Carbonia. I 72 giorni della “non collaborazione”. Nel gioco al massacro della SMCS, l’annuncio di un accordo azienda-sindacati sugli aumenti dei prezzi, non riconosciuto dalla Lega minatori. Ridotti i salari per porre fine alla protesta, senza paga le centinaia di licenziati che continuano, tuttavia, a scendere in miniera

5 Giugno 2022
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Gianna Lai

 

 

 Ecco il post domenicale sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

E’ ferma e immediata la risposta delle Leghe minatori al comunicato della direzione SMCS, in cui si sostiene ufficialmente la firma di una intesa, tra le parti, sugli aumenti dei fitti, dell’energia elettrica e del carbone combustibile distribuito nelle case: “Gli organismi sindacali affermano che nessuna trattativa c’è stata, né essi hanno ricevuto proposta alcuna relativa alla possibilità di giungere ad un accordo”. Così si legge su L’Unità del 14 novembre e poi, due giorni dopo, il 16, parlando dei lavoratori e delle Commissioni interne che hanno sempre respinto gli aumenti, “l’accettazione del principio degli aumenti da parte dei rappresentanti dei lavoratori era la semplice accettazione della loro parte di sacrifici nel quadro di un piano generale di risanamento da discutersi e accettarsi liberamente e che imponesse sacrifici a tutti e non soltanto agli operai”. Da discutersi e da accettarsi, sottolinea il giornale, mentre ora che le vere trattative a livello nazionale son partite, e sono le uniche vere trattative sugli aumenti dei prezzi SMCS, diventa necessario definire ancora meglio tutta la problematica della lunga protesta. E ribadire che i lavoratori non sono obbligati, per contratto, a lavorare a cottimo e che, qualora essi lavorino in economia, attuando la “non collaborazione”, ogni pretesa della direzione di imporre unilateralmente un determinato livello di produzione è del tutto illegittima. Così come è necessario denunciare il tentativo dell’azienda di spaccare il movimento, quando dichiara il falso sostenendo che le Commissioni interne hanno approvato le liste di trasferimento dalla miniera all’Azienda agraria ACaI, fortemente osteggiate, invece, dal movimento, perché stilate in maniera del tutto contraria alla lotta che si porta avanti nel Sulcis: “la direzione si sbarazza di minatori e armatori e operai specializzati, con i licenziamenti e i trasferimenti, nonostante la sovrabbondanza di manovali, …..squalifica la manodopera e rende in tal modo impossibile promuovere lo sviluppo della miniera”. E, per quanto riguarda il comunicato dell’Alto Commissario, “Riprendere subito il lavoro”, le Leghe ne criticano lo spirito, non essendo egli entrato nel merito delle richieste operaie. Così come non è per loro “accettabile la formula proposta dall’Alto Commissario, -condono delle sanzioni disciplinari per fatti non costituenti insubordinazione-, in quanto la direzione ha considerato insubordinazione e, persino minaccia, l’esplicazione dei normali compiti delle Commissioni interne. Il sindacato minatori esige invece non il condono ma l’annullamento”, di quei provvedimenti. A firma Pietro Cocco e Velio Spano, su L’Unità del 16 novembre. Contro la politica di abbandono delle coltivazioni, la miniera via via sguarnita dei suoi operai migliori e ancora privata di una vera manutenzione, la lotta diviene sempre più generale e articolata nei vari cantieri.
A questo proposito Aldo Lai ricorda come ci fu un incontro importante fra Emilio Lussu e Velio Spano, per mettere in evidenza la firma di quello che l’Azienda continua a chiamare “l’accordo di Cagliari”. Sottoscritto, anche secondo il prefetto, dal Consiglio di gestione, non certo rappresentanza dei lavoratori, esso resta, invece, fuori da ogni intesa con gli operai, esprimendo solo pareri, taluno dei suoi consiglieri, sull’apertura di una eventuale discussione. Ed è Velio Spano direttamente a chiarire i fatti durante le assemblee di quelle settimane, chiamando ancora alla lotta di massa per la salvezza delle miniere: “il grande argomento dei dirigenti aziendali, per giustificare i loro provvedimenti ingiustificabili, è oggi l’accordo ottenuto da un Consiglio di gestione addomesticato”. Così nei comizi, in città e in provincia, così nell’ordine del giorno presentato al Sindaco e al Commissario di Pubblica Sicurezza. E negli interventi di Claudia Loddo e della “compagna Maurandi”, a conclusione di un corteo di donne e bambini, i cui cartelli portano la scritta “Date i salari agli operai”. Mentre, nel dibattito aperto dalle Commissioni interne e dalla CGIL, Velio Spano lancia ancora la proposta di una gestione operaia dell’azienda, già parola d’ordine della lotta sui Consigli, onde porre fine alle rappresaglie contro i lavoratori, data l’impossibilità di collaborare con la direzione SMCS.

Ed è, al solito, imponente lo schieramenteo delle forze di polizia in occasione delle paghe di novembre, pur se nessun incidente si verifica, “han preso le paghe, ciò che è rimasto delle loro paghe, ad alcuni son state consegnate poche centinaia di lire, altri han subito decurtazioni del salario dalle 2.000 alle 10.000 lire. Decurtazioni paga anche per gli operai non dell’interno, la cernitrice Puxeddu Cicita ha avuto, per scarso rendimento, una decurtazione di lire 6.000: le decurtazioni si aggirano in media intorno alle 4.500 lire e coinvolgono, allo stesso modo, gli operai dell’esterno, i quali niente hanno a che fare col taglio dei cottimi dell’interno. Ma gli operai sono usciti dagli uffici cantando e confermando la volontà di lotta a oltranza”, si legge su L’Unità del 17 novembre 1948. Il fatto più grave, la Carbosarda non consegna alcuna busta paga agli operai licenziati che, pure, continuano a scendere e a lavorare in miniera: restano solo i salari ridotti per tutti, da fame, e si dimezzano persino gli assegni familiari.
E tuttavia “nessuno è disposto a rinuciare alla lotta”: dura “contestazione accoglie il rappresentante francese della Commissione per il reclutamento della manodopera di miniera, accompagnato da un funzionario del ministero che, in tutta fretta, abbandonano la città: “nessuno andrà in Francia”, annuncia L’Unità del 18 novembre 1948, mentre lo scenario della mobilitazione si allarga, nel quadro di rivendicazioni generali e comuni, all’intero bacino del Sulcis-Iglesiente, Monteponi, Montevecchio, Pertusola, Gruppo AMMI, gruppo Sapez. Aumenti salariali nella misura del 75%, sulla paga base del manovale comune, per tutti i dipendenti, e rivalutazione salariale di tutte le categorie, a conferma del Contratto Interconfederale del 27 agosto 1946, cui si aggiunge, ora, la distribuzione e assegnazione di indumenti, come precisa L’Unità del 18 novembre 1948. E i minatori di pozzo Fico versano 1000 lire a testa, per contribuire al fondo di solidarietà, e le organizzazioni contadine invitano una delegazione di minatori a intervenire nei paesi della provincia e nei centri agricoli, da Giba a Sardara, dove vi saranno offerte in danaro e in generi alimentari.

Dice a questo proposito Nadia Gallico Spano, allora responsabile regionale del Pci e, quindi, molto presente in città e nel movimento dei lavoratori, che “la lotta dei 72 giorni veniva chiamata, in quel tempo, lunga agitazione. 72 giorni di veri sacrifici durante i quali fu possibile costruire, grazie alla solidarietà di massa, rapporti nuovi e significativi e duraturi tra minatori e contadini nel territorio. Dove si sta sviluppando un processo di occupazione delle terre così diffuso, da mobilitare, compatte, le popolazioni delle campagne, per estendersi presto all’intera Sardegna grazie, in particolare, al sostegno delle Leghe e delle sinistre”. E divenuta Carbonia “simbolo della volontà di rinascita dei sardi”, i contadini del Campidano e dell’ Oristanese, in uno sforzo ammirevole di solidarietà, offrono i loro prodotti per permettere agli operai di resistere. Ma i minatori in lotta sono 15.000, prosegue la dirigente comunista, e ogni aiuto, pur generoso, una goccia d’acqua nel mare infinito delle esigenze. Sul piazzale di fronte alla Camera del lavoro cittadina, dove si decide giorno per giorno la prosecuzione dello sciopero, ogni sera una folla immensa: gli operai convinti di non dover cedere “neppure di fronte alla fame che spinge le persone ad andare per la campagna in cerca di erbe da mangiare” si dice, in modo alquanto enfatico, su “Cari bambini, vi aspettiamo con gioia”, la pubblicazione curata dalla stessa Nadia Spano insieme a F. Terranova e A. Minella, che narra di quella solidarietà e dell’incontro tra le famiglie dei minatori di Carbonia e quelle degli operai della Penisola.

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