Carbonia. Nella città la vita delle sezioni, accogliere e promuovere il dibattito: l’allenza operai-contadini e i primi temi sull’autonomia regionale

18 Ottobre 2020
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Gianna Lai

Nuova domenica, nuova puntata sulla storia di Carbonia, il primo post il 1° settembre 2019.

Continuano ad essere anche per tutto il dopoguerra le sinistre e le leghe l’unico sostegno per i nuovi arrivati in città, sempre nella totale mancanza di forme pur minime di assistenza sociale: l’ospitalità nelle sezioni e l’aiuto alle famiglie, attraverso il contatto diretto con le sedi del PCI e del PSI in tutta Italia, quando dalla miniera la direzione apre a nuove assunzioni. E mantenevano gli stessi iscritti ai partiti, in tal modo, i contatti col luogo di provenienza e si rinsaldavano legami nati in precedenza,  nell’esercito, in altre miniere, se non nelle campagne o nei cantieri edili o nelle bonifiche. Un movimento continuo di lavoratori e disoccupati provenienti da tutta la Sardegna, nel quale Carbonia risultava una sorta di centro di smistamento, sembrava che tutti, un giorno o l’altro, in quel secondo vorticoso dopoguerra, dovessero passare per Carbonia. E si andava, tra gli iscritti ai partiti della sinistra, ben oltre il rapporto interno alla sezione e alla diffusione della stampa e del materiale di propaganda,  sopratutto verso uno vero scambio di conoscenze e di esperienze, fondato sull’agire quotidiano, in luoghi diversi e tra uomini diversi.  Le prime relazioni di grande solidarietà tra vecchi e nuovi minatori nascevano proprio così, l’intesa politica e la comunanza di idee e poi l’addestramento professionale al mestiere di minatore. Nella lega, infine, la formazione sindacale per trovare, ciascuno, una collocazione definita a seconda del lavoro da svolgere  in miniera. In sostituzione di una scuola per minatori, l’azienda governativa non assicurando neppure l’alfabetizzazione delle centinaia di lavoratori che, ancora nel dopoguerra, a Carbonia, non sapevano leggere, scrivere, né far di conto.
Così  anche molti partigiani comunisti, ingiustamente perseguitati con l’accusa di aver compiuto delitti subito dopo la fine della guerra, e che per porre fine alle persecuzioni preferivano allontanarsi dal luogo di residenza, avrebbero trovato a Carbonia, come racconta Renato Mistroni, l’aiuto e l’assistenza degli attivisti cittadini, la miniera il luogo di lavoro, per poter poi proseguire nell’impegno politico quotidiano. Ed è questa provenienza ad allargare in città le conoscenze sulla guerra e sulla lotta partigiana, dalla battaglia di Stalingrado allo sbarco alleato in Sicilia, ai luoghi della Resistenza in Italia, le vicende e  le narrazioni intorno alla linea gotica. E sui lavoratori delle città del Nord, con gli scioperi del 1943, quel primo fronte compatto, nel fronte interno, a dire no al fascismo e al nazismo. E  la difesa delle fabbriche contro i tedeschi, che volevan trasferirle in Germania,  e la fuga dei padroni, subito dopo quella del re, di Mussolini e dello Stato Maggiore dell’esercito. Il significato che assumeva  anche nel Sulcis la conoscenza del movimento di Liberazione, la volontà di quei giovani di non cedere all’invasione nazista, per riacquistare dignità e libertà. Di resistere di non farsi sopraffare dalla rassegnazione, quel ‘militarismo ribelle dei  partigiani della montagna’ di Giorgio Bocca. In miniera a Carbonia, tra di loro, anche due partigiani sardi, che qui vogliamo ricordare,  Antonino Usai nato a Narcao nel 1922, che fu partigiano tra la Toscana e l’Emilia Romagna, a Bologna il giorno della Liberazione,  rientrato  in Sardegna a lavorare nella miniera di Serbariu, fin dal settembre 1945. E Eugenio Tatti, Tirsu il nome di battaglia, nato a Bitti nel 1919, partigiano combattente in Piemonte nella Brigata Garibaldi, battaglione Gavagnino, già militare nell’esercito, prima dell’8 settembre, nel dopoguerra a Carbonia, alla fine degli anni quaranta. Che raccontava di essere artificiere guastatore, riparato presso una famiglia piemontese al confine con la Francia, dove fece l’agricoltore, come  a Ruinas, da cui proveniva, fino a quando un rastrellamento tedesco non lo costrinse alla fuga in montagna, dove si unì ai partigiani.
Una tensione ideale che ebbe funzione educativa nel Sulcis, le bande partigiane formate da ragazzi poco più giovani, o coetanei, di chi, a quel tempo, sentiva le loro storie in  miniera e sicuramente il più valido sostegno, negli anni della Guerra fredda, al processo di formazione, anche in città, del movimento per la pace.
Ancora una nuova massiccia immigrazione di lavoratori durante questo  secondo dopoguerra e tanti nuovi iscritti e simpatizzanti nelle sezioni della sinistra, dove ferve la riorganizzazione del  lavoro politico, con i programmi di partito da far avanzare in una realtà locale che, nel mentre, sta mutando profondamente, in particolare dopo la riapertura dei mercati, invasi dal carbone americano. E mentre il PCI modifica il suo quadro dirigente in città, dopo il rientro nella penisola di molti attivisti, Montagni, Contorni e Poletti, tra i primi,  Carbonia diventa centro di interesse della politica nazionale, intensificando in quel tempo la loro attività in Sardegna Renzo Laconi e Velio Spano che, più di altri, si sarebbero impegnati a saldare le lotte di Carbonia a quelle dei lavoratori sardi. Continuo il riferimento alla classe operaia nazionale e internazionale, in un contesto ampio di alleanze operai-contadini del Sulcis e della Sardegna, dove la protesta nelle campagne comincia a far avanzare richieste di applicazione, anche nell’isola, dei decreti del ministro comunista Gullo, emanati nel 1944, sulla distribuzione delle terre incolte alle cooperative di contadini. E sarà assidua  la  presenza a Carbonia, di Spano e Laconi, numerosissimi i comizi e gli interventi nelle sezioni, mentre quadri nazionali di uguale prestigio vengono inviati in tutto il Mezzogiorno, secondo una direttiva che, oltre a Velio Spano e Renzo Laconi in Sardegna, vedeva Amendola in Campania, Li Causi in Sicilia, ecc. E sarebbe stato lo stesso Palmiro Togliatti a sostenerne l’importanza, durante la Conferenza  regionale dei quadri a Cagliari, aprile 1947, che preparò l’elezione di Velio Spano, sei mesi dopo, a Segretario del Partito comunista in Sardegna.
L’intervento su Carbonia andava collocato nell’ambito di un progetto di  democratizzazione dell’isola  e dell’intero Meridione, la debolezza delle cui forze produttive, per decenni oppresse dalla gestione di un Stato accentratore e burocratico, era stata di impedimento alla  crescita economica e sociale delle popolazioni. Perciò il Partito nuovo che, con la sua politica di unità nazionale, mira alla costruzione di una democrazia progressiva nel paese, guarda con interesse alla nascita di un vasto movimento popolare isolano, nel contesto della strategia autonomistica allora emergente, ‘per l’autogoverno del popolo sardo, per una nuova Sardegna autonoma e democratica’. Secondo cioé, le parole d’ordine pronunciate da Renzo Laconi al Congresso regionale del maggio 1945 e fortemente sostenute dallo stesso Togliatti,  coinvolgimento cioè di tutte le forza progressiste, nella realizzazione di un programma di sviluppo e di avanzamento sociale.
“Unità antifascista degli operai, dei contadini degli intellettuali di Sardegna, in accordo con le forze democratiche progressive del Continente, contro gli sfruttatori e gli oppressori continentali e sardi”, aveva scritto su Rinascita Velio Spano nel luglio del 1944,  per la cui realizzazione tuttavia, secondo Renzo Laconi, non erano ormai più sufficienti le sole forze di avanguardia, “ma era necessario che la classe operaia uscisse  dal suo isolamento, mobilitasse con sé la classe contadina e i ceti medi, promuovesse intorno a sé l’unità del popolo sardo”. Avendo attuato, sulla divisione delle forze sociali, il passato regime, e sull’isolamento dei lavoratori, la sua politica reazionaria. In effetti anche le ragioni della scarsa incidenza  dei partiti nell’isola, ne erano convinti i due dirigenti, risalivano al modo stesso col quale era avvenuta,  dopo la caduta del fascismo, la loro rifondazione, privi cioè, quasi del tutto, di rapporti diretti col gruppo dirigente nazionale. E poiché attualmente la presenza del partito comunista era forte solo nei centri minerari,  bisognava che la battaglia autonomistica partisse proprio da qui, da questo nucleo di classe operaia organizzata. Sarebbe servito, in primo luogo, a collocarne le lotte a fianco del movimento dei contadini e a impostare, anche col Psd’az e con la DC, non essendo ormai più possibile, non tener conto del suo carattere popolare e di massa, come  aveva ribadito lo stesso Togliatti, un confronto critico ed aperto sulla condizione politica  e sociale della regione 3). In una regione povera di centri ubani come la Sardegna, saldare le esperienze degli operai della città a quella dei contadini nelle campagne, creando legami con tutto il Sulcis-Iglesiente, da cui proveniva la maggior parte dei minatori, molti dei quali ancora nei paesi risiedevano. E Carbonia accolse questa linea politica rafforzando,  tra gli attivisti più impegnati, la coscienza di poter  uscire dall’isolamento proprio grazie alla ricostruzione del paese.Verso una nuova unità con la classe operaia organizzata del Nord, così avanzata da poter fare da traino alle masse del Sud,  prima scadenza, le lotte sindacali  sui contratti collettivi nazionali di lavoro.

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