Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radici fasciste del maschilismo italiano

24 Maggio 2023
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Gianna Lai

Giovedì 25 maggio, ore 16, aula 7, via S. Ignazio n. 74 incontro su
“I diritti delle donne dal fascismo alla Repubblica”
Organizzato dalla Facoltà di Scienze Politiche e dall’ANPI.

Sarà presente Mirella Serri. Ecco la recensione del suo libro.

La scrittura al servizio della Storia, gli eventi nella durezza di quei tempi, non poi così tanto lontani dai nostri. E i personaggi crudelmente rappresentati, intrecciata la politica fascista alle vicende personali di ciascuno: ogni comportamento, dei vincitori e dei vinti, frutto di politiche terribili, finalizzate alla cancellazione della democrazia in Italia e nell’intera Europa. Già il titolo dato in senso antifrastico, Mussolini ha fatto tanto per le donne! vuole essere denuncia di un modo di pensare: il sottotitolo Le radici fasciste del maschilismo italiano, a esplicitare il carattere di questa bella ricerca di Mirella Serri, edizioni Longanesi, 2022 Milano. Ed una copertina-documento del tempo, che raccoglie una massa di donne inneggianti al fascismo durante una manifestazione di piazza, così imponente, quasi volesse uscire dai margini stessi del libro, la folla: “DUCE, i nostri figli sono con voi, DUCE, le donne d’Italia sono con voi”. Per scoprire poi, nel corso della lettura, con quale chiarezza e senso della storia l’autrice sa dire il contrario di quello che racconta la copertina, “Come reagiscono le donne a questa escalation di provvedimenti negativi nei loro confronti? Il tasso di natalità non cresce e la diminuzione delle nascite proseguirà per tutto il ventennio. Si passa dalle 29 nascite annue per mille abitanti del 1926,… fino alle 23,2 del 1937”. Pur “l’aborto proibito con pene severe, vietata la pubblicità e la divulgazione dei mezzi antifecondativi”. Bè, in fondo, come da noi, fino agli anni Settanta! Vuol dire che il regime non riesce del tutto a permeare di sé quello che l’autrice chiama il “comune sentire”, né a penetrare la coscienza delle donne. Non controlla affatto le donne, come si aspettava che fosse, come ci si aspetterebbe di fronte a una propaganda organizzata e martellante sulla loro inferiorità morale e psicologica. Discriminazioni e antifemminismo possono incutere paura non certo consenso, una politica persecutoria il cui orizzonte si allarga a comprendere il movimento femminista nato all’inzio del secolo e legato al Partito socialista e alla CGIL. Per aver saputo tener testa al duce, emblematica la figura di Anna Kuliscioff e poi della vedova di Cesare Battisti, e di Angelica Balabanoff e di Leda Rafanelli e di Argentina, antifascista e sindacalista nella Federterra. E poi le mondine e le operaie del Nord e le braccianti dell’Emilia e della Puglia, che scioperano per i salari, nonostante lo sciopero sia fuori legge. Fino agli scioperi del ‘43, fino a che “femminismo è ormai sinonimo di antifascismo” .
Si immedesima la lettrice, ma anche il lettore attento, coinvolta in questo crescendo di provvedimenti che, se da un lato segnalano la continuità col vecchio regime liberale, a partire dagli anni Dieci, dall’altro stringono la cittadinanza in una morsa sempre più forte e crudele. E si comprende meglio il tempo presente, la misoginia cresce man mano insieme alla natura violenta del fascismo, in quanto ideologia e prassi, che prepara la sua apoteosi: dalle leggi fascistissime fino alle vergognose leggi razziali e alla dichiarazione di guerra. Così insegna la Storia, quando si concentrano le ricchezze nelle mani di pochi, a garanzia dei privilegi l’accentuarsi delle diseguaglianze, e cresce la discriminazione nei confronti dei più deboli, vuol dire che i pericoli di guerra si fanno sempre più forti. Un susseguirsi di morti e di violenze contro i luoghi della democrazia, coinvolte a centinaia anche le donne, citate nelle pagg.186-187-188: sempre più forte la repressione , “il maschilismo di Stato” mostra i muscoli. Così titola Mirella Serri il paragrafo 29, quello che riprende il già più volte promesso voto alle donne, concessione e non diritto, mai deliberato: “sarebbe inutile” aveva detto Mussolini fin dal 1922. Tanto per capire quel tempo, in Unione Sovietica le donne votano nel 1918, le inglesi votano nel 1928, mentre stanno per farlo le donne negli Usa, in Canada, in Danimarca, in Austria, ecc. E se ormai “il maschilismo era diventato la nuova religione di Stato e metteva radici nella pubblica opinione e nel comune sentire”, a suo primo sostegno Giovanni Gentile, già firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti, firma la legge che disegna la nuova scuola e che Mussolini stesso considera “la massima espressione dello spirito fascista”. Allontanare le donne “da ogni tipo di studio e di interesse culturale, seppellendo qualsiasi ambizione che non sia quella di essere al servizio del potere maritale e maschile”, prosegue ancora la Serri, onde assicurare sostegno alla politica mussoliniana, sempre “desiderosa di ribadire che il lavoro femminile ostacola quello maschile e limita la capacità riproduttiva delle donne”. E, tanto per capire il mondo di quel tempo, mentre la Francia, fin dal 1924, aveva ratificato la legge secondo cui “le fanciulle avevano diritto alla stessa istruzione secondaria dei maschi”, proprio allora “l’Italia avviata sulla strada dell’espulsione del mondo femminile da ogni tipo di di impegno e di impiego”. Per le donne, raddoppiate le tasse scolastiche e universitarie, una volta cacciate dalla pubblica amministrazione, dimezzati i loro salari e “vietato ai datori di lavoro pubblici e privati di assumere più del 10% di donne”. Un Decalogo della piccola italiana a definirne i caratteri, il diritto di famiglia “ulteriormente inasprito”, mettendo le mogli “in uno stato di totale sudditanza di fronte al marito”, così grazie al Codice Rocco, adatto a contenere lo scandaloso “delitto d’onore”. Così la stessa ONMI, nata per contrastare la mortalità infantile, dal 1925 al 1936, tuttavia, sempre in crescita “i decessi nella prima settimana di vita dei bimbi”: in realtà a sostegno della “battaglia demografica che serve a far diventare le donne fattrici o macchine da riproduzione, come le chiama il duce”. Una ideologia strettamente intesa e legata alle pratiche sessuali del capo di governo, le sue donne al servizio di un’immagine che deve necessariamente imporsi all’esterno. La stessa Margherita Sarfatti, “incoronata con il ruolo di seconda moglie”, ma anche “trait-d’union tra Mussolini e il mondo degli imprenditori e degli industriali”, nel suo Dux scriveva: “il maschio dominatore si impone al mondo femminile”, come forma esemplare di rappresentazion del potere.
A Gramsci il giudizio finale sugli “intellettuali” fascisti, così offensivi nei confronti delle donne, come il Forges Davanzati : “Il Forges Davanzati è davvero un tipo, e un tipo da farsa intellettuale… La vita come opera d’arte, ma opera d’arte di un minchione”, cita l’autrice nell’ultima parte della sua opera. Non possiamo che dichiararci d’accordo.

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