziende, dobbiamo registrare situazioni tragiche, come:
quelle del 21 dicembre scorso a Faenza dove un artigiano, elettricista, è morto e lo studente in alternanza è risultato ferito gravemente dalla caduta in quota. Stavano sopra un cestello a 10 metri d’altezza quando il braccio meccanico che li sosteneva si è spezzato. Lo studente, in alternanza scuola lavoro per una scuola professionale, ha riportato gravi fratture agli arti inferiori, non è in pericolo di vita, ma mi chiedo, quale necessità aveva di imparare un mestiere, quello dell’elettricista, a 10 metri d’altezza.
A La Spezia, in ottobre, un studente di 17 anni iscritto alla classe IV indirizzo meccanici di un Istituto professionale della zona è stato schiacciato dal muletto che stava usando, da solo, senza affiancamento del tutor.
Ancora, a Taranto alcuni studenti di un Istituto tecnico industriale dovranno iniziare le loro 400 ore obbligatorie di alternanza dentro l’acciaieria dell’Ilva che ancora oggi è al centro di una complicata partita politico-economico-giudiziaria, dopo il sequestro dell’area a caldo dello stabilimento disposto dai magistrati.
Ci sono anche i casi di alcuni studenti di un liceo di Avellino che dovranno fare l’alternanza all’Università Federico II di Napoli, pagandosi le spese del viaggio, stiamo parlando tra andata e ritorno di 120 Km, quasi due ore di viaggio.
La chiamano la buona scuola ci precisano che il progetto di Alternanza scuola-lavoro è una esperienza formativa che unisce sapere e saper fare, che orienta le aspirazioni dei giovani e apre la didattica al mondo esterno, mi pare, alla luce di tali situazioni, anche drammatiche, che ci sono territori che danno opportunità e vantaggi, altri invece dove si aumentano i disagi. Con un risultato inequivocabile rappresentato dal tempo dedicato allo studio che con l’alternanza obbligatoria si riduce notevolmente. Di conseguenza in mancanza delle opportunità che può offrire un territorio attrezzato, come ad esempio quello emiliano, rispetto ad aree depresse del mezzogiorno d’Italia, l’unico risultato tangibile dell’alternanza è l’aumento del divario tra il nord e il sud del paese. Un gap che a mio parere, nel caso dell’istruzione, si riduce esclusivamente dedicando più ore possibili allo studio.

Il grado di scolarizzazione.

Prima di concludere, alcune considerazioni sulla questione della scolarizzazione in genere e in particolare il grado di istruzione dei lavoratori metalmeccanici iscritti alla Fiom. Questo è un dato che ho potuto estrapolare dal data base che utilizza la Cgil, nel quale all’atto dell’iscrizione al sindacato si chiedono alcuni importantissimi dati, tra i quali quello del titolo di studio.
Al 31.12.2017 su poco più di 1400 iscritti attivi, il 50% circa dei lavoratori metalmeccanici nel territorio ha solo la licenza media, il 32% il diploma di secondo grado e il 7% circa la laurea. Ma ancora più sorprendente è solo il 7% dei lavoratori con qualifica professionale. Pertanto si deduce che in un settore come il nostro le attività lavorative sono poco professionalizzanti e chi lavora da metalmeccanico con il diploma probabilmente fa un lavoro che non ha nessuna attinenza con il titolo di studio preso. Se poi si confronta questo dato con l’età, scopriamo che per chi sta nella fascia da i 55 anni in su, più del 60% ha sol o licenza media, mentre il dato della qualifica professionale aumenta, quasi del doppio, sino al 10%, rispetto alla fascia tra i 18 e 35 anni. Da ciò si desume che nel territorio il lavoratore metalmeccanico con un titolo di studio basso svolge attività lavorative poco professionalizzanti. Questo vale anche per chi ha il diploma, per esempio della Ex Bridgestone, oggi Bekaert, di Macchiareddu, a fine anni novanta ci fu un ricambio generazionale che ha visto l’assunzione circa 150 unità, tutti under 30 e diplomati, per poi svolgere, in fabbrica, un attività lavorativa ripetitiva e non professionalizzante. Aggiungo anche, visto l’andamento delle nuove iscrizioni di questi primi mesi dell’anno, che probabilmente nella prima fascia di età compresa tra i 18 e i 35 anni, i lavoratori con la licenza media si avvicineranno sempre più a quelli con il diploma, dando ragione a i dati relativi all’abbandono scolastico, che nella nostra isola è quasi il doppio rispetto al dato nazionale.
Nel quadro appena descritto, supportato da dati che la cui interpretazione è palese, la tesi che inizialmente ho posto, ossia quella di calare una legge nazionale che nei territori non può essere applicata nello stesso modo, anzi magari in alcuni contesti, come nel mezzogiorno d’Italia, crea pure dei disagi ha poco senso, se non quello propagandistico per l’area politica che lo propone. Dalle testimonianze che raccolgo, constato che nel nostro territorio e in Sardegna più in generale, abbiamo l’urgenza di investire nella conoscenza, nel potenziare le ore di studio e nell’impedire un abbandono scolastico che non è sostenibile e spiegabile per un paese europeo. Se prima alcuni mestieri, alcune professionalità si imparavano con la pratica partendo da un basso titolo di studio, questo oggi non è sostenibile. Se per fare l’elettricista bastava una licenza media o un corso professionale e la pratica, oggi, nella domotica per esempio, una delle attività in crescita del nostro settore, bisogna applicare l’informatica e l’elettronica, che necessariamente passa prima dallo studio, prima dalla conoscenza teorica che si apprende dai libri.
In conclusione, sull’alternanza, sul sapere e sul saper-fare, esprimo una mia opinione, dettata sia dal mio percorso
personale di studi che dal ruolo che ricopro nel sindacato. Sono sempre convinto che dove ci sono le condizioni, nei territori attrezzati, l’alternanza scuola-lavoro, si fa con o senza leggi. Dall’altro, dove lo sviluppo economico locale non è omogeneo, nelle aree depresse e di crisi, la necessità impone di indirizzare energie e risorse economiche nel potenziare le ore di studio, nell’impedire l’emorragia degli abbandoni scolastici e leggi come la 107 sono poco adeguate, per non dire inutili.

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