Governo: una politica economica di improbabile successo

12 Ottobre 2018
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Tonino Dessì

Leggo qua e là, da parte di sostenitori della strategia economico-finanziaria del Governo, che il Piano B delle forze politiche della maggioranza consisterebbe nell’emissione in quantità significativa di una nuova tipologia di titoli del debito pubblico, rivolta esclusivamente a sottoscrittori italiani e finalizzata a raccogliere una quota consistente del risparmio interno a compensazione e parziale assorbimento della quota di debito pubblico italiano esposta alle oscillazioni e alle speculazioni dei mercati internazionali.
Titoli garantiti dallo Stato con un rendimento fisso non elevato, ma superiore a quello dei Bund tedeschi, il cui ricavato sarebbe destinato al finanziamento di programmi infrastrutturali.
Non è un’idea nuova e non so bene in cosa si differenzierebbe, quanto a funzione, a destinatari e a effetti, dai buoni fruttiferi postali raccolti tramite Poste Italiane e utilizzati per analoghe finalità dalla Cassa Depositi e Prestiti (fino a due-tre anni fa esistevano anche quelli indicizzati all’inflazione italiana, la cui emissione poi è cessata, perché ritenuta troppo onerosa, nonostante la bassa inflazione, in un periodo caratterizzato da un costo del danaro mantenuto ancor più basso dalla BCE).
Riciclare idee vecchie presentandole per straordinarie novità è un’altra di quelle cose che fanno riflettere sugli azzardi ai quali alcuni consiglieri economici stanno indirizzando soprattutto la componente M5S del Governo.
Certo, il maggiore o minore successo di un’operazione del genere sarebbe un dato assai più significativo dei sondaggi demoscopici, per misurare il consenso reale del Governo.
Personalmente credo che anche per questo non se ne farà gran che.
Io, per esempio, non son sicuro che metterei a disposizione i miei risparmi in tal modo finchè in giro vi fossero ipotesi di utilizzarli per nazionalizzare Alitalia o finché ai programmi infrastrutturali presiederà Toninelli.
Su Genova, infatti, per parlare di un fatto concreto, dal “non possiamo aspettare i tempi della giustizia” e dal “Fincantieri ricostruirà il ponte in pochi mesi”, siamo passati al “decreto del cuore”, che però, viste anche le osservazioni già avanzate dall’Autorità Antitrust, sposta la ricostruzione del ponte, la sistemazione degli sfollati e la riqualificazione di Polcevera in un futuro lontano, indistinto e nebuloso.
E si che la Commissaria UE Bulc ha assicurato che per concorrere alla ricostruzione sarebbero disponibili pronta cassa adeguate risorse europee.
Ma a parte questo, la vecchia idea di stanare il grande risparmio privato delle famiglie italiane, cara già a Brunetta, cozza intanto contro il fatto che se quel risparmio finora non si è trasformato in massa di liquidità disponibile per impieghi strategici, molte sono le ragioni e persistono.
Fra queste non solo una motivata sfiducia nella lealtà sia del sistema bancario, sia dello Stato, ma anche la composizione interna di quel risparmio e più ancora il fatto che la sua funzione prevalente sembra essere quella di consentire alle famiglie di disporre all’occorrenza di somme di riserva per fronteggiare le emergenze reddituali e occupazionali delle loro componenti più esposte o precarie, nonché per tamponare le crescenti riduzioni del welfare pubblico (servizi socio-sanitari in particolare) e l’altrettanto crescente necessità di ricorrere a prestazioni a pagamento.
Questa perdurante propensione al risparmio di redditi medio bassi e perfino bassi, insieme allo stock di abitazioni di proprietà detenuto dalle famiglie, ha consentito al tessuto sociale italiano di assorbire in misura notevole le conseguenze altrimenti più devastanti di una lunghissima crisi, i cui effetti non sembrano risolvibili con i modestissimi aumenti della crescita economica e del PIL registrati in questi anni e neppure con le più ottimistiche previsioni dei recenti documenti di finanza pubblica.
D’altra parte questa operazione, se accompagnata da misure di modifica dell’imposizione fiscale come la flat tax, o di condono tributario (l’eufemismo “pace fiscale” ormai sta cadendo crudamente in disuso), al netto significherebbe un drenaggio e un trasferimento di risparmi privati non tanto a favore della crescita in sè, quanto a favore di strati sociali mediamente più benestanti e nemmeno particolarmente meritevoli.
Parliamoci chiaro, per fare nomi e cognomi: ministri ed economisti come Savona saranno pure euroscettici e sovranisti, ma non sono diventati comunisti.
Credo perciò, senza voler esorcizzare nè escludere in toto l’utilità anche di nuove misure di raccolta pubblica del risparmio, che se la loro finalità si riducesse a quella di controbilanciare e di neutralizzare in parte (ma non saprei quanto) gli effetti delle oscillazioni dei mercati finanziari e dell’aumento dello spread, la loro combinazione con l’aumento della spesa in deficit, con una politica fiscale poco convincente e con una immutata e caotica modalità di funzionamento della politica e della pubblica amministrazione, renderebbe assai improbabile il loro successo quantitativo e assai scarsi gli stessi supposti effetti positivi.
Resto in ogni caso convinto che se non si affrontano strutturalmente altri nodi - in particolare la lotta all’evasione e alla corruzione e una fiscalità patrimoniale sulle grandi ricchezze e sui grandi profitti - aumentare l’indebitamento non significhi nè più nè meno altro se non diluire sui soliti ceti sociali medi e medio-bassi e sulle nuove generazioni gli oneri di una politica finanziaria ed economica di respiro assai corto, fatta molto di propaganda, abbastanza di scommesse, in qualche caso di azzardi, ma non innervata da robuste e concrete proposte di cambiamento strutturale.
Certo, si dirà: “Lasciamoli iniziare”; si dirà ancora: “Dopo le elezioni europee, anche la UE avrà nuovi assetti politici e dovrà darsi nuove strategie”.
Del secondo orizzonte mi si consenta di dubitare.
La Lega che si allea con la Lepen non avrà un gran peso neppure in un Parlamento Europeo nel quale si affermassero le componenti più di destra dell’area conservatrice e/o sovranista, le cui strategie (si vedano gli annunci dell’austriaco Kurz sui conti pubblici e le note posizioni dell’ungherese Orban sull’immigrazione) non saranno improntate certamente ad allargare in senso favorevole alle esigenze italiane nè le politiche di solidarietà economica nè lo spazio sociale e dei diritti a dimensione continentale.

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