Ieri a Cagliari bella assemblea con il Presidente dell’ANPI Pagliarulo: ecco l’intervento.

1 Dicembre 2022
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L’intervento di Gianfranco Pagliarulo

 

Svolgiamo questo incontro in un tempo drammatico, quello di una sconfitta di portata storica. E ha fatto bene chi mi ha preceduto a porsi e a porre una serie di interrogativi, a cominciare dal fatto che è cambiato il mondo. Mi permetto di aggiungere a queste riflessioni qualche parzialissima considerazione.
Credo che occorra ragionare su due parole: sovranisti e conservatori. Il termine sovranismo di estrema destra è un neologismo che richiama immediatamente la più classica parola nazionalismo. Certo, è cambiato il contesto: non siamo più all’inizio del Novecento o negli anni 20 o negli anni 30. Il sovranismo attuale mi pare in gran parte motivato da una reazione ad alcuni aspetti della globalizzazione. Non prevale per ora la violenta aggressività politica e anche militare del nazionalismo novecentesco. Al contrario il sovranismo sembra caratterizzato dall’idea di una chiusura nei propri confini come a definire una priorità di valori e di interessi: “American first” o “Prima di tutto gli italiani” sono slogan di chi si immagina in una fortezza assediata con il nemico alle porte, a cominciare dall’UE che di per sé non gode affatto di buona salute.
Eppure del nazionalismo classico l’attuale sovranismo sembra conservare alcuni tratti distintivi, come la propensione all’autoritarismo, la tendenza a superare i confini costituzionali, l’idea spesso inespressa della presunta superiorità di quel determinato popolo, di quella patria, di quell’insieme di terra e sangue – terra e sangue! – nel cui nome fu scatenato il più drammatico conflitto della storia dell’umanità, la Seconda guerra mondiale.
Conservatori è invece una parola antica e non a caso Giorgia Meloni è presidente dei Conservatori riformisti europei. Ma il significato di questa parola è molto cambiato. Conservatore è l’ex leader inglese Johnson, conservatrice è Liz Truss, entrambi caratterizzati da una radicalità molto lontana dal tradizionale costume dei tories. Neocon, neoconservatori, è il nome di quella corrente americana che si incarnò nel governo di Bush Junior e nella teoria dell’esportazione manu militari della democrazia. A suo modo conservatore è Donald Trump, portatore di una politica protezionista e isolazionista. In sostanza oggi la parola conservatore è relativamente indefinita e sovente si sposa con le parole oscurantista, nazionalista e, spesso, isolazionista. C’è un grumo di idee, emozioni, giudizi e pregiudizi diverso da Paese a Paese ma comune in tanti Paesi che racchiude una miscela composita di “ismi”: oscurantismo e nazionalismo, come già detto, e assieme razzismo, autoritarismo, neofascismo, neonazismo, con una spiccata propensione al rifiuto delle conquiste della scienza, all’irrazionalismo, qualche volta al misticismo religioso o profano, quella cosa premoderna che alcuni chiamano “pensiero magico”.
Conservazione in questa nuova indefinita accezione e sovranismo come una sorta di novello nazionalismo sono quindi, a mio avviso, le parole chiave dell’estrema destra attuale nel mondo e in Italia.
Tutto ciò non è nato da ieri a oggi, non è una Minerva che nasce miracolosamente dal cervello di Giove, ma ha una lunghissima incubazione, presumo quantomeno una trentina d’anni. Da quanti decenni la Lombardia è in mano al centrodestra? Tutte le regioni del nord Italia sono in mano alle destre dal 2020. 14 regioni sono dal 2020 al centrodestra e cinque al centrosinistra. E i Comuni? E ancora: quanto è cambiato il Paese dal 1994 con Silvio Berlusconi che vinse le elezioni? Voglio dire che la Meloni non è frutto del destino cinico e baro, ma l’esito di una lunga fase preparatoria e assieme – penso – l’avvio di una nuova fase.
Questa lunghissima incubazione coincide con eventi che hanno profondamente cambiato il mondo e che sono interconnessi: dalla rivoluzione tecnologica-informatica ai cambiamenti dell’organizzazione e in alcuni casi del lavoro. Se questo processo ha assunto forme diversissime da Paese a Paese, in un punto è relativamente costante: il progressivo e sempre più veloce aumento delle diseguaglianze sociali. Non è un mistero che la maggioranza degli elettori popolari si riconosce nei partiti di destra in Italia, o che a maggior ragione negli Stati Uniti il consenso di Trump è acquartierato di gran lunga nella grande provincia.
La politica che chiamiamo democratica e di sinistra ha in gran parte smarrito i legami sociali e la connessione sentimentale con gran parte del suo popolo e si è allontanata dal mondo del lavoro, che a mio avviso rimane il cuore del problema. Se ci avviciniamo al nostro Paese osserviamo che i partiti costituenti sono tutti scomparsi; il più vecchio partito oggi presente in Parlamento è la Lega; i partiti attuali hanno smarrito la funzione fondativa che avevano svolto dal dopoguerra fino agli anni 70, e che era fondamentalmente duplice: erano l’anello di congiunzione fra la società e lo Stato, fra il popolo e le istituzioni operando così una virtuosa correzione a un difetto storico del nostro Paese fin dai tempi dell’unità. E svolgevano anche un ruolo fondamentale di formazione civile educando alla politica milioni e milioni di persone in particolare attraverso i grandi partiti di massa. Tutto questo non c’è più e oggi siamo, per così dire, nudi alla meta nella inedita circostanza del primo governo repubblicano a guida di estrema destra post fascista. Aggiungo a questo proposito che non mi pare corretto parlare di un governo fascista tout-court e anche di un partito fascista tout-court, Fratelli d’Italia. Uso le parole di Alberto Olivetti quando ha parlato di Fratelli d’Italia come di un partito con elementi di fascismo in sospensione. Il che non esclude affatto né la presenza di vocazioni autoritarie, come si più leggere nell’infelicissimo decreto cosiddetto anti-rave e nelle dichiarazioni programmatiche sul semipresidenzialismo e sull’autonomia differenziata, né esclude possibili future degenerazionQuesta nuova conformazione dei partiti rende spesso asfittiche, parziali o del tutto assenti le loro capacità di proporre analisi articolate della realtà, com’era invece costume dei partiti di massa.
Il mondo dell’associazionismo, che per sua natura non tende ad essere né partito né istituto di ricerca, si trova nella particolare condizione di provare a riempire questo vuoto dando vita a momenti o a luoghi di riflessione e di analisi come per esempio state provando a fare voi, come stiamo provando a fare noi, come stanno provando a fare altri soggetti associativi.
Ma nella particolarissima situazione attuale, nel pieno di una guerra che sembra sempre più pericolosa e vicina, quando tutti sentiamo che possono essere messi in discussione i pilastri del vivere comune, e cioè la Costituzione e i suoi princìpi di libertà e di eguaglianza, si ridefinisce nella realtà quotidiana anche una parte dei nostri compiti: per ciò che riguarda l’ANPI agli obblighi legati alla memoria e anche ai sacrosanti riti laici ad essa legati, come le commemorazioni, i giri con le corone, l’ossequio commosso alle lapidi, si aggiunge – sottolineo: si aggiunge, non si sostituisce – un plus di impegno civile e sociale teso sia all’attività di formazione civica – le scuole – e culturale, sia alla ricostruzione di un rapporto di fiducia fra popolo e istituzioni democratiche. A quest’ultimo proposito la drammatica consumazione di quel rapporto di fiducia si manifesta sia con quanto di protesta c’è stato nel voto per l’estrema destra, sia in quel 40% di elettori che non ha votato o che ha annullato la scheda. Credo, in sostanza, che questa sia la grande sfida a cui noi, voi, l’intero mondo dell’associazionismo, sia pur con toni diversi a seconda della natura delle Associazioni, siamo chiamati.
In questa situazione una più generale prospettiva di unità deve rapidamente passare dal libro dei sogni al sogno che si concretizza, anche perché a ben vedere il Novecento ci ha insegnato questo nel male e nel bene. Nel male quando il fascismo prevale dal ’22 in poi anche grazie alla divisione fra le forze antifasciste del tempo. Nel bene quando dal ’43 in poi la politica dei Comitati di Liberazione Nazionale fu alla base della vittoria della Resistenza e dei primi anni successivi alla Liberazione.
Finisco.
Nella nebbia che da tempo ci avvolge, il tema della deportazione politica, come giustamente ha detto chi mi ha preceduto, troppo spesso è stato oscurato o addirittura dimenticato. Forse c’è un punto di malizia politica in questa rimozione, connessa ai tentativi di delegittimare la Resistenza. Si tratta di un ulteriore argomento di riflessione tutto sommato proprio dell’insieme delle Associazioni antifasciste e resistenziali a cominciare dall’ANPI. Ricordo anch’io la grande importanza della costituzione del Forum delle associazioni perché per la prima volta dopo tanti decenni stiamo provando a mettere a valore tutto ciò che ci unisce e senza dubbio, con tutte le difficoltà e le contraddizioni della vita reale, questo processo andrà avanti in una prospettiva unitaria di cui non conosciamo tempi e modalità ma che è oramai tracciata. Voi tutti siete una parte essenziale e insostituibile di questo processo unitario ed è interesse non solo vostro, ma dell’ANPI, del Forum, del mondo dell’associazionismo, del nostro Paese, che il vostro patrimonio non vada disperso. Perché? Perché prima d’essere un pezzo di storia d’Italia è un pezzo di storia degli italiani; è un patrimonio di sofferenza, di vita e di pensiero, unico e insostituibile.

Carissime compagne e compagni, buon lavoro!

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