Taglio dei parlamentari: parliamone

13 Gennaio 2020
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Il numero dei senatori per la richiesta del referendum costituzionale è stato faticosamente e confusamente raggiunto. Ora, vedremo cosa accadrà. In attesa è bene parlare della questione. Quando c’è una proposta di revisione della Costituzione l’unica cosa certamente sbagliata è non parlarne. Ben venga dunque la cosnultazione popolare che attiva una discussione di massa. Noi che abbiamo sempre stimolato la riflessione su questi temi offriamo oggi due contributi sul tema, uno di Gaetano Azzariti, autorevole costituzionaista, ed uno di Alfiero Grandi, vice presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale, duq personalità della sinistra sempre impegnate nella battaglia in difesa della Carta.

Referendum, la trappola del Sì o No sul numero dei parlamentaridi Gaetano Azzariti

 

 


 

Il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, se ci sarà, visto il balletto delle firme, sarà una trappola. Ci si chiederà di scegliere tra questo Parlamento umiliato e chi vuole ridurlo ancor peggio. E non avremo molto spazio per far valere le nostre ragioni.
È difficile infatti interloquire con chi ritiene che i problemi del parlamentarismo oggi si possano ridurre al numero dei suoi membri. Ci si attarderà a discutere con toni accesi e spreco di energie su questioni irrisorie, mentre si avverte l’urgenza assoluta di affrontare temi vitali per la democrazia parlamentare.
Così sentiremo politici irridenti sostenere le fatue ragioni della necessità di risparmiare sui costi della democrazia o la moralità di tagliare “poltrone”. I più sofisticati ricorderanno come queste motivazioni ripetute a suffragio della bontà della riforma sono false e rivelano anche una cattiva coscienza. Ma intanto ci avranno costretto a perdere tempo, mentre monta la marea.
Che i mali del Parlamento siano altri è ben noto a tutti, in primo luogo a chi, politici e giornalisti, si confronta sul nulla nei dibattiti televisivi. Eppure basterebbe che qualcuno affermasse ciò che è già evidente per smontare il castello di carte, basterebbe affermare che non sono i numeri a determinare la crisi del Parlamento, ben più complesso e profondo è il collasso nel quale siamo immersi. Basterebbe avere il coraggio di dire-il-vero (parresia), che è il modo migliore per il governo di sé e degli altri. Una lezione dimenticata.
E allora elenchiamoli alcuni dei veri problemi e cominciamo col dire che il Parlamento non è in crisi per un problema di numeri. Essi sono solo una variabile dipendente, che dovrebbero essere determinati con riferimento alle effettive funzioni esercitate. Questo è il vero problema del Parlamento italiano che ha perduto il suo ruolo autonomo nell’ambito del complessivo assetto dei poteri. Negli Stati Uniti il Senato è composto da 100 membri, il Inghilterra la Camera dei Comuni da 650, in Germania il Bundestag da oltre 700. La differenza con il Parlamento italiano è che in quei paesi la discussione parlamentare ha un suo rilievo, i singoli rappresentanti discutono, si assumono le responsabilità per cui sono stati eletti e poi, responsabilmente, votano. Non hanno vincoli di mandato, ma sanno bene che – oltre che al partito di appartenenza – dovranno rispondere politicamente agli elettori.
Basta pensare al ruolo determinante (anche dal punto di vista spettacolare) esercitato della Camera dei Comuni che in tutta la vicenda della Brexit ha dettato l’agenda, confrontandosi senza alcun timore reverenziale con il Governo. Per non dire del Congresso degli Stati Uniti (435 membri) che non ha avuto remore nel porre sotto accusa il Presidente eletto Trump, sospettato di avere abusato dei propri poteri. Non voglio generalizzare e so bene che i rapporti tra Parlamento e Governo sono diversi da paese a paese, dipendendo dalla forma di governo adottata e delle diverse tradizioni nazionali. Mi sembra però di poter tranquillamente affermare che nessuna democrazia occidentale si sia spinta così avanti nel processo di ghettizzazione dell’organo della rappresentanza popolare, posto ai margini della complessiva dinamica politica e privato di voce autonoma.
Nel Parlamento italiano, infatti, non si discute più, né si decide autonomamente alcunché. Alcune recenti vicende lo hanno mostrato con esemplare evidenza. Sono anni, gli ultimi due in modo sfacciato, che si assiste alla farsa di una legge finanziaria approvata ma non discussa, in realtà neppure conosciuta dai membri del Parlamento che votano ad occhi chiusi subendo l’umiliazione più grande, in violazione non solo della costituzione (prima o poi la Consulta lo attesterà) ma della stessa loro dignità. Se si seguita di questo passo ben poco importa che a votare siano in 630 o in 400, in ogni caso tutti voti a perdere.
Così nei casi in cui una Camera è chiamata a decidere sulla responsabilità dei ministri. Ciò che più dimostra la perdita del ruolo costituzionale del Parlamento è l’assoluta dipendenza delle decisioni assunte dagli equilibri altrove definiti, essenzialmente in sede di Governo. Se Salvini abbia abusato dei suoi poteri, non sarà accertato dalla giunta per le autorizzazioni, ma dalle valutazioni extraparlamentari e di convenienza del Governo. Così è stato nel caso Diciotti, così sarà – magari con esito diverso – nel caso Gregoretti. “Farò le mie verifiche” ha dichiarato il Presidente Conte e da queste dipenderà la decisione del Parlamento che non potrà fare altro che adeguarsi.
Altri innumerevoli esempi potrebbero essere richiamati per dimostrare l’inconsistenza parlamentare, la sua perdita di peso. Chiunque conosce il funzionamento delle Camere sa bene come ormai l’intera attività delle commissioni così come dell’aula è posta al servizio del Governo che detta l’agenda senza lasciare nessuna autonomia ai lavori dei parlamentari. Certo in questa prospettiva può ben dirsi che il numero dei parlamentari sia irrilevante. Rinunciando in tal modo però a porsi il reale problema della crisi del Parlamento ridotto ad ente privo di un suo ruolo autonomo. Ma è proprio da qui – dalla ridefinizione del ruolo costituzionale del Parlamento – che si dovrebbe partire se si volessero realmente affrontare i problemi che affliggono la nostra stressata democrazia parlamentare.
L’attuale legislatura era iniziata con un gran bel discorso del presidente, allora neoeletto, Fico, il quale con serena determinazione e chiarezza d’idee aveva individuato alcuni problemi reali ed aveva proposto misure di natura organizzativa importanti per cercare di recuperare una dignità alla funzione parlamentare. Nulla è stato fatto e il Parlamento ha proseguito nel suo lento declino. Ora fallita ogni prospettiva di seria riforma si gioca alla lotteria dei numeri. Peccato che nessuno vincerà. Non è una questione di numeri.

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Il taglio del numero non cambia un parlamento di nominati

Alfiero Grandi

Ho letto con interesse l’articolo di Azzariti sul referendum sul taglio dei parlamentari. Gaetano come sempre offre spunti di valutazione interessanti. Anzitutto l’esigenza di discutere del ruolo del parlamento oggi che come sappiamo è ridotto ai minimi termini.
Il parlamento oggi non gode di grande considerazione per diverse ragioni e troppi trovano comodo scaricare la crisi più profonda tra cittadini e istituzioni sui senatori e sui deputati, sostenendo come un passo importante avanti ridurli di numero (-37%).
Ha ragione Gaetano, la situazione è peggiorata nel tempo fino a “costringere” ad approvare le leggi di bilancio non solo senza un esame degno di questo nome ma senza avere il tempo di leggere i testi.
Sembra una logica conseguenza: se non servono tagliamone il numero così risparmiamo.
Il problema è che dopo l’eventuale taglio il parlamento non sarà migliorato di una virgola.
Alcune ragioni della crisi del parlamento sono i decreti legge di governi che arrivano all’ultimo minuto perchè è più comodo proporre testi di legge che entro 60 giorni debbono essere approvati, i voti di fiducia a mitraglia “obbligano” ad approvare i testi, parlamentari che escono dal coro degli yes men sono considerati un disturbo. Perchè ?
Quando nel 2001 sono stato eletto alla Camera nel collegio di Borgo Panigale il rapporto con gli elettori era possibile, con l’aiuto dei partiti e delle associazioni sul territorio. E’ stata l’ultima volta, in seguito l’elezione è avvenuta su liste il cui ordine decideva chi sarebbe stato eletti e i partiti sono diventati sempre più personali, lo conferma il nome nel simbolo che molti sostenevano essere illegale. Così si è arrivati ai parlamentari nominati dall’alto. Se poi l’alto è uno o poco più il gioco è fatto, i parlamentari debbono rispondere a chi li fa eleggere non agli elettori.
Purtroppo un parlamento di nominati dall’alto è di qualità inferiore di quello composto da personalità della cultura, della società. In più i partiti sono oggi creature indefinibili, dipendono spesso dal capo e non sono in grado di selezionare. Selezionare vuol dire anche decidere che si propone di eleggere una personalità autonoma perchè si ritiene possa valorizzare il lavoro parlamentare.
Paradossalmente il parlamento dovrebbe essere un’arena difficile in cui il governo si impegna a trovare le soluzioni, a cambiare le sue idee in campo aperto. E’ un lavoro complesso e infatti da tempo ha prevalso l’opinione che occorre garantire anzitutto la governabilità, così il governo sa che il parlamento accoglie le sue proposte senza troppe difficoltà. La velocità in cambio della qualità, della visione lunga. Il risultato è un disastro.
Gradualmente è stato intaccato il ruolo del parlamento e i parlamentari hanno dato un contributo quando hanno rinunciato alla battaglia politica per il piatto di lenticchie della riconferma garantita dai capi. Tanto gli elettori non hanno voce in capitolo, possono solo votare la lista: chi verrà eletto lo decidono i capi.
Rodotà decenni fa propose di ridurre il numero dei parlamentari lasciando solo la Camera dei deputati, altri hanno proposto di trasformare il Senato in Camera delle regioni (nulla a che fare con il pasticcio del 2016) ma tutti avevano al centro il rilancio del ruolo del parlamento adottando altre misure di garanzia.
La prima garanzia è una legge elettorale proporzionale senza soglia e con la certezza per gli elettori di potere scegliere il loro rappresentante.
Se Di Maio si presenta con ridicole forbici di cartone per tagliare le poltrone mette in ridicolo il parlamento e se con un’azione discutibile la nuova maggioranza dimostra di attribuire così poca importanza al ruolo del parlamento da capovolgere la posizione (almeno le sinistre) dal No al Si, il quadro che ne deriva è sconfortante ed è certo che il parlamento pagherà il prezzo politico e istituzionale più alto, anche di altri attori politici e istituzionali.
A nessuno piace dovere affrontare un tema complesso con un si o con un no, ma il ruolo del parlamento nella nostra Costituzione è centrale. Se si incrina, o peggio, la Costituzione entra in sofferenza.
Gaetano ha ricordato gli Usa, in quel sistema parlamento e Presidente (esecutivo) sono eletti in modo distinto e questo bilancia i poteri.
Democrazia è che nessuno può decidere da solo, nè può chiedere i pieni poteri. La nostra democrazia ha un pilastro nel parlamento, se non funziona o è dileggiato è un problema di tutti.
Per questo è necessario sottoporre agli elettori la questione e farli decidere. Se ci sarà il referendum male non può fare e forse farà bene se si parlerà del ruolo del parlamento, dei partiti, del governo, della democrazia, dei suoi difetti, dei rimedi.
Se non ci fosse la decisione del taglio dei parlamentari non ci sarebbe referendum, ma visto che c’è e per non fare la fine dell’articolo 81 meglio votare, sarà comunque un’occasione per discutere della nostra democrazia e dei suoi difetti.

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