Carbonia. Nasce la Repubblica, continua lo sfruttamento dei lavoratori

21 Febbraio 2021
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Gianna Lai

Oggi nuovo post domenicale su Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Al 1945, e per tutto il 1946, i salari orari medi dei lavoratori dell’interno, nel Sulcis-Iglesiente, si attestano intorno alle  25,75 lire per i manovali, 33,25 per i minatori, 42,38 per i sorveglianti, mentre si registra  un incremento  del rendimento medio totale per operaio, da 0,281 tonnellate, gennaio 1946, a 0,302, dicembre dello stesso anno.
Così basse le paghe in Italia, secondo lo storico Paolo Spriano, vera sofferenza “del vivere quotidiano: uno dei dati più drammaticamente reali  dell’immediato dopoguerra, il salario reale medio scende al 50-60% di quello del 1938″. E, per l’immediato futuro, niente di buono, “al 30 ottobre 1946, data di inizio della tregua salariale  stabilita con le organizzazioni sindacali, il salario reale è in costante diminuzione”.
Questo il quadro secondo Giorgio Candeloro, “fra il ‘39 e il ‘45 il costo della vita aumentò di quasi 25 volte, mentre l’indice medio dei salari operai salì solo di 5 volte, i bilanci familiari assorbiti totalmente dalle spese per la sussistenza, poco meno di due milioni i disoccupati”. E se ne  individuano le cause nelle politiche governative, fondate sulla compressione della  spesa, “prevalendo nei programmi per la ricostruzione le scelte liberiste, che ponevano al margine l’intervento dello Stato e difendevano la sovranità dell’impresa privata e la centralità del mercato”.
Anche a Carbonia la ricostruzione si fa coi bassi salari e mettendo in pericolo migliaia di posti di lavoro, a fronte di una massa sempre crescente di disoccupati, sempre all’insegna dell’emigrazione di origine rurale il quadro dell’avvicendamento in città.  L’ACaI, miniera a gestione governativa di proprietà dello Stato per il 98%, per il 2%  di enti parastatali, resta più che mai domina della città, né mai si sogna  di costruire relazioni più consone alla nuova fase politica dell’Italia della Repubblica, miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita per i minatori, a garanzia della dignità umana e del futuro della città. “Principale responsabile dello sfruttamento in miniera, il sistema di cottimo, le cui tabelle si aggiornano man mano, a seconda dei ritmi che i lavoratori stessi davano alla produzione, e tutto basato sui conteggi definiti dal sorvegliante: ne consegue  una struttura fortemente  gerarchizzata, non certo per ragioni tecniche, ma per poter esercitare un controllo continuo e diretto sul personale”. Questo secondo la testimonianza di Aldo Lai, a quel tempo dirigente regionale degli autoferrotranvieri CGIL e della locale sezione del PSI. “Impiegati tecnici, ma sopratutto amministrativi, e poi sorveglianti e capisquadra, erano tutti fortemente legati alla direzione nello svolgimento delle loro mansioni e, sopratutto, garantiti da un  decente trattamento economico. Ben pagati in particolare i sorveglianti, rispetto ai minatori, minatori essi stessi che controllano i ritmi di lavoro, ma considerati talvolta dagli operai  vere e proprie  spie dell’azienda, nella segnalazione dei minatori considerati ‘insubordinati e riottosi’ . E fortemente coinvolti nella gestione del lavoro  assegnando essi stessi, su incarico del caposervizio, i cantieri  alle varie squadre. E poiché non si fanno  reali e serie distinzioni  tra  filone e filone,  i minatori assegnati a quelli più redditizi, in base alle simpatie del sorvegliante stesso, lavorano  di  meno e  guadagnano di più, con grave nocumento per il lavoratore destinato ai luoghi meno redditizi, spesso in modo punitivo. Come nel caso dei comunisti e dei minatori sindacalizzati. La retribuzione ad incentivo, calcolata su tabelle di cottimo continuamente aggiornate dalla direzione aziendale, indennità di cottimo e indennità di presenza, da aggiungere alla misera paga base, essendo le altre varie indennità e i vari premi una tantum, sempre sganciati dal salario base”. E rigida sempre la disciplina in miniera, in particolare ai tempi dell’ingegner Giorgio Carta  che, entrato come dirigente locale, fece poi  carriera, divenendo direttore di gruppo e poi direttore generale. “A Seruci fu considerato tra i peggiori, trattava gli operai come schiavi, sottoponendi in continuazione a sanzioni pecuniarie, secondo il giudizio del sorvegliante, persino  quando i lavoratori si riposavano fuori orario-riposo, o quando non producevano come i dirigenti avevano stabilito che producessero, non riuscendo a completare l’intero ciclo”. Ed aggiunge Vincenzo Cutaia, della lega minatori, al tempo membro di Commissione interna, “in quel clima antisindacale, difficile la contrattazione  aziendale sulle condizioni di lavoro: restammo a lungo privi di vere attrezzature antinfortunistiche, mentre fioccavano multe e punizioni, in particolare durante i momenti di maggior contrasto, durante un’agitazione o una protesta; e poi sospensioni durante gli scioperi cosidetti politici, e poi schedature, come sempre, dal tempo del fascismo. E sempre mal retribuite le maestranze, arrivando al colmo, noi operai, di sperare che il tempo passasse più lentamente, per riuscire a lavorare di più, proprio a causa dell’applicazione del cottimo, la stessa del tempo degli alleati”. E se, rincarando la dose, Cutaia considera “venduti molti capisquadra, in gara fra loro per imporre ritmi più veloci ai minatori”, certo sorvegliata speciale ad oltranza deve ritenersi quella massa in continuo movimento, e ancora sottoposta alle solite forme di ricatto che, nelle  pessime  condizioni di lavoro della miniera, possono spingere alla reazione immediata e alla ribellione incontrolla. A risponderne son chiamati i dirigenti il movimento, per impedire l’esercizio delle libertà sindacali in miniera e per avere, d’ora in poi, mano libera sui licenziamenti, che si annunciano di massa: ignorati se non addirittura perseguitati i componenti le Commissioni interne nei vari cantieri.
Così il dirigente nazionale CGIL Aladino Bibolotti, in visita a Carbonia nel 1945, aveva  drammaticamente svelato, senza incertezze, responsabilità e ingiustizie, come riferisce Ignazio Delogu, “Questi uomini erano esasperati per l’incuria in cui erano da troppo tempo lasciati dai dirigenti della Carbonifera che sono, al tempo stesso, dirigenti e padroni della municipalità  e di tutta quanta la vita del paese…: i minatori e le e loro famiglie sono stati abbandonati a se stesssi, alla loro miseria, alle loro malattie e, come se ciò non bastasse, nelle miniere si è instaurato un sistema di vessazione e di angherie contro cui si leva la coscienza di ogni uomo civile”. Non cambiano le cose nemmeno dopo la nascita della Repubblica.

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