Incendi in Sardegna. Il sistema regionale di prevenzione e protezione sta entrando in crisi

26 Luglio 2021
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Tonino Dessì, già assessore regionale all’Ambiente

Stanno scorrendo su tutti i mezzi di informazione le immagini dei fuochi che continuano a imperversare in tutta l’Isola.
Persino da casa dei miei a Nuoro (città questo weekend risparmiata) mi dicono che se ne avvertono da lontano i fumi.
Sono molto combattuto: mi pare che tutto quello che ho maturato come esperienza personale, che ho cercato di fare e che ho scritto negli anni successivi non sia servito e non serva a nulla.
Tornano in campo persino nuove illazioni su complotti esterni o vagheggiamenti circa un presunto business degli spegnimenti.
Ho a lungo condiviso le opinioni più accreditate degli esperti, che hanno sempre considerato devianti queste suggestioni.
Tuttavia, poi lo argomenterò un po’ meglio, qualcosa non sta funzionando in un sistema regionale che pure ha dimostrato e tuttora mantiene una certa efficienza almeno emergenziale.
Che stia mostrando una palpabile vetustà e forme di obsolescenza strutturale e strategica mi pare ormai innegabile.
Ma partiamo da una considerazione di fondo.
Gli incendi da diversi anni non si limitano più a investire le aree rurali e a lambire quelle periurbane, ma penetrano negli abitati.
E’ evidente che la prevenzione ormai è saltata anche ai livelli di sicurezza minimi.
Fra l’altro quando il fuoco lambisce o investe l’abitato c’è poco da fare: tocca evacuare.
E direi che quando la situazione generalizzata è questa, anche il gesto di qualche singola persona squilibrata può avere effetti catastrofici.
Si dirà che i fuochi originati nelle campagne hanno molteplici moventi, raramente attribuibili ad atti di gratuita piromania.
Chissà: poco ormai sappiamo delle trasformazioni di un territorio rurale larghissimamente spopolato: la sola cosa che si può dire è che in campagna c’è meno gente che vede e ancora meno gente che parla.
Aggiungerei (ma è un discorso praticamente insormontabile, specie per un giurista), che se i fondi non sono più agiti, quasi fossimo -e lo siamo- tornati alla “proprietà assenteista” precedente alle ultime riforme agrarie, c’è anche una ragione demografica.
I proprietari muoiono, gli eredi non usano i fondi e li
lasciano incolti e il poco utilizzo da pensionato, da cassaintegrato, da hobbista, che pure ancora punteggia qualche campagna, si attesta su una gestione di sussistenza al risparmio.
Non mancano alcune problematiche paradossali.
A parte l’incidenza dei fuochi colposi (non più marginale, da tempo), l’effetto di quelli dolosi amplifica l’intenzione di danno: l’applicazione delle misure inibitorie dell’uso dei terreni percorsi dal fuoco rende micidialmente definitivo quell’effetto, vita natural durante media, se è un privato, del danneggiato.
Infine, la pervasiva penetrazione nelle campagne sarde di modalità relazionali condizionate dalla criminalità legata a vari traffici contemporanei rende l’ambiente ancora meno accessibile all’investigazione tradizionale sui singoli fatti.
Non posso però neppure fare a meno di pensare che nuovi appetiti stanno rivolgendosi ai nostri territori (lo dico espressamente: quelli in campo energetico presuntivamente “verde”), ma qui mi fermo per evitare inclinazioni paranoico-complottiste.
E veniamo all’apparato.
Secondo me già l’anzianità anagrafica dei dipendenti di Forestas (e, pur nel differente ruolo, di quelli del CFVA) da tempo aggrava l’obsolescenza del sistema.
Anche la sua capillarità (centosessanta presidi di Forestas, circa cinquemila dipendenti ormai stabilizzati, non più stagionali, età media superiore ai cinquant’anni, ma molte e molti più vicine e vicini ai sessanta; un centinaio di stazioni del CFVA, poco più di mille un tempo giovani, preparati e freschi, oggi ormai su una soglia di anzianità analoga a quella dei dipendenti di Forestas), non basta più a presidiare ogni anfratto di un territorio regionale vastissimo e, c’è poco da fare, nessuna velleità di presidio virtuale tecnologico può del tutto sostituire il presidio e l’intervento umano in carne e ossa.
Questo apparato rischia di non poter assicurare più nemmeno il baluardo che da qualche decennio sembra protetto come un santuario: le grandi foreste che la Sardegna custodisce, fra le estensioni demaniali e patrimoniali pubbliche più vaste d’Italia.
Girando in auto in zone alle quali sono particolarmente affezionato, da un anno a questa parte, per ragioni di famiglia, l’occhio ormai “clinico” non ha potuto non accorgersi di una realtà angosciante.
I rigogliosi boschi di montagna in particolare del Mandrolisai, visti da bordo strada (anche quando le cunette sono miracolosamente sfalciate da chissà quale ente rimasto operativo nonostante la devastazione ordinamentale prodotta dalle diverse Giunte e maggioranze che si sono alternate negli ultimi quindici anni al governo della Regione), appaiono come delle foreste abbandonate.
Nè animali nè uomini sembrano da anni attraversare per uso o per transito barriere vegetali di sottobosco impenetrabile, i rovi si sono abbarbicati sui tronchi e pendono come liane spinose dai rami di querce, castagni, persino noci.
Non aggiungo altro ai miei incubi: lì basta un cerino acceso, non si può immaginare da dove partirebbe il fuoco, men che meno dove arriverebbe e con quali conseguenze.
No, mi perdonino donne e uomini che stanno dando ogni energia nel contrasto d’emergenza, ma lo scrivo anche per loro: così non si può andare avanti.
Occorre che anche a livello di strutture, superando ogni reticenza e ogni malcelato e magari orgoglioso corporativismo, un’autoanalisi vada fatta e proposta all’opinione pubblica e ai livelli istituzionali.
Una radiografia interna, ma anche estesa senza reticenze a realtà limitrofe.
Non sembrano esservi al momento riscontri di causalità, però non posso non ribadire che accanto al sistema forestale impegnato anche nella protezione civile antincendi, dal 2016 operano attività latamente “forestali” pubbliche, i “cantieri verdi” comunali, con i quali si è irresponsabilmente riaperta un’aspettativa occupazionale precaria e una finestra politica clientelare contrastante con tutti i processi avviati e in gran parte realizzati, sia pure faticosamente, dal punto di vista normativo e contrattuale, in sede sindacale e politico-istituzionale, per stabilizzare Forestas e il suo indotto.
Non punto il dito accusatore su nessuno (salvo su chi in sede politica ha assunto e realizzato questa sconsigliabilissima ripresa di una pratica deteriore).
Tuttavia a me anche la concentrazione delle localizzazioni dei fuochi in questi anni recenti ha acceso un istintivo allarme.
Insomma, qui occorrerebbe ripensare radicalmente molte cose.
Ogni anno che passa invece sembriamo punto e a capo.
E la stanchezza, se non una certa rassegnazione, comincia a pesare.

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